7 AGOSTO. XIX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO C)

Domenica 7 Agosto 2016
7 agosto. XIX Domenica del Tempo ordinario (Anno C)
Lo dico anche a voi: tenetevi pronti! (Lc 12,32)
A cura del Gruppo biblico ebraico-cristiano השרשים הקדושים francescogaleone@libero.it/sayeretduvdevan@yahoo.it

1. La domenica della vigilanza. Gesù anche oggi continua a istruire i suoi discepoli. Un insegnamento fondamentale ci è stato consegnato domenica scorsa con la parabola del ricco povero e stolto. Oggi il Vangelo ci ricorda che la scelta per Dio avviene qui e ora: Dov’è il tuo tesoro, là è anche il tuo cuore. Vigilanza, quindi: l’ora della fine della nostra vita, il momento del ritorno di Gesù, è tutto incerto e certo insieme. Tutto può accadere prima di quanto immaginiamo, ma anche più tardi di quanto pensiamo. Vigilanza, ma non ossessione; occupati, ma non preoccupati; attivi, ma con serenità. Vivere è attendere, cioè tendere-verso qualcosa, meglio, Qualcuno. Il credente è uno che progetta il futuro costruendo il presente, perché l’unico modo per essere fedeli nell’eternità è di vivere bene nell’attualità. Siamo nel tempo e sulla terra per guadagnarci l’eterno e il cielo. L’alternativa non è o il cielo o la terra, ma e la terra e il cielo. Il lucido pazzo di Roecken ha proclamato solo una mezza verità: Restate fedeli alla terra! Occorre essere anche fedeli al cielo, perché l’uomo è anche cielo, immagine di Dio, apertura al Trascendente. La luce del cielo può illuminare anche questa nostra terra; la nostra vita può diventare meno tenebrosa; le lampade servono per attendere il Signore, certo, ma anche per non perderci nel gomitolo delle nostre complicazioni.
2. In questo nostro tempo difficile, da molti la vita viene interpretata come un cammino, un pellegrinaggio, un esodo. Non alla maniera spiritualistica e devozionale (valle di lacrime adesso, gioia del paradiso dopo!). Alcune persone hanno fatto della fede un motivo di tranquillità, di estraneità alle tribolazioni della vita. Anche in passato, una certa apologetica presentava la chiesa come immutabile e immobile. Non pochi si erano convertiti alla chiesa perché, in un mondo così volubile, la chiesa si presentava loro solida come una roccia, sicura come un porto. Questa immutabilità era un’attrattiva per le anime in crisi. Queste persone, stanche, ad un certo punto ritiravano i remi in barca, e si appoggiavano al grande scoglio. Cambiano le lingue ma non la lingua della chiesa; le filosofie mutano ma non il dogma; le rivoluzioni agitano le società ma la chiesa è ordinata. Oggi le cose cambiano, anche in casa cattolica. Come accennò con grande intuito Paolo VI durante il Concilio, la chiesa è insieme nave e roccia. Per i nostri padri, la chiesa era solo una roccia! Non dava idea di viaggio ma di stabilità. E se viaggio era, si trattava comunque di un viaggio sicuro: Non praevalebunt! Oggi siamo testimoni che il grande blocco si è disciolto. E allora dove possiamo trovare un principio di stabilità nel divenire? Questo principio va individuato nella Parola di Dio. Appena si accende il contatto tra la coscienza del credente e la Parola di Dio, si scuotono tutti i tralicci dell’istituzione. Si scopre che l’istituzione aveva sviluppato un agglomerato di false sicurezze; che per molti la chiesa era l’ospizio degli uomini insicuri. Non degli uomini che camminano, guardando in alto e in avanti, verso una Città nuova, ma degli uomini attaccati alle tradizioni e alle sicurezze. Ebbene, la Parola di Dio fa crollare tutte queste sovrastrutture, ci fa entrare nella mobilità assoluta mettendoci in esodo verso la Terra promessa, in conversione continua verso l’Assoluto.
