“Il Foglio volante” di agosto 2013

COMUNICATO STAMPA

 

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“Il Foglio volante” di agosto 2013

 

È già stampato e sarà spedito a giorni agli abbonati “Il Foglio volante” di agosto 2013. Vi compaiono, oltre alle solite rubriche, testi di Bastiano, Loretta Bonucci, Fabiano Braccini, Carla D’Alessandro, Lino Di Stefano, Tiberio La Rocca, Pierangelo Marini, Adriana Mondo, Cesare Pampena, Silvana Poccioni, Fryda Rota,

Ricordiamo che per ricevere copia saggio, ci si può rivolgere a: fogliovolante@libero.it oppure al numero telefonico 0865.90.99.50. Per ricevere regolarmente il giornale in formato cartaceo è necessario abbonarsi. L’abbonamento – che dà diritto a ricevere tre libri omaggio per un prezzo di copertina superiore al costo dell’abbonamento (18 euro) – serve anche a sostenere un mensile letterario e di cultura varia che non ha altre forme di finanziamento.

Riportiamo, qui di seguito, il testo di apertura – piuttosto lungo –, un breve testo dalla rubrica “Appunti e spunti – Annotazioni linguistiche”, e una poesia di Fryda Rota.

 

 

Allarme lingua: salviamo l’idioma del Bel Paese ove ’l sí suona

Ho rubato a Dante le parole del titolo, perché in questo nostro guazzabuglio tecnocratico, in questo confuso tecnicismo ad ogni costo, inchinati a ossequiare il potere delle maggiori potenze politiche e soprattutto economiche, ci scordiamo da dove viene la nostra lingua, quale nobile storia essa ha, che cosa è stata, che cosa ha rappresentato e rappresenta ancora nel cammino della civiltà.

La superficialità caratterizza oggi la maggior parte di coloro che usano la penna o, se preferite, usano una tastiera alfanumerica, e perfino l’Accademia della Crusca, che dovrebbe vagliare la lingua separando le parole corrette da quelle scorrette come si separa la farina dalla crusca finisce col non avere piú alcuna influenza sugli utenti della lingua. Un esempio: quando nel 2002 è stato introdotto l’euro, l’Accademia ha suggerito: «Al plurale dite “euri”». In italiano infatti i sostantivi maschili che terminano in -o, formano il plurale cambiando la desinenza -o in -i: “libro-libri”, “muro-muri”, “segno-segni”, ecc. Perché mai “euro” non può diventare “euri”? Perché mai dobbiamo dire 10 euro e non 10 euri? Ma sappiamo com’è finita.

Oggi purtroppo si va diffondendo una lingua dove per scrivere “tutto” si fa una tripla “t”, per scrivere “per” si fa una “x”, o, meglio ancora, si fa un 4, perché – trovata geniale – il 4 in inglese si legge come le preposizione “for” che significa “per”. E si potrebbe continuare col ridicolo codice linguistico dei feisbuchisti e dei creatori di messaggini telefonici.

L’italiano è una delle piú belle lingue al mondo. Dal punto di vista fonetico, ci sono almeno un paio di caratteristiche che rendono la nostra lingua eufonica ed equilibrata. C’è una giusta dosatura, per cosí dire, tra suoni vocalici e suoni consonantici e anche un ottimale bilanciamento tra le diverse vocali e tra le diverse consonanti, il che rende la lingua particolarmente armoniosa ed è sempre chiara. È bella, poi, dal punto di vista lessicale e, dal punto di vista sintattico, c’è sempre una certa logica.

Oggi però la nostra lingua è sempre piú inquinata, sempre piú corrotta, infarcita di forestierismi, spesso cacofonici, e sempre ineleganti.

È vero che, nel corso della sua storia, l’italiano, come ogni altro idioma, ha sempre accolto forestierismi e ha anche subito contaminazioni da altre lingue. Ma si è sempre trattato – fino ad alcuni decenni orsono – di un processo lento di accoglimento, e poi di adattamento e assimilazione. Un vocabolo entrava nell’uso (e veniva accolto dai vocabolari) dopo un processo, direi, di rodaggio. E poi, una volta, tra le diverse lingue c’erano degli interscambi. Se l’italiano prendeva da altre lingue un certo numero di vocaboli, altrettanti ne dava: pensate a quante parole l’italiano ha ceduto nei secoli scorsi alla cultura di tutto il mondo, in particolare alla cultura musicale.

