Diciottesima domenica del tempo ordinario (A)

Domenica, 3 agosto 2014

Gesù con gli apostoliCristo ha soltanto i nostri pani per saziare i poveri  

“Commento di don Franco Galeone”

(francescogaleone@libero.it)

 

Sentì compassione per loro

Ci troviamo davanti ad una scena vivace e festosa, ma prima e dopo, due momenti di silenzio. Poco prima della moltiplicazione dei pani, Gesù si ritira in un luogo solitario a pregare; dopo la moltiplicazione, Gesù di nuovo si ritira sul monte, solo, a pregare. E’ una costante della vita di Gesù: ogni volta che le sue parole o le sue azioni potevano essere equivocate, Gesù si allontanava dalla folla che voleva farlo re. Il suo Regno non è di questo mondo; e poi, egli conosce bene la volubile psicologia delle folle, pronte a passare da “hosanna” al “crucifige”. Il miracolo nasce da un moto di amore in Gesù. Matteo, narrando la seconda moltiplicazione, precisa che gli portarono “zoppi, ciechi, sordi e molti altri malati”. Marco, nella sua narrazione, precisa che “erano come pecore senza pastore”. E Gesù li guarisce. Ma non vuole che vadano in giro a cercare qualcosa da mangiare e da bere. E allora, con fare quasi materno, li fa sedere tutti, benedice il pane, benedice i pesci, li dà agli apostoli, e questi alla folla. Senza riti magici, con semplicità, come chi dà un gelato al proprio figlio. Alla fine, si registra il numero delle ceste avanzate piene di pane: 12 ceste, e il numero dei presenti che hanno mangiato: cinque mila uomini, senza contare le donne e i bambini. Gesù è davvero colui che detestava “suonare la tromba davanti a sé”, il pregare in modo da “essere visto dagli altri”. Eppure aveva tutti i titoli per farlo! Una lezione di umiltà, che gli evangelisti hanno ben compreso, visto che hanno raccontato questo miracolo quasi fosse un familiare picnic!

 

Cerchiamo di capire, di decifrare questo episodio scritto in codice, perché noi diventiamo maggiorenni nella fede. Noi insegniamo una religione che seduce a dieci anni e rende atei a venti! Secondo una lettura semplicistica, è Gesù che moltiplica il pane; ma questo miracolo non è uno spettacolo di magia sacra. E’ per tutti un monito alla nostra responsabilità, un appello alla nostra generosità. Occorre attualizzare e interiorizzare: oggi, qui, cosa suggerisce questo episodio del Vangelo alla mia coscienza? Allora, come è avvenuto il miracolo? Un ragazzo (Gv 6,9) è rimasto colpito dalle parole di Gesùe ha messo in comune le sue “cinque pagnotte di orzo e i due pesci arrostiti”. E’ stato un gesto contagioso: come un effetto domino o una reazione a catena, ognuno ha messo in comune le sue cose. E’ avvenuta una poderosa invasione di grazia!

 

A questo punto Gesù è intervenuto. Gesù, per operare il miracolo, non crea il pane dal nulla. Non trasforma, come gli aveva suggerito Satana nel deserto, le pietre in pane. Si serve delle nostre piccole e povere cose, come a insegnarci che il miracolo sarà sempre possibile, ma solo dopo che noi abbiamo aperto il nostro zaino, il nostro cuore. Prima no! Sarebbe comodo lasciare fare tutto a Dioe noi restare artigliati rabbiosamente al nostro pane, preferire magari di buttarlo ammuffito nel cassonetto anziché condividerlo nella fraternità.“Date loro voi stessi da mangiare”: ecco la fede adulta! Anche in questo i ragazzi sono un esempio per noi adulti, forse incalliti nel male, induriti nell’egoismo. Dobbiamo convincercene: Gesù non ha mani, ha soltanto le nostre mani per continuare oggi a sfamare. Cristo non ha piedi, ha soltanto i nostri piedi, la nostra voce, il nostro cuore per continuare ad andare, annunciare, amare gli uomini di oggi, come ha scritto M. Pomilio nel suo’Quinto evangelio’. Ricordiamolo quel ragazzo generoso e diventiamo anche noi generosi!

 

Gesù non si compiace per la folla che lo circonda, che accorre a sentire alle sue prediche. Prova compassione per la folla. Una cosa totalmente diversa. Gesù non si limita a parlare alla moltitudine. Si carica del peso di cia­scuno: « Date loro voi stessi da mangiare ». Quale oratore non ama la folla, non desidera avere un udito­rio sempre più vasto? Tutto sta a vedere se chi si concede volentieri agli applausi della folla, è poi disposto a prenderla a carico. Cosa succederebbe se, terminata la predica, ognuno si presentasse a chiedere qualcosa (già, per una volta, sono gli ascoltatori che passano col cestino in mano a riscuotere dal prete!), a esporre il proprio problema. … La cosa, è ovvio, non riguarda esclusivamente i predicatori. Gesù tenta anche oggi di compiere il miracolo della molti­plicazione dei « responsabili », degli interessati alle vicende dei fratelli. Gesù continua a ripetere a ciascuno di noi: « Tu ci devi pensare ». « Tu stesso dà… ». O, meglio: « Dà te stesso… ». L’equivoco in cui sono incorsi gli apostoli può ripetersi anche oggi. Loro pensavano che, terminato il discorso, fosse il mo­mento di «sciogliere l’assemblea ». « Andate in pace… E il Signore sia con voi!». No. Finita la predica, è il momento dell’accoglienza. È il momento delle offerte. L’offerta di se stessi. E la predica continua con la liturgia delle mani.

Mattia Branco

Ho diretto, ho collaborato con periodici locali e riviste professionali. Ho condotto per nove anni uno spazio televisivo nel programma "Anja Show".

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