3. Per comprendere questa situazione, ricorriamo al racconto della Bibbia (Num 9,17): il popolo ebraico, durante il suo viaggio, doveva distribuire le soste e il cammino a seconda delle indicazioni della colonna di fuoco durante la notte, e di fumo durante il giorno. Nelle lunghe soste, l’istinto sedentario prendeva il sopravvento e l’accampamento si trasformava in una città. Ma all’improvviso la nube si alzava e gli ebrei dovevano riprendere il loro pellegrinaggio. È immaginabile che molti non volevano muoversi, anzi, rimpiangevano l’Egitto e le sue cipolle. Anche oggi viviamo in un momento in cui si è alzata la nube: c’è chi non vuole muoversi, e scambia l’immobilità per fedeltà. A questo punto la confusione cresce. Può darsi che qualcuno prenda un passo troppo veloce, si stacchi dal grosso del popolo di Dio. L’impazienza mette le ali ai piedi. Dobbiamo uscire insieme dal deserto! Non dobbiamo fare le pattuglie di avanguardia. Ma anche l’immobilità è un segno di mancanza di amore e di solidarietà. Nessun immobilismo o rimpianto, nessun nomadismo o randagismo, ma tutti pellegrini come il padre Abramo, come il popolo d’Israele. Dobbiamo vedere nelle attuali difficoltà un segno di grazia, un invito a camminare, sapendo tollerare gli innamorati del vecchio ordine dell’accampamento. La nube si è alzata e noi dobbiamo svegliarli, rischiando anche di essere condannati. Perché non c’è niente di più pericoloso che esortare l’uomo tranquillo nel suo sacro recinto a mettersi in moto verso l’ignoto di Dio. I profeti furono lapidati perché dicevano al popolo: Bisogna camminare. L’immobilismo è contrario alla fede, anche se si ammanta di tutti gli addobbi sacri. Ma dobbiamo anche vincere l’individualismo della fede, che non tiene conto della dimensione della comunità.
4. Alcuni decenni fa, uomini di grande intelligenza e carriera (i maestri dominanti!) si sono trovati a difendere l’immobilità della Chiesa, in nome di Dio. Poi è nato il sospetto che il loro Dio fosse fatto su misura dei loro bisogni, delle loro paure. Non era il Dio dei profeti. La saggezza evangelica ci esorta a non credere ai venditori di parole, ma ai fatti positivi. Se fosse vero, per esempio, che le epoche passate erano epoche di fede, perché il mondo contemporaneo oggi è scristianizzato? Il Medioevo cristiano era tempo di pace o di guerra? La chiesa come testimoniava l’amore per gli uomini? La verità è che sia all’interno come alle frontiere della cristianità divampava la guerra, e questa in nome di Dio. Oggi, da questo travagliato trapasso culturale, sta nascendo un mondo diverso; la gestazione non è tranquilla perché abbiamo paura del diverso, cioè degli uomini esclusi, delle generazioni emarginate, delle masse sfruttate, delle minoranze non riconosciute. Il Dio del Vangelo fa paura, e le istituzioni – anche quelle ecclesiastiche – a volte spengono il fuoco dello Spirito.
5. Ma Dio si fa beffa delle astuzie della ragione; sorride quando presumiamo di sistematizzare il provvisorio. In questo, Gesù è fedele allo spirito della sua gente: il popolo più schiavo sogna di dominare gli altri sotto il Messia; il più disprezzato si sente promesso alla gloria: il più castigato da Dio si crede il più amato; il più peccatore è certo di essere il solo predestinato alla salvezza. In Gesù, però, la rivincita della coscienza ebraica diventa revisione dei valori, passaggio dalla esteriorità alla interiorità. Il mondo di Dio è veramente un altro: un mondo dove il basso deve essere creduto alto, l’ultimo è il primo, la vecchia verità è errore, le astuzie della ragione umana si rivelano in tutta la loro impotenza salvifica. I suoi valori sono totalmente diversi dai nostri, stupefacenti i suoi gusti, laceranti le sue gioie, beate le sue sofferenze; vi si accede solo attraverso una rinascita. Se l’uomo vi penetra, ha tuttavia la sensazione di non essere uno straniero; tutte le sue abitudini sono contrariate, ma la sua anima si rasserena come se vi respirasse aria di casa. Questo perché la Rivelazione di Dio è sempre una rivelazione dell’uomo: imparando a conoscere Dio, l’uomo impara a riconoscere se stesso.