In questi ultimi decenni però, a causa della rapidità e della facilità delle comunicazioni, tutto è cambiato. Quello che prima succedeva in un secolo, oggi accade in un anno o in un mese. E l’italiano si va corrompendo a un ritmo vertiginoso. Prima i processi erano lentissimi e le parole subivano un graduale processo di assimilazione. Oggi con i mezzi tecnici a disposizione (Internet, telefonini, televisione, radio, cinema, satelliti) i processi sono diventati frenetici. Vediamo la lingua cambiare sotto i nostri occhi.

Alcuni anni fa comprai una macchina che si chiamava “Ford Escort” e per me la escort era solo una macchina, nel giro di un paio di anni la escort è diventata tutt’altro. Parole come “gossip”, per “pettegolezzi”, o “trend” per “tendenza, moda” dieci/quindici anni fa nessuno le conosceva. Ultimamente sentiamo parolacce come “cool”, che dovrebbe significare “fresco” e si usa per indicare le tendenze della moda. Dovunque, testi infarciti di anglismi e di americanismi. L’italiano si va sempre piú corrompendo sotto la pressione di un inglese arrogante e fagocitante. Se ci guardiamo intorno, la metà delle insegne pubblicitarie che vediamo sono in inglese. Nel linguaggio giornalistico e televisivo sentiamo continuamente espressioni inglesi di cui non ci sarebbe alcuna necessità, essendoci a portata di mano la corrispondente espressione italiana: “red carpet” (tappeto rosso), “step by step” (gradualmente, mano mano), “location” (posto, posizione), “black list” (lista nera), e non sto a fare altri esempi, perché chiunque lo può notare. Perfino in quello che era il compassato linguaggio ufficiale e burocratico, Gazzetta ufficiale compresa, troviamo una lingua ormai ibrida, o, meglio imbastardita. Cosí il Presidente è diventato Premier, e poi troviamo welfare per stato sociale, e ticket, question time, badge, day hospital, election day (ma perché se dicessimo per esempio “Giornata elettorale” che ci sarebbe di male?), ecc. Ci stanno cambiando le carte in tavola: fino a poco tempo fa, nella tastiera del computer c’erano i tasti “Avvio”, “Invio”, “Fine”, “Canc” (per “cancella), ecc., oggi sono diventati “Start”, “Enter”, “End”, “Del” (per “delete”) ecc.

La televisione, che è purtroppo diventata la prima agenzia culturale ed educativa (o, se preferite, diseducativa) va giorno per giorno condizionando il nostro orecchio, e ci va iniettando un virus malefico.

A partire dai titoli delle trasmissioni piú seguite: Rai News, Morning News, Passengers, The voice, X-factor, Cartoon Flakes, Oscar’s Oasis, The Voice Of Italy, Coffee Break, News Meteo, Magazine telematico, ecc.

I titoli dei film, che fino a qualche anno fa venivano tradotti, oggi ce li impongono nelle lingua originale (l’inglese).

Da un’indagine fatta di recente, risulta che dieci film su quindici, i due terzi del totale, sono di madrelingua inglese, in prima serata per lo piú di produzione statunitense, e i registi e gli attori sono anch’essi per la maggior parte americani.

E si è talmente condizionati dall’anglomania che capita spesso di sentire lette con pronuncia inglese parole che inglesi non sono, come “media”, parola latina, che viene letta “midia” e “junior” viene letta “giunior” e simili. Mi è capitato anche di sentire alla radio l’espressione “saine dai”, che al momento non capii che volesse dire e poi mi resi conto che si trattava dell’espressione latina sine die. E mi è capitato di sentire chiamare Taiber la motonave Tiber (che significa Tevere), e il Titanic è diventato Tàitanic, e il prefissoide di origine greca “micro” è diventato “maicro”. E chi piú ne ha piú ne metta.

L’invasione linguistica dell’inglese in realtà non riguarda solo l’’Italia, anche se da noi, forse, è piú grave. Ma molte lingue sono in pericolo di estinzione, sopraffatto dalle lingue piú forti.

Attualmente nel mondo sono parlate quasi 10.000 lingue (senza tener conto dei dialetti e delle parlate locali): dal cinese mandarino parlato da circa 800 milioni di persone e quindi la lingua piú parlata, a lingue usate da poche centinaia o addirittura da poche decine di persone, talvolta da poche unità. Moltissime sono anche in Europa le lingue minoritarie (ladino, occitano, franco-provenzale, frisone, gaelico, basco, mirandese, ecc.). Ma molte sono nel mondo le lingue in pericolo, a volte in grave pericolo, di estinzione.

Non è una novità che le lingue minori, le meno parlate nel mondo, stiano lentamente scomparendo. Secondo i dati degli studiosi scompare una lingua ogni due settimane e oltre 2.500 lingue sono a rischio di estinzione.

