Dare ciò che si “è” vale più che dare ciò che si “ha”

XXXII Domenica del TO (B) – 7 Novembre 2021

Dare ciò che si “è” vale più che dare ciò che si “ha”

Prima lettura: La farina e l’olio non vennero meno (1Re 17,10). Seconda lettura: Cristo si è offerto una sola volta per tutti (Eb 9,24). Terza lettura: Quella vedova ha dato tutto quello che aveva (Mc 12,38).

Due vedove

1)La liturgia di questa domenica ci presenta due vedove: quella di Sarepta, che aiuta il profeta Elia, rinunciando al suo cibo; quella del Vangelo, che offre i suoi due spiccioli, tutto quanto aveva per vivere. La loro generosità è ancora più nobile, se confrontata con l’atteggiamento dei ricchi, con l’empia regina Gezabele che vive nel lusso, e con gli scribi che “divorano le case delle vedove”. L’antitesi ricchi/poveri è un procedimento frequente nel Vangelo, e serve per annunciare la novità del regno, il capovolgimento che Dio opera nella storia. Le letture sono per noi un invito a riflettere sui nostri gesti esteriori di carità: “Dare ciò che si è, più che ciò che si ha” è la regola d’oro, che qualifica le nostre relazioni umane e religiose.

Chi erano gli scribi

2) I pericoli più gravi sono quelli ben nascosti, che ti colgono impreparato. Se Gesù raccomanda ai discepoli di “fare attenzione” vuol dire che il pericolo è serio! Dopo le controversie con farisei, sadducei, erodiani, ora Gesù rivolge un attacco preciso e deciso contro gli scribi, e ricorre persino all’ironia per essere incisivo. Gli scribi erano in origine gli incaricati di scrivere (=scrìbere) i documenti, ma dopo l’esilio di Babilonia erano divenuti gli interpreti ufficiali della Toràh, fino a formare una corporazione chiusa e prestigiosa. Gesù li accusa:

> di “essere vanitosi” (v.38), perché amavano esibire i loro titoli, la loro cultura, le loro pubblicazioni; passeggiavano con lunghe vesti e indossavano una “divisa” che, come dice il termine, li “divideva”, li separava dagli altri. Il popolo li trattava con rispetto, cedeva il passo nelle strade, riservava i primi posti; non erano salutati con un semplice shalom ma con inchini e baciamani. Cose d’altri tempi! Che dico? Basta uno sguardo nelle università, nella magistratura, nella chiesa e riconoscerete in loro i nipotini di quei pavoni. Gesù ha demolito questa gerarchia fatta di vuoto, e volerla ripristinare non è solo un peccato grave ma un attacco frontale al Vangelo;

> di “divorare le case delle vedove” (v.40): le vedove, insieme agli orfani e agli stranieri, erano le tre categorie sociali più deboli e perciò Dio le aveva sotto la sua protezione (Sal 146,9); molto probabilmente approfittavano dell’ingenuità di queste per farsi pagare parcelle esagerate;

> di “ostentare lunghe preghiere” (v.40): l’evangelista non dice che pregano a lungo per farsi vedere, ma “fanno vedere che pregano a lungo”; non solo sfruttano i deboli ma recitano una sacra commedia, assumono un volto devoto, pregano a lungo in pubblico, attirano l’attenzione degli uomini. Non quella di Dio, per fortuna!

> Vediamo il quadro centrale: “Gesù seduto di fronte al tesoro”: ecco chi è il vero dio del Tempio, è il tesoro, è mammona, è l’interesse. Leggiamo nel secondo Libro dei Maccabei (3,6) che “il tesoro di Gerusalemme era colmo di ricchezze immense tanto che l’ammontare delle somme era incalcolabile”. Nel Libro del Deuteronomio Dio aveva stabilito che, con i proventi del Tempio, bisognava assistere le vedove e gli orfani. Qui gli scribi sono riusciti a fare il contrario: sono le vedove che si dissanguano per mantenere il tesoro del Tempio. Quando Gesù dice: “Lei nella sua miseria aveva gettato tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere”, non è una lode, ma è un lamento per la vittima della religione, perché questa persona sfruttata, anziché essere lei alimentata con il tesoro del Tempio, è lei che alimenta questo ingiustizia. Allora Gesù è radicale: “Di questo Tempio non rimarrà pietra su pietra!”. Un’istituzione religiosa, caduta in mano a faccendieri e banchieri, deve scomparire definitivamente.

Il Vangelo è un imperativo, non una consolazione!