6. L’uomo, di ogni gruppo sociale, tende a raffigurarsi Dio secondo le sue esigenze; la fede assume una stretta dipendenza dai bisogni dell’ordine costituito. Dimmi in quale società vivi e ti dirò quale Dio adori. Su questo rapporto, M. Weber ha scritto della pagine molto interessanti. È naturale che noi, vivendo in pieno capitalismo, sotto il segno della potenza e della scienza, ci siamo costruiti un Dio onnipotente, onnisciente, giusto giudice, custode della proprietà privata … Ognuno ha una sua teologia, anche l’ateo. Per sapere se una teologia è vera, dobbiamo chiederci: C’è posto per tutti i figli di Dio? Ogni uomo, tutto l’uomo, è rispettato nelle sue esigenze profonde? Nella capacità di accogliere ogni uomo, si dimostra la verità della teologia. Le adesioni astratte non significano nulla. Dice il Signore: Chi fa la verità arriva alla luce. Una sana teologia e una santa ortodossia non possono non diventare anche antropologia e ortoprassia. Lo avete fatto a me (Mt 25,40): questa è Parola di Dio.
7. A differenza dei tempi passati, oggi negare Dio non è più strano né isolato; oggi l’ateismo viene teorizzato come esigenza del progresso scientifico. La fede oggi incontra quasi dappertutto delle resistenze, e sarebbe interessante interrogarsi quanto la teologia tradizionale abbia contribuito ad allontanare la fede dalla società, Dio dall’uomo. Auschwitz è stato opera di cristiani. E quando ebbero finito, il loro Dio era diventato un’assurdità (Th. Adorno). Nel 1300, G. Cavalcanti poteva suscitare scalpore che si accanisse a cercare se pruovar si potesse che Dio non fusse. Per il suo tentativo non c’era spazio nella Societas Christiana Medioevalis perché trono e altare, codice giustinianeo e diritto canonico convergevano insieme nel sostenere le fondamenta della società. Attualmente, invece, l’ateo è cittadino con pieni diritti, è fiero di essere incredulo, nessuno gli domanda le ragioni della sua incredulità, anzi, egli stesso è dispensato dal cercarle. La situazione è ribaltata: non è l’ateo che deve giustificare il proprio rifiuto; è il credente che si trova al banco degli accusati: colpevole di credere!
8. Oggi, nuovi umanesimi come la cibernetica, la politica, la psicologia, la scienza, il consumismo, la telematica … si fanno portatori di senso totale: non si presentano come metodo o tecnica ma come visione totale e globale dell’uomo. Davanti alle attuali sfide, le chiese forse non hanno molto da dire; si preoccupano di erigere barriere, una linea Maginot teologica, per difendere il depositum fidei, sempre più indifeso e indifendibile. Eppure l’uomo, oggi come sempre, interroga la fede. Le tre domande di E. Kant: Cosa posso sapere, cosa posso sperare, cosa devo fare? urgono per avere risposta. Resta la triade dolorosa del male fisico, della sofferenza morale, della soluzione finale: le tre passività esistenziali, con le quali occorre fare sconsolatamente i conti, anche nelle migliori strutture sociali progettate e realizzate. A tutti Buone vacanze e soprattutto BUONA VITA!__

Mattia Branco

Ho diretto, ho collaborato con periodici locali e riviste professionali. Ho condotto per nove anni uno spazio televisivo nel programma "Anja Show".

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