Il 20 febbraio 2009 l’Unesco ha diffuso dati poco incoraggianti: 199 lingue sono parlate da una decina di persone soltanto, 538 sono gravemente in pericolo e 607 sono a rischio.

La globalizzazione ha l’innegabile difetto di omologare – io userei la parola “mecdonaldizzare” – le culture e, di fatto, di sopprimere le meno forti, con la conseguenza che anche la tradizione inglobata viene modificata e spesso persa nella storia.

Ma tutto questo succede perché, come sempre, ci sono dietro interessi, enormi interessi, economici. Si tratta di migliaia di milioni di euro che entrano nelle casse del Regno Unito e degli Stati Uniti. E non è un caso che nel solo 2010 lo Stato Britannico abbia investito sulla lingua 220 milioni di euro, contro i miseri 600 mila euro investiti dallo Stato Italiano.

È incomprensibile l’atteggiamento dello stato italiano. «Il Ministro Profumo – cito da un articolo di qualche mese fa di Giorgio Pagano, – continua a spacciare la colonizzazione linguistica inglese dell’Italia come progresso, sostenendo il CLIL, ossia l’insegnamento di materie non linguistiche in inglese e non più in italiano».

Si pensi al Politecnico di Milano, in Italia non in Gran Bretagna, che ha attivato corsi soltanto in inglese.

Pagano: «Il CLIL perché uccide il sapere in lingua Italiana e porta ogni anno nelle tasche dell’anglofonia 26 volte i miliardi che la casta partitocratica si è presi dal 1994 ad oggi.

«Infatti, rispetto ai 2,3 miliardi d’euro erogati ai partiti dal 1994 ad oggi, la colonizzazione linguistica inglese costa agli italiani oltre 60 miliardi di euro ogni anno, rappresentando altresí non una grande opportunità per trovare lavoro all’estero bensí una forzata fuga di brillanti cervelli italiani».

Come dire che l’invasore intanto può riuscire nella sua conquista in quanto c’è non solo l’accondiscendenza, ma anche la collaborazione, di chi l’invasione subisce. Poi che lo faccia per interesse proprio, che lo faccia per pigrizia intellettuale, per ignoranza, o anche per un malinteso senso di sprovincializzazione, non è rilevante. Rilevante è il risultato.

C’è una connivenza colpevole degli italiani, che non solo non tentano nessuna resistenza contro la colonizzazione linguistica, ma essi stessi la incoraggiano, la favoriscono e la sostengono. Siamo di fronte a quello che è stato giustamente chiamato “Genocidio culturale italiano”.

Se prendiamo coscienza di quello che sta accadendo alla nostra lingua, ci dobbiamo battere, finché siamo ancora in tempo, per salvarla. L’invasione linguistica è anche invasione culturale. Essa fagocita culture e identità.

Salviamo l’italiano, in Italia parliamo italiano.

Amerigo Iannacone

 

(Estratto da una conferenza tenuta a Venafro, Biblioteca Comunale, il 20.4.2013, e poi, con poche varianti, a Caiazzo, Centro di Promozione Culturale “F. de Simone”, il 23.4.2013)

 

 

 

Appunti e spunti

Annotazioni linguistiche

di Amerigo Iannacone

 

Tevere e Po

In una scenetta televisiva di qualche anno fa di non ricordo quale comico, uno diceva:

«Sai che il Tevere una volta si chiamava Po?»

E la spalla:

«Chi te l’ha detto?»

«Era scritto su un manifesto: “Tevere ex Po”.»

«Ma quello era “Tevere expo”, una fiera.»

«E allora perché non la chiamano “fiera”?»

Ecco una bella domanda: perché non esistono piú le fiere campionarie ma solo le “expo”? Una parola che deriva dal troncamento della parola inglese exposition, che poi non significa altro che “esposizione”?

Provate a dare una risposta.

 

 

 

Commozione

Come piace dirci fragili – disposti

a screpolare tenero il guscio

della commozione: ne esce umore

sofferto che non dura. Secchezza

lo avviluppa e non rimane traccia

dell’emozioni ne ricordo

(ma il viaggio subito riprende

in direzione di altre apparenze

con punte di asprigna sofferenza:

si cancella presto – e costa niente

 

3 febbraio

 

                Fryda Rota

                Borgovercelli (Vercelli)

Mattia Branco

Ho diretto, ho collaborato con periodici locali e riviste professionali. Ho condotto per nove anni uno spazio televisivo nel programma "Anja Show".

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