Domenica 30 marzo 2014(A)-L’uomo: un gigante ma cieco!

Gesù con gli apostoli“Commento di don Franco Galeone”

(francescogaleone@libero.it)

 

Il cieco guarito: il  santo patrono di tutti noi.

Quando Shakespeare, Molière, Pirandello leggevano questo episodio del “cieco nato”, certamente erano presi di ammirazione. Ci troviamo difatti davanti a una commedia piccola ma perfetta: un atto unico ma immortale, giocato ora sul dialogo a due, ora sulla sceneggiata corale, con episodi farseschi e improvvise aperture metafisiche. Gesù è il motore che mette e mantiene tutto in movimento. Ma anche il cieco guarito è un personaggio a tutto tondo: sembra essere uscito dalla penna non di un povero evangelista ma da quella di Dante o di Tolstoj. E che dialettica dimostra! E’ coraggioso, perché difende Gesù di fronte ai suoi nemici; è dialettico, perché riesce a sbeffeggiare quei faziosi che escludono a priori il miracolo. Infine, di fronte a Gesù ritrovato, si apre tutto alla luce della fede. Dobbiamo pregarlo questo credente della prima generazione; potrebbe essere il santo patrono di tutti noi. Non siamo tutti, chi più e chi meno, ciechi? La nostra anima con quante diottrie ci vede? E se qualcuno contraddice la nostra fede, la sappiamo difendere con la convinzione e l’eleganza di questo povero giudeo?   

Come l’acqua, anche la luce è uno dei simboli fondamentali della vita e della religione. Già nel racconto della Genesi, Dio, creando la luce e separandola dalle tenebre, mette ordine e distinzione nel “caos” primordiale, che diventa così un “cosmos” abitabile. Una delle immagini più comuni per descrivere la condizione umana è quella della cecità. La Bibbia aveva già descritto l’uomo come “seduto nelle tenebre e nell’ombra della morte”. Qualcuno ha obiettato che si tratta di immagini riferite al tempo antico. Può darsi! A noi pare che la cecità faccia parte della condizione umana. A forme antiche di mali succedono oggi moduli nuovi di sofferenze: queste si rinnovano come le foglie di una pianta, ma il tronco resta. I supremi perché dell’esistenza esistono e resistono come angosciose interpellanze conficcate nella carne dell’umanità. Perché vivo? Da dove vengo? Dove vado? Cosa mi aspetto? Cosa mi aspetta? In una parola: chi è l’uomo?

Abbiamo costellato di missili gli spazi siderei, eppure l’uomo resta condannato al duro mestiere di vivere, “geloso del suo pianto, sconfitto da domande ancora aperte” (S. Quasimodo). Abbiamo risolto il problema del “come” vivere, ma resta quello del “perché” vivere. Senza la soluzione di questo problema, l’uomo rischia di trasformarsi in un gigante cieco, come Polifemo. Dalle immense potenzialità tecnologiche ma desolatamente povero a livello epistemologico: non sa dirigersi, non può valorizzare le ricchezze.

Oggi è davanti a noi un fenomeno contraddittorio: mentre diventano più luminosi gli occhi della scienza, diventano invece più opachi gli occhi dell’uomo: “La terra, interamente illuminata dalla ragione, brilla all’insegna di trionfale sciagura” (Scuola di Francoforte). Sempre più distinti i nostri obiettivi scientifici, economici, politici; sempre meno distinti i valori dell’uomo, che diventa un mistero a se stesso: “L’uomo, uno zingaro sperduto in un universo gelido, che gli è totalmente indifferente” (J. Monod). La “luce di Cristo” può illuminare queste nostre tenebre. Prepararsi a fare Pasqua significa lasciarsi invadere da questa luce santa!

 

Mattia Branco

Ho diretto, ho collaborato con periodici locali e riviste professionali. Ho condotto per nove anni uno spazio televisivo nel programma "Anja Show".

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