3) Gesù, quando esalta la vedova di Sarepta, completa la sua polemica contro gli scribi. Sarepta era una città del Libano, quindi una regione fuori Israele, straniera, con tutto ciò che questo significava per gli ebrei. Lo straniero non era neppure considerato “prossimo”; la vedova, peggio ancora: era una donna senza identità, senza ruolo. È la solita contrapposizione tra i disegni di Dio e la mentalità degli uomini. Ci interroghiamo: noi, che dobbiamo fare? Può esserci anche una forma di auto-consolazione nell’esaltare i gesti semplici. I laureati e i teologati possono anche fare un’esercitazione retorica sulla grandezza spirituale della vedova straniera, ma non direbbero mai: “E allora questa vecchietta prenda il nostro posto, ci parli, l’ascolteremo con umiltà”. La verità è che i dotti continuano a tenersi la parola! Questa vecchietta suscita simpatia, ma non turba la nostra mentalità. Questa mistificazione è frequente tra i cristiani, perché la rivoluzionaria rivelazione del Vangelo viene diluita, diventa elemento di stabilità: i primi restano i primi e gli ultimi restano gli ultimi; in compenso diamo loro la consolazione che Dio li preferisce, che nell’altro mondo saranno più premiati, che Dio passerà tra loro con le mani piene di regali, in versione Santa Claus o Babbo Natale!

L’economia divina così diversa dalla nostra!

4) In queste due vedove abbiamo due modelli di religiosità autentica: la vedova di Sarepta è una pagana, non adora il vero Dio, ma appartiene al “popolo umile e povero che confida nel nome del Signore” (Sof 3,12); la vedova del Tempio dona tutto quello che ha senza suonare la tromba; i ricchi “gettavano nel tesoro molte monete”; lei non mette molto ma tutto ciò che ha, meglio, “tutta la sua vita”, secondo il testo greco. Ma attenzione: non basta essere vedove per andare in paradiso, né essere ricchi per andare all’inferno. Il Signore non guarda lo stato civile, ma lo stato del cuore. Non usiamo con superficialità la parola “fariseo” come sinonimo di ipocrita, sia perché vi sono stati ottimi farisei amici di Gesù, sia perché l’ipocrisia colpisce ogni persona e ogni religione. Gesù, dopo avere demolito questa religiosità ipocrita (momento negativo), descrive il commovente bozzetto della vedova (momento positivo). Niente di più spregevole della donna nell’antichità, e molto di questo odio è passato dall’orfismo al pitagorismo, da Platone al cristianesimo; se poi la donna era anche vedova e con figli, allora l’emarginazione era completa. Ma a Gesù non sfugge nulla, neppure i due spiccioli di questa vedova, che è entrata per sempre nel Vangelo, in questo libro dei piccoli, degli sconosciuti, degli innominati, che però sono grandi davanti a Dio. Con ironia graffiante, Gesù colpisce gli atteggiamenti boriosi e arroganti di questi “sepolcri imbiancati … razza di vipere”: parole durissime, indirizzate ai farisei di ieri e di oggi.

5) Nel Tempio di Gerusalemme c’era una stanza, detta del Tesoro, che all’esterno aveva come delle trombe, nelle quali cadevano le monete delle offerte; un sacerdote era incaricato di ricevere le offerte e di firmare una ricevuta all’offerente: una nobile gara, un’asta religiosa a chi offriva di più, tra l’ammirazione del pubblico! Lascio immaginare a voi l’ironia, la fretta, il fastidio del sacerdote davanti agli spiccioli di quella vedova. Ma qui cominciano per i discepoli e per noi le novità, le sorprese di questa scandalosa economia divina, i cui conti sono totalmente diversi dai nostri:

▪ Questa della ricchezza è una delle grandi e continue tentazioni: anche Gesù ne fu tentato, e tutti, “in capite et in membris” siamo invitati a riflettere sulla necessità della solidarietà; per questo la chiesa delle origini, “quando tutti i credenti mettevano tutto in comune”, resta un modello, una utopia, che non significa sogno impossibile, ma ideale normativo verso cui tendere.

▪ Donando entrambi gli spiccioli, la vedova diventa modello di generosità; Gesù lo dice chiaro: “tutto quanto aveva per vivere”; la vedova avrebbe fatto bene a tenere almeno uno spicciolo per sé; se avesse chiesto consiglio a qualche direttore prudente, sarebbe stata invitata a non esagerare; per fortuna la donna ha dato ascolto solo al suo cuore. Altro che dare ai poveri o ai terremotati i nostri avanzi, i nostri vestiti consumati, che ci permettono di rinnovare il guardaroba e di sentirci buoni in coscienza!

▪ Davanti a Dio, l’offerta della vedova avrà più valore delle generose donazioni e lasciti dei potenti della terra, che ieri e oggi vogliono perpetuare il loro ricordo “umano, troppo umano” (Nietzsche), facendo costruire chiese e mausolei, ospedali e ospizi con l’immancabile targa e lapide celebrativa. Donare alla chiesa, ai poveri, è un bel gesto, purché sia circondato di pudore e di silenzio: “Non sappia la tua destra … Non suonare la tromba …”. Ricordiamola questa vedova: il suo dono è insignificante, ma è un dono totale, non solo dona a Dio, ma “si dona a Dio”. Buona vita!

השּׁרשים הקּדשים Le Sante Radici

Per contatti:francescogaleone@libero.it

Mattia Branco

Ho diretto, ho collaborato con periodici locali e riviste professionali. Ho condotto per nove anni uno spazio televisivo nel programma "Anja Show".

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