IL ‘PERCORSO’ DELLA CHIESA DA SANT’ALFONSO MARIA DE’ LIGUORI A S. S. BENEDETTO XVI.

 

 di Paolo Pozzuoli

È durato troppo, a parte alcuni incredibili focolai di una atrocità inaudita in terre lontane, il periodo di tregua attuato nei confronti della chiesa cattolica. Continuiamo ad assistere a tutta una serie di attacchi, virulenti e senza precedenti, contro il Papa, capro espiatorio, vittima designata da sacrificare su altari populisti, nel nome di una trasparenza e di una apertura finora nascoste, di una visione diversa rispetto alle precedenti, nonostante le drastiche prese di posizione, il decisionismo, l’atteggiamento intransigente e rigoroso messo in atto nei confronti sia dei sacerdoti accusati di molestie e di aver abusato sessualmente di minori che nei confronti delle alte autorità ecclesiastiche che li hanno tollerati e coperti.

Gli ultimi scandali conosciuti sembravano essersi fermati e cristallizzati ai tempi del Cardinale Paul Marcinkus, presidente dell’I.O.R., la banca del Vaticano, al centro dei più strani ed improbabili traffici, dalle amicizie e dai rapporti molto discussi e chiacchierati, terminale di maldicenze, denigrazioni e malignità, coinvolto – secondo notizie che hanno fatto scalpore – in vari crack finanziari, nella tragica morte di Roberto Calvi, nel rapimento di Emanuela Orlandi, nel presunto avvelenamento di Papa Luciani, presente nell’elenco della P2. Da  allora e fino alla cronaca spicciola di questi giorni, nessun’altra notizia di clericali con il ‘pallino’ della finanza in generale e degli investimenti in particolare. La lacuna è stata colmata la settimana scorsa da un prete pizzicato da finanzieri del comando provinciale di Roma nel tentativo di servirsi di una banca d’oltre frontiera con il duplice scopo di rimanere nell’anonimato e di mettere al sicuro presso paradisi fiscali centinaia di migliaia di euro versati su libretti al portatore e svariati titoli di credito che altrimenti rischiavano visibilità e rintracciabilità. Il tentativo di evasione e di occultamento di capitali, architettato dal sacerdote in un momento in cui la Chiesa cattolica cristiana è attaccata da tutte le parti per i tanti episodi di una scabrosità unica e dei quali si sono resi protagonisti diversi preti in tutte le latitudini, ha aggiunto forte riprovazione ad una esecrabile indignazione. Episodi che, portati alla luce, rivelati e sviscerati in tutte le salse possibili, turbano le coscienze, mettono in difficoltà i credenti, i fedeli, destano profonda indignazione, spingono ad invocare reprimende, sollevamenti da incarichi, condanne, punizioni esemplari. C’è chi si meraviglia e chi prova vivo risentimento, chi fa orecchi da mercante e chi punta l’indice contro, chi fa spallucce e chi giudica, chi è incredulo e chi minaccia, chi lancia anatemi e chi difende, chi sbraita e chi sostiene che sono soltanto voci destituite di ogni fondamento, chi provoca e chi blandisce, chi asserisce che i panni sporchi si lavano in famiglia e chi è pronto a mettere tutto in piazza, chi non tollera l’isolamento dei preti e chi li vuole più presenti, chi aborre il celibato e chi li vede bene sposati, chi esecra il vincolo sacerdotale e chi auspica un ritorno meno traumatico allo stato laicale, chi accusa e tira fendenti e chi spudoratamente invoca dimissioni a tutto spiano. Accuse, insinuazioni, attacchi inauditi alla Chiesa ed al suo Pastore, il Vicario di Cristo in terra, sono segno, stanno a significare un malessere mai sanato, che si trascina da secoli. Significative, in proposito, le parole “il popolo percepisce subito dove c’è la verità e dove la manipolazione; la chiesa non ha paura della verità, mettiamoci sulla strada della ricerca della verità e potremo gustare la libertà di essere figli di Dio e la gioia che i nostri incontri siano sempre più interessanti e questo ci darà la gioia di vivere” pronunciate dal Vescovo della Diocesi di Caserta, Mons. Pietro Farina, all’omelia tenuta in occasione della celebrazione eucaristica nel giorno in cui la chiesa festeggia S. Francesco di Sales. Ancora più incisivo l’intervento effettuato da Mons. Francesco Maria Perrotta (don Ciccio) presso l’Auditorium “Città di Maddaloni” della Fondazione Villaggio dei Ragazzi sul tema “L’opera di S. Alfonso Maria De’ Liguori, Vescovo di Sant’Agata de’ Goti, nella terra di Arienzo”. Don  Ciccio, serafico, rigirando fra le mani le carte ingiallite dal tempo, scovate chissà dove, un tesoro di inestimabile valore storico-antropologico, trasparente testimonianza di un vissuto cui non ci si è staccati né preso le distanze ma addirittura ispirati negli anni successivi, ha posto l’accento su quanto registrato sulla recuperata <<Rubrica Criminalium>> relativamente al comportamento del Clero in terra d’Arienzo nel periodo del ministero episcopale di Sant’Alfonso. “Per una popolazione di circa 10.000 unità, i preti erano molti, più di centotrenta. Ad essi andavano aggiunti i religiosi dei sei ordini maschili sparsi sul territorio: i Domenicani a Santa Maria a Vico, i Cappuccini, gli Agostiniani, i Carmelitani e gli Alcantarini in Arienzo, i Gugliemini a S. Felice. Di essi – preti – neppure la tredicesima parte si occupava della cura delle anime (… il dopo Sant’Alfonso non ha fatto registrare alcuna inversione di tendenza; infatti, Mons. Paolo Pozzuoli, Vescovo di  Sant’Agata de’ Goti dal 1792 al 1799, ‘sant’uomo, dalla morale, rettitudine e zelo veramente commendevoli; umile da andare personalmente, pur Vescovo, mendicando ed elemosinando per masserie e casali al fine di raccogliere i soldi occorrenti per riattare la fatiscente Chiesa di S. Felice, ma al tempo stesso dal carattere forte al punto da non avere alcun timore nel sostenere innanzi al Re l’inopportunità di proclamare sacerdoti personaggi poco degni, implorandolo <Maestà, Vi prego, Vi supplico, non fatelo; non dico che ognuno di costoro non è in grado di curare 10 anime ma 100 di costoro non sono in grado di curare un’anima>’) dal momento che erano costantemente impegnati a celebrare le messe – circa 20.000 all’anno nella sola terra d’Arienzo – presso le numerosissime cappellanie. Per sottrarre all’ozio i preti, Mons. Filippo Albini, grande vescovo, patrizio beneventano, aveva chiesto ed ottenuto dalla Santa Sede l’istituzione della Collegiata di S. Andrea Apostolo; detta istituzione aveva sì ridimensionato la disoccupazione e l’ozio del Clero ma, sostanzialmente, non aveva risolto il problema. Anche per questo – ozio cioè del Clero – in Terra d’Arienzo, accanto a Sacerdoti istruiti e pii, veramente degni di stima e di rispetto (ve ne sono tanti), si registra la presenza di altri che non vivono una buona vita. 9 i preti concubini; un ladro, un altro bestemmiatore; due ubbriaconi; sette che usano violenza fisica alle persone con le mani, con bastone, con spada, con schioppo; uno che danneggia le cose appiccandovi il fuoco. Non manca chi ha profferito parole oscene; o che in giro per cantine e taverne per giocare d’azzardo con carte o dadi. Ci sono preti che vengono alle mani tra loro, anche in Chiesa; che minacciano; che insultano il Vescovo; che non soddisfano ai doveri pastorali. Se, poi, guardiamo alla Diocesi di S. Agata tutt’intera, troviamo inquisiti e regolarmente processati per commercio carnale con determinate persone o, addirittura con prostitute o con persone maritate, 16 sacerdoti; numerosi anche i processi per violenza fisica (= 13 casi); due omicidi;  un ladro, due ubbriaconi; vi è uno che, per dispetto, ha tagliato alberi nella terra del suo nemico; ed altro ancora fra i tanti, più eclatanti, di immoralità. Per estirpare il male alle radici si comprende perché il Santo abbia profuso, per la formazione del clero, tanti sforzi. Non solo i preti. Anche i frati, a Sant’Agata, sono stati una spina nei fianchi del Santo Vescovo per la loro vita scandalosa. A carico di fra Gaetano Cerasuolo c’è stato un processo per pratica carnale e porto d’armi; un processo a carico di fra Filippo Padovano per violenza a mano armata contro il confratello fra Vincenzo Scocca; un altro processo relativamente a tutti i frati perché praticano pubblicamente e con scandalo il gioco; un altro per violenza fisica (fra Salvatore Palma contro Nicola Abbatiello); un altro processo, pure per violenza fisica, a carico di fra Giuseppe Rastiello contro fra Barbato Iapece; un altro processo per pratica carnale, diremo semplice (fra Ignazio Palma con Giovanna Tuocco); infine, un altro processo, sempre per pratica carnale, ma con meretrici, a carico di fra Giovanni Murolo. Si potrebbe osservare che la totalità o quasi di questi frati non era segnata dal carattere sacerdotale. È vero; ma erano pur sempre dei consacrati. Si ha motivo di ritenere che la prima via scelta con questi delinquentes da parte del Santo sia stata quella consueta della carità. Ci furono i processi, è vero, ma ad essi si arrivò certamente per la sorda resistenza opposta dagli irregolari”. In un passato prossimo ricordiamo l’ilare frase ‘… non ho mai visto, fra i tanti che mi sono stati presentati, un prete prete: l’uno molto sportivo, taluno viveur, l’altro p.., e l’altro ancora g…’ pronunciata in un momento di relax da un brillante dirigente di un noto istituto previdenziale. Insomma, ce n’era e ce n’è proprio per tutti i ‘gusti’. A S.E. il Cardinale Bagnasco che nei giorni scorsi esortava i fedeli ad osservare i comandamenti e quindi a non trasgredire, a non essere evasori fiscali, a pagare quindi le tasse, saranno fischiate le orecchie quando, a Santa Maria a Vico presso la sala Sant’Alfonso Maria De’ Liguori della Parrocchia San Nicola Magno, Mons. Francesco Maria Perrotta, nel corso della presentazione del libro “I Mestieri” <‘500 – ‘700 – ‘800 Valle di Suessola in Terra di Lavoro>, asseriva che “l’autorità religiosa non è tassata nemmeno per le tante attività svolte che non hanno niente a che vedere con il ministero esercitato; aggiungeva, inoltre, con palese disagio e molto rammarico, di sentirsi un privilