Domenica 16 marzo 2014.Seconda domenica di Quaresima (A)

Gesù con gli apostoliDomenica 16 marzo 2014

Seconda domenica di Quaresima (A)

Credere alla luce del Tabor, anche quando scendiamo nella notte! 

“Commento di don Franco Galeone”

(francescogaleone@libero.it)

 

La domenica “della trasfigurazione”

Pietro, Giacomo, Giovanni sono gli stessi apostoli che in seguito abbandoneranno Gesù al suo destino. Pietro che, impaurito di gioia, esclama: “E’ bello stare qui!”, è lo stesso che, impaurito di vergogna, spergiurerà: “Quell’Uomo non lo conosco”. Il Cristo trasfigurato ci esalta, il Cristo sfigurato ci scandalizza! Gesù può regalarci momenti di estasi beatificante, ma può anche chiamarci a vegliare con Lui nel Getsemani; ci  può condurre sul monte Tabor e nel deserto del dubbio. Restare fedeli nella luce e nella tenebre, nel successo e nel fallimento: ecco il problema, ecco il punto diacritico che separa una fede adulta da una religiosità superficiale. Si tratta di continuare a credere nella luce del Tabor, anche quando scendiamo nella valle del pianto.

 

Io sono certo che anche la persona più semplice ha avuto la sua “trasfigurazione” nella vita. Per esempio, quando una mattina, durante l’infanzia, guardando dalla finestra, un albero o un gatto o un fiore … siamo stati riempiti di gioia interiore ed il nostro viso si è illuminato di immenso. O quando, da adolescenti, una nostra compagna, guardandoci in modo tutto particolare – una rivelazione dell’amore, tanto intima – ci fece toccare il cielo con il dito. O in seguito, la nascita di un figlio, un successo professionale, una sorpresa particolarmente gradita … ci hanno fatto sfavillare gli occhi di gioia! Certo, estasi brevi e comunque assicurazioni perentorie di gioia eterna. E in quei “momenti estatici”, come Pietro, abbiamo esclamato: “E’ bello stare così, per sempre!”. Momenti così li abbiamo avuti tutti, anche chi non crede. Ma in quegli attimi eravamo tutti credenti, eravamo tutti sul monte Tabor.

 

Va’ verso il paese che io ti  indicherò!

La metafora del passaggio, del transito, del viandante, descrive bene questi nostri tempi. Niente è più sicuro per nessuno. Una sola cosa è certa: l’incertezza. Dobbiamo muoverci dal vecchio mondo ma non sappiamo dove andare; sappiamo di lasciare l’Egitto, ma dove si trova la Terra promessa? Ecco la domanda alla quale devono rispondere i politici, gli scienziati, ma anche i credenti. Noi, in quanto credenti, non possiamo più abitare, durante il diluvio, nell’arca di Noè, al riparo delle intemperie esterne; l’immagine di una Chiesa, arca sicura dell’alleanza che galleggia in mezzo ai marosi, è un’immagine superata; noi dobbiamo entrare nella comune tribolazione; non possiamo fare della religione una zona franca, un recinto protetto, un perimetro rassicurante.

 

La transizione riguarda tutti i credenti: “Vattene dal tuo paese, dalla tua patria, dalla casa di tuo padre”. La casa di Dio padre, la Chiesa madre … sono tutte immagini di sicurezza, di gratificazione psicologica: chi è nella Chiesa non corre rischi: ha la verità dogmatica, ha la risposta ai problemi. E’ questa presunzione che dobbiamo abbandonare. Siamo tutti in cammino. Vivere la fede come viaggio e non come fermata è oggi il modo di portare la croce, non solo in maniera individuale (ognuno ha la sua croce!), ma in dimensione collettiva. Portare la croce significa anche disponibilità a uscire dalla casa paterna, accettare il rischio della fede, nella convinzione che Dio non delude i suoi figli!

 

Una voce diceva: “Ascoltatelo”

Quel verbo “Ascoltatelo” è davvero un imperativo. Anzi, la premessa necessaria di ogni comandamento, di ogni rapporto personale, di ogni conoscenza. Come si può infatti amare, se prima non si ascolta la dichiarazione d’amore? Come si può rispondere, se prima non siamo stati interrogati da una parola? Come poteva Abramo abbandonare la sua terra, Mosè lasciare il suo gregge, i profeti parlare al popolo, se prima non avessero ascoltato la parola di Dio che li mandava come missionari? Questo comando di Dio sul Tabor richiama quell’altro tanto solenne, che l’ebreo credente ripete ogni giorno: “Ascolta Israele” (Dt 6). Nel Vangelo c’è anche una beatitudine: “Beati quelli che ascoltano”. E noi, siamo cristiani capaci di ascoltare? Il significato di “ascoltare” ci è stato spiegato nel giorno del nostro battesimo, quando, toccandoci l’orecchio, ci sono state dette le parole di Gesù: “Apriti” (Mc 7, 34). Sì, ascoltare vuol dire aprirsi; ascoltare è come la porta che apre tutto il nostro essere. Ascoltare Dio è farlo entrare dentro di noi, “pieno di grazia e di verità”. Davvero, ascoltare la parola di Dio è come un concepimento: un seme di Dio viene piantato in noi perché la vita nostra sia nuova. Fare bene la Quaresima è anche questo: amare e ascoltare la parola di Dio. Non è facile per noi, oggi, disturbati come siamo da tante parole inutili e vuote. Ma quel comando “Ascoltatelo” resta sempre necessario e attuale.

 

 

Mattia Branco

Ho diretto, ho collaborato con periodici locali e riviste professionali. Ho condotto per nove anni uno spazio televisivo nel programma "Anja Show".

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