25 APRILE 2010: FESTA DELLA LIBERAZIONE NELLA RICORRENZA DEL SESSANTACINQUESIMO ANNIVERSARIO.

 

di Paolo Pozzuoli

Si avvicendano, si rincorrono, si rinnovano, fanno riflettere, si arricchiscono anche di nuovi particolari, spesso nuovi, alcune volte inediti, altre liberatori, ricorrenze ed anniversari che, proprio per queste peculiarità si differenziano, prendono le distanze dagli esami che possono, purtroppo, non finire mai ma sono limitati, racchiusi in un arco di tempo. Gli anniversari e le ricorrenze no! Si ripetono. Nel senso che, come dire, non possono essere dimenticati. Dai più impossibile! Probabile, anzi sicuramente da chi ha particolarmente sofferto, è stato sottoposto a privazioni, supplizi, angherie, vessazioni, sevizie. Vanno dunque ricordati, celebrati? Ma come? Preferiremmo nell’intimità, con una riflessione, un ricordo, una preghiera per coloro i quali, sorretti e spinti da ideali di altri tempi, per tanti assurdi, inconcepibili, si sono immolati per aver creduto, sofferto ed infine pagato. Viceversa, ci tocca assistere a nuove passerelle, nuovi cortei, nuove sfilate, nuove commemorazioni, nuove partecipazioni, nuovi interpreti pronti a pronunciare parole di circostanza. Il calendario ci ricorda che stiamo vivendo il 25 aprile. Uno dei trecentosessantacinque  giorni, una delle cinquantadue domeniche dell’anno? No! È una ricorrenza particolare, un anniversario speciale: il sessantacinquesimo anniversario di quella giornata etichettata e tramandata come ‘liberazione’! Di quella giornata lontana, di quel fatidico 25 aprile del 1944, pochi sono i superstiti e non tutti hanno più la forza, la volontà, l’inclinazione, lo spirito adatto per poterne parlare con la dovuta imparzialità, la giusta serenità. Prendendo le distanze. Senza partigianeria. Al di sopra delle parti. Pensiamo a quel 25 aprile come la giornata in cui si è dato il ‘la’ ad una primavera fino ad allora sconosciuta, eleviamola a giornata simbolo, evitiamo però di attribuirle una paternità e/o anche una maternità! Altrimenti dovremmo meditare sui nefandi risvolti, sulle successive ripercussioni, sulle assurde rivincite figlie dell’irrazionalità e dell’odio, della barbarie e della vendetta, della violenza nel nome di una questione d’onore. Di quel 25 aprile sono rimasti in pochi. E di quei pochi quanti sono in grado di poterne parlare con il cuore in mano, con la necessaria, dovuta onestà che si deve all’evento? La storia, certe pagine della storia che abbiamo appreso, ci sono state propinate da cattedratici che andavano per la maggiora, da noti uomini di cultura, i quali, non essendo stati testimoni dei fatti, degli eventi, hanno fatto di tutto per recuperare, attingere dove potevano, dove era loro consentito, ma. ala resa dei conti, quando cioè le idee non coincidevano, erano in disaccordo con gli scritti ritrovati e/o con le testimonianze raccolte, venivano stravolte ed orientate, indirizzate su sentieri senza via di uscita, che non avevano alcun riferimento, non ci azzeccavano per niente. Nazismo boicottato, annientato, sconfitto, fascismo costretto alla resa, Mussolini, capo del governo e del fascio, arrestato, giustiziato ed esposto a testa in giù come monito per le future generazioni a Piazzale Loreto nella Milano, città capitale di una novella mitteleuropa, ‘trasformata’ negli anni a venire in città del bere. Nessuno ha menzionato, ha parlato dei tribunali ‘volanti’ allestititi dai partigiani  per sottoporre a processo sommario che, nella maggior parte dei casi, si risolveva con una inevitabile sentenza di condanna nei confronti di chi – in primis i ‘podestà’ -  credendo nel fascismo, ne aveva sposato la causa. Parimenti, nessuno ha messo lingua, ha aperto la bocca sui procedimenti allestiti dai magistrati militari presso i tribunali di competenza nei confronti delle truppe, dei militari, graduati ed ufficiali superstiti, finalizzati ad accertare la resistenza opposta al nemico. Ed il nemico non era rappresentato dalle divisioni naziste in ritirata né dalle milizie fasciste allo sbando bensì  … udite, udite! … dai militari americani sbarcati in Sicilia nel corso di un’operazione di alta strategia militare per porre fine alla cessazione di ogni ostilità ed attestare, dare inizio ad una democrazia fino ad allora illustre sconosciuta. 25 aprile è da tempo sinonimo di ‘Festa della Liberazione’ dopo una strenua e combattuta resistenza. Storici, autori, commentatori, critici, ecc., continuano a battere il tasto sul coraggio di alcune Città del centro-nord, ben celebrate ed enfatizzate perfino dai telegiornali delle reti TV a pagamento, che ebbero quali protagonisti assoluti componenti egemoniche politicizzate che spaziavano dalle forze cattoliche alle comuniste, a commemorare l’eccidio di Marzabotto, a … trascurare invece – volutamente o per ignoranza? – quanto hanno fatto i nostri padri e nonni, meridionali e casertani, in tutta la Valle del Volturno: unendosi fra loro in piccoli gruppi spontanei, senza alcun mezzo di sorta ma nel nome di un loro inconfutabile ideale e credo, fidando soltanto nella ricchezza di quell’orgoglio e di quell’amor proprio mai perduti, cercarono di mettere in atto quei primi timidi tentativi di opposizione o, per meglio dire, di “resistenza”. Vogliano ricordare che, nella storica battaglia sul Volturno e, in particolare, nel territorio dell’allora Villa Volturno, ora nuovamente Vitulazio e Bellona, dove il comandante tedesco Wietingoff, artefice di tutti gli eccidi della zona a partire da quello del 14 settembre 1943 in Masseria Lepore in Vitulazio, PRIMO ASSOLUTO IN ITALIA, inviò, una volta lasciata Salerno, la 16^ SS. Panzer Division Reichfuhrer per ‘ripulire quell’area’ e predisporre gli schieramenti per le unità operative del 14° corpo d’armata tedesco, non furono pochi quelli che – eroi ignoti – immolatisi sull’altare della vita, lasciando vedove ed orfani, ci affrancarono dall’oppressore e da una barbara dittatura regalandoci una libertà e democrazia altrimenti insperate. Delle commemorazioni e delle celebrazioni sia dell’evento di Marzabotto che del 25 Aprile ha trattato più di una volta il caro, indimenticabile gen. Armando Scialdone, memoria storica degli eventi dell’ultimo conflitto mondiale, che, in merito, ebbe a precisare “la 16^ SS. Panzer Division Reichfuhrer, lasciata Salerno, fu inviata da Wietingoff sulla riva nord del Volturno prima ancora che vi rientrasse la Herman Goering per ‘ripulire quell’area’ ed a predisporre gli schieramenti che le unità del 14° corpo d’armata tedesco sarebbero andate ad operare; essa era elemento di ‘forza e sicurezza’ – secondo Wietingoff – del suo fronte difensivo sul Volturno, in particolare nel suo settore tirrenico ove s’attendeva lo sforzo principale degli alleati per occupare, al più presto, Roma; la ‘decantatissima ed indispensabile’ divisione fu anche causa di in un proverbiale ‘contrasto’ fra il Comandante del Gr. d’Armata, Kesserling, ed il Comandante della 10^ Armata, Wietingoff; fu l’artefice di tutti gli eccidi della zona a partire da quello (14 settembre 1943) in Masseria Lepore in Vitulazio, primo in Italia”.

 

 

Mattia Branco

Ho diretto, ho collaborato con periodici locali e riviste professionali. Ho condotto per nove anni uno spazio televisivo nel programma "Anja Show".

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