26 APRILE 2020 – TERZA DOMENICA DOPO PASQUA (A) CONVERSIONE E ANNUNCIO GRUPPO BIBLICO EBRAICO-CRISTIANO השרשים הקדושים

 

francescogaleone@libero.it

 

“Chi è il terzo che sempre ti cammina accanto?”

1) Il Vangelo di oggi è famoso, grazie anche alla musica: penso alle tante versioni del canto “Resta con noi, Signore”; penso anche alle tante pagine di letteratura scritte da F. Mauriac e da Th. Eliot. Ci troviamo come davanti ad uno spartito in 5 atti: a) nella prima scena, due discepoli, in cammino verso Emmaus, un paese vicino Ierushalàim, sono il ritratto della loro crisi religiosa: “Noi speravamo che fosse Lui a liberare Israele”; b) cammin facendo, come da sempre capita durante il viaggio, i due discutono sui fatti del giorno: di Gesù di Nazaret; proseguendo nel cammino, ad un certo punto i due si accorgono di essere in tre; “Chi è il terzo viandante che sempre ti cammina accanto?” si chiedeva Th. Eliot; c) questo “terzo uomo” lentamente si guadagna la fiducia dei due, che ascoltano la spiegazione delle scritture: “Rimani con noi!”. Vogliono ascoltarlo ancora; e poi, viene la notte, meglio essere in tre che in due; d) comprendono tutto quando, fermatisi per ristorarsi, vedono Lui benedire il pane, spezzarlo e distribuirlo loro: gli occhi si aprono; e) il quinto ed ultimo atto descrivono il ritorno veloce a Ierushalàim, per annunciare agli apostoli la bella notizia, il Vangelo: “Davvero il Signore è risorto!”.

2) Qualche domanda

Siamo nell’aprile del 30 d.C. Due discepoli di Gesù, recatisi a Ierushalàim per la Pasqua, sono stati testimoni di fatti drammatici: Gesù di Nazaret è stato giustiziato! Passati i giorni di quella triste festa, stanno per tornarsene ad Emmaus, quando qualcuno corre da loro con una notizia sconvolgente: Gesù è vivo! Ci troviamo davanti a un racconto però pieno di interrogativi.

> Dove si trova Emmaus? A 30 km da Ierushalàim o a 10, come dice il testo (Lc 24,13)? Bisognerebbe essere maratoneti di professione per fare in un solo giorno 60 km tra andata e ritorno!

> Dopo aver udito la notizia della risurrezione (vv.21-24), come mai sono partiti senza aver prima verificato se le notizia era vera? Forse perché le donne non meritano credibilità?

> Come mai non riconoscono Gesù nel viandante, “il terzo uomo che continuava a camminare accanto a loro?”. Serve a creare suspence? Il Vangelo dice che i loro occhi erano “incapaci di vederlo”, non che Gesù si nascondeva.

> Perché Luca non ci dice il nome anche del secondo discepolo? Non lo ricordava più? Strano!

Proviamo ad approfondire. Siamo in Asia minore verso gli anni 80-90. Quasi tutti i testimoni del Risorto sono morti e i cristiani della terza generazione si chiedono: gli apostoli hanno creduto a Gesù perché lo hanno visto, e noi dobbiamo credere agli apostoli? Ma che valore ha una fede per delega? La risposta di Luca è contenuta in questo racconto. Iniziamo dal nome: uno dei due si chiama Cleopa (o Cleofa o Cleofe o Alfeo, che è un’abbreviazione di Cleopatros, che significa “del padre illustre”) ed era marito di Maria di Cleofa e forse fratello di san Giuseppe. E l’altro anonimo? Nello stile semitico, potrebbe essere un invito rivolto a ogni lettore a mettere il proprio nome accanto a Cleopa e camminare insieme incontro al Risorto. I due discepoli sono tristi: aspettavano un messia glorioso e tutto è finito nel peggiore dei modo. I rabbini insegnavano che il messia sarebbe vissuto mille anni e invece Gesù era morto a soli 30 anni! Altro errore: abbandonano la comunità, preferiscono isolarsi e ritornare alle occupazioni quotidiane. A Emmaus li aspettavano la famiglia, i lavori dei campi. Scendono da Ierushalàim: è importante l’indicazione che “scendevano” da Ierushalàim, la città-tempio di Dio; Gerico era la città-residenza dei sacerdoti. I sacerdoti e i leviti salivano da Gerico a Ierushalàim dove si fermavano una settimana intera per offrire il loro servizio nel tempio; quindi, i due discepoli non “salgono” a Ierushalàim ma scendono dalla città di Dio, dal tempio, dalla preghiera. E’ un segnale negativo!

3) Lo riconobbero nello spezzare il pane

Come sempre accade, il Risorto non è riconoscibile: qualcuno lo prende per un fantasma, la Maddalena lo scambia per un giardiniere e sul lago viene scambiato per un abile pescatore… Come arrivano i due di Emmaus a riconoscere il Risorto? Nella interpretazione della Scrittura e nella celebrazione dell’Eucaristia. Sì, sono presenti tutti gli elementi: l’entrata del celebrante, la liturgia della Parola con l’omelia, lo “spezzare il pane”, l’annuncio e la missione. Al momento della comunione i loro occhi si aprirono, ma senza la Parola non avrebbero riconosciuto il Signore. Non è diverso il cammino che noi oggi dobbiamo percorrere. Perciò “ignorare la Scrittura è ignorare Gesù”. Chi non ha fede, arriva a comprendere solo l’aspetto esteriore degli avvenimenti. Conseguenza di questa conoscenza incompleta è la tristezza. Senza la fede nella risurrezione, le sconfitte restano sconfitte.

4) “Noi speravamo!”

Dai vangeli traspare che i discepoli sembrano essere più delusi della risurrezione di Gesù che della sua morte. Perché questa delusione? Se Gesù è morto, significa semplicemente che hanno sbagliato messia, e c’è soltanto da attendere un nuovo messia. I discepoli si recano a Èmmaus, un luogo importante perché era il luogo della battaglia tra Giuda Maccabeo e i pagani, battaglia che era stata vinta dagli ebrei (1Mac, capp.3-4). Era il luogo della speranza del Dio liberatore, con la sconfitta dei pagani e la liberazione di Israele. Ebbene, Èmmaus richiamava tutto questo. I discepoli se ne tornano nel luogo che per loro è quello della rivincita e della vendetta di Dio sui pagani. Ecco, questi discepoli sono pieni di ambizione, cercano il messia trionfatore, incontrano Gesù e, naturalmente, non lo riconoscono. Loro guardano al passato: “Noi speravamo che egli fosse colui che avrebbe liberato Israele”. Com’è doloroso quel verbo al passato! Anche a noi  vengono in mente tante cose nelle quali abbiamo, e giustamente, sperato. Ma la storia si è fatta beffa di noi! Gli idealisti e i pessimisti non sono mai delusi, perché non si aspettano nulla di buono da questa vita e da questa terra. Ma chi spera è chiamato all’angoscia: chi spera conoscerà la contraddizione. Gesù non è venuto a restaurare il defunto regno di Davide, ma ad inaugurare il regno di Dio.

5) “Si aprirono i loro occhi!”

Negli Atti degli Apostoli (1,3b-6) leggiamo che i discepoli non comprendevano, e Gesù, per ben quaranta giorni, li riunisce e parla loro sempre e solo del regno di Dio. Ebbene, al quarantesimo giorno, uno dei discepoli gli chiede: “Ma è questo il tempo nel quale ricostituirai il regno di Israele?” (At 1,6). Sembra incredibile tanta ottusità! Gesù sembra perdere la pazienza e li chiama “Sciocchi!”. Poi Gesù, “cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò…” (Lc 24,27). Il verbo utilizzato dall’evangelista (διερμήνευσεν/diermèneusen) è quello da cui deriva il termine “ermeneutica”, termine tecnico che significa interpretazione. Quindi Gesù, più che spiegare, interpreta la Scrittura. I discepoli sono diretti al villaggio (il villaggio, nei vangeli, è sempre simbolo di tradizione, ignoranza), non riescono a comprendere il nuovo, mentre Gesù – scrive l’evangelista – “fece come se dovesse andare più lontano”. Gesù va verso il nuovo e loro invece vanno verso il vecchio. E “quando fu a tavola con loro, prese il pane” – come ha fatto nell’ultima cena, ripete gli stessi gesti – “recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro”. “Allora” – scrive l’evangelista – “si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero”. Gesù è riconoscibile quando il pane viene spezzato e offerto. Gesù, il figlio di Dio, si fa pane, perché anche quanti lo accolgono siano capaci a loro volta di farsi pane e alimento di vita per gli altri, diventino figli dello stesso Dio. “Ma egli” non sparì come è scritto nella traduzione, ma letteralmente “divenne invisibile a loro” (ἄφαντος ἐγένετο ἀπ’αὐτῶν/àphantos eghèneto ap’autòn). Gesù non è scomparso ma è invisibile perché ormai è visibile soltanto nel pane che si spezza, nel pane che è condiviso, nella comunità che si fa pane per gli altri.

6) Non più teofanie ma la Parola e l’Eucaristia

Luca vuole insegnarci che l’incontro con Gesù non avviene più nelle sublimi teofanie o nelle terribili cratofanie, ma in due semplici sacramenti: la Parola che lo Sconosciuto rivolge e l’Eucaristia celebrata in una locanda. Faremmo volentieri a meno di questo racconto evangelico (completo solo in Luca), tanto è  urtante. Se Luca lo avesse inventato, diverso sarebbe stato il copione: i due discepoli vanno a Emmaus, Gesù appare loro, essi subito lo riconoscono. Invece non lo riconoscono e solo ad un certo punto si aprono i loro occhi. E poi, quelle donne che hanno avuto una visione di angeli? Che fiducia meritano? Sembrano parole di un laicista ironico e maschilista. Inizialmente, Gesù tiene approfonditi discorsi di analisi biblica, critica testuale; ma l’accettazione avviene nella fede, in un atto squisitamente religioso, quello di “spezzare il pane”. Quali sono i segni con cui possiamo testimoniare la speranza nonostante la disperazione? La vita anche se attorno a noi fioriscono i fiori del male? Il Vangelo di oggi ci offre due segni, entrambi collegati: la parola di Dio e la frazione del pane. Non cerchiamo miracoli, santuari famosi, medaglie miracolose, Madonne che piangono… La  nostra male-educazione religiosa ci può suggerire superstiziose certezze, ma il Signore ci rimprovera: “Se vi dicono che Cristo è là, non ci andate!”. Non ci sono segni “scientifici” di Dio; i segni ci sono, e tanti, ma sempre a partire dalla fede. Un segno povero ma efficace è la Parola di Dio. L’altro segno è quello della condivisione del pane. Quando noi condividiamo il pane, significa testimoniare una fraternità che modifica le strutture, aspirare a un mondo in cui la ricchezza non sia occasione di divisione ma di condivisione, collaborare con tutti gli uomini di buona volontà perché la creazione tutta riprenda la sua originaria bellezza. Maria, salus populi, ci protegga da ogni male! Buona Vita a tutti!

 

 

Mattia Branco

Ho diretto, ho collaborato con periodici locali e riviste professionali. Ho condotto per nove anni uno spazio televisivo nel programma "Anja Show".

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