CORONAVIRUS E DINTORNI – 1

VITTORIO RUSSO MARE

 

Vittorio Russo

 

Salve a tutti! Non so se avrete la pazienza per leggere fino in fondo questa pagina. Grazie comunque per la vostra attenzione, non importa dove vi fermerete, per noia o per contrarietà:

Il terrore che il corona virus ha innescato sta corrodendo il cervello della gente. Chiuso tutto. Chiuse scuole, palestre, luoghi d’incontro. Non so, forse fra poco anche ristoranti e bar. Mi si è chiuso pure lo stomaco. Soprattutto chiusi gli ospedali e aperte le chiese. Mi sembra un ritorno al medioevo. Leggo di gente che invita alla preghiera, indica orari di culto e di rosari, di campagne nazionali di preghiere allo Spirito Santo, di messe e di comunioni collettive, di penitenti, di invocatori delle Madonne meno note e dei santi taumaturghi più alla moda tempo fa. Insomma: chiuse soprattutto le menti. Un salto nell’abisso a spirale della scaramanzia che dà un calcio a secoli di crescita scientifica e di scoperte che hanno salvato il mondo dalle peggiori pestilenze. Un calcio alla razionalità e al buon senso.

Sono andato a rileggermi qualche pagina di storia relativa alle varie epidemie di peste del passato. Ho notato delle similitudini comportamentali sconcertanti con quanto sta avvenendo oggi. Fino a qualche giorno fa in sordina e poi, col diffondersi della contaminazione del corona virus, in maniera sempre più rumorosa e vertiginosa si è scatenata la follia dell’isteria, della superstizione e della credulità che passa per fede. Ho sentito dire stamattina: la verità della fede ci salverà anche questa volta! Ho risposto amen, con un sorriso di disattenzione. Ora però rifletto. Purtroppo non esistono verità di fede come pure siamo abituati a pensare a furia di sentirlo affermare. La fede è verità per chi ne ha. Non assioma. Galimberti ricorda che non c’è bisogno di fede per sapere che 2 più 2 fa 4. È vero per ragione non ho bisogno di crederlo. Ma che Maria sia vergine io devo crederlo per fede.

La peste più nota è quella che si diffuse in Europa nel 300, nel 1347 per l’esattezza, venuta anch’essa dalla Cina Orientale e giunta prima a Costantinopoli, poi a Messina, a Venezia e quindi di lì si diramò per l’Europa. Era diffusa dalle pulci e veicolo ne erano i topi. Poi direttamente per contatto umano. Quest’evento drammatico fu la motivazione del capolavoro di Boccaccio, Il Decamerone, ricordate! Per l’ignoranza del tempo, si riteneva invece che la malattia fosse diffusa dalle streghe e dagli ebrei. Furono ferocemente perseguitati, streghe ed ebrei, massacrati senza pietà e bruciati vivi nelle loro case. Le prime perché possedute dal demonio, i secondi perché progenie di quei deicidi che avevano messo a morte Gesù. Quando si dice le religioni! Da allora gli ebrei non hanno avuto pace. Le streghe invece sono finite per etichettare un liquore e un ambito premio letterario.

La medicina del tempo era ferma alle conoscenze dei Greci (Ippocrate), nel migliore dei casi. Altrimenti si basava su interventi generici e spesso controproducenti: salassi con sanguisughe (si pagavano a peso d’oro), bagni di urina, fumigazioni, impiastri di feci sulle pustole e soprattutto preghiere per placare la collera di Dio. Perché era Dio che mandava la pestilenza per punire l’uomo peccatore. Strano poi che la preghiera per ottenere la guarigione non era (e non è) rivolta a Dio stesso, ma più spesso a un santo che lo scavalca e ne nullifica l’opera con la guarigione che gli viene attribuita.
Quella piaga falcidiò due terzi dell’umanità. Cinquanta o forse sessanta milioni di morti in Europa (per quello che se ne sa). Duecentocinquantamila centri urbani tra maggiori e minori furono ridotti a deserti di silenzio e laghi di liquami. Morti dappertutto, nelle case, nelle piazze, a mucchi davanti alle chiese. Le fosse comuni non bastarono e non bastarono i luoghi dove scavarne di nuove. Nacquero i lazzaretti dove si andava praticamente solo per morire.

Venezia diventò un cimitero galleggiante. Le maschere ancora oggi così diffuse nel carnevale veneziano, quelle col caratteristico becco aguzzo, nacquero allora ed erano usate per proteggersi dall’odore nauseabondo (pestilenziale, appunto) della morte che ammorbava la città e le acque della laguna. Proprio nella protuberanza del becco venivano inseriti tamponi profumati o imbevuti di aceto. Ma non bastarono certo le maschere! La pietà fece molti passi indietro. Gli stessi familiari non si avvicinavano a figli e fratelli malati per evitare il contagio. Molti morivano per la fame prima che per la peste. L’egoismo ebbe presto il sopravvento e raggiunse il parossismo. Come sempre in questi casi, si diffusero le credenze più folli. Si invocavano santi e madonne ritenendo, come detto, che la peste fosse il meritato castigo celeste per peccati di cui l’umanità si considerava colpevole. Ricordo quando esplose anni addietro l’AIDS supposta essere essa pure una punizione divina per la lascivia umana. Da queste convinzioni scaturiva (e scaturisce) il bisogno di conforto. D’altronde quando non ti viene dei tuoi simili non puoi cercarlo altrove che nell’astrattezza della fede che è tanto più incrollabile quanto maggiore è il male da scongiurare. Quando mancano medici e ospedali che alternativa hai? La spiritualità, la religione, la consolazione della fede. A qualche santo devi pure rivolgerti?

Per la purificazione si passa però attraverso le lacrime del dolore. Uno dei pilastri su cui il cristianesimo fonda le sue certezze è proprio la sofferenza del corpo, autentico trampolino per la salvezza dell’anima. Che abisso di differenza con la visione che della malattia e del dolore avevano i Greci! Punire il corpo peccatore dunque fu (ed è) la pratica per scongiurare il contagio. Nacquero allora i flagellanti (che ancora sopravvivono in celebrazioni e riti popolari di tante città del Sud). Torturavano le proprie carni frustandosi con flagelli dalle punte di metallo, vestendo ispidi cilici, segregandosi in cimiteri e luoghi di desolazione, impazzendo in solitudini devastanti, vivendo come morti in mezzo ai morti. E così la morte terrena diventava (e diventa) la porta di accesso al paradiso: la vita eterna dopo la morte! Fu il colpo di genio del cristianesimo, avrebbe detto secoli dopo Nietzsche. La gente pregava e invocava, si tormentava e faceva penitenza, piangeva e si macerava. Erano e sono i comportamenti naturali delle masse, normalmente irrazionali e cieche alla logica cui Platone aveva richiamato l’uomo diciassette secoli prima. In poche parole, era la fine del mondo. La gente non aspettava altro che la morte. Eppure nacquero allora le maggiori università d’Europa e fra le tante discipline presero proprio allora a profilarsi quelle scientifiche (la Scuola medica salernitana, per esempio). Le immagini più frequenti che ci sono pervenute di quel tempo sono quelle di scheletri ghignanti, di teschi sdentati, di simboli della morte con la falce. Ovunque. L’iconografia più frequente del Trecento è costituita da scheletri.

Ahimè, quando si ha bisogno dei santi per sperare in una guarigione l’umanità è messa proprio male! Incredibilmente però, in silenzio e senza rumore, la scienza lavora e scopre, e l’umanità avanza. Dimentichiamo gli oscuri salvatori dell’umanità, però ricordiamo i taumaturghi della Chiesa. A salvare il mondo tuttavia, ancora una volta, non saranno state le preghiere a San Rocco, quanto piuttosto un vaccino che sarà stato messo a punto in un ignorato laboratorio di qualche angolo della Cina, dell’India o di nonsoddove.

Mi piace credere che nessuno si sia sentito offeso dalle mie opinioni e le abbia fraintese. Sono rispettoso delle idee di tutti, fin quando restano idee e non tracimano nel mare magnum della stoltezza e dell’ignoranza.
A questo proposito vorrei rimandarvi alla lettura di una cosa che troverete in rete. Forse è utile a distinguere in maniera più chiara le differenze tra scienza e fede:
(http://www.vittoriorusso.eu/index.php…).
Grazie per la lettura.

 

Mattia Branco

Ho diretto, ho collaborato con periodici locali e riviste professionali. Ho condotto per nove anni uno spazio televisivo nel programma "Anja Show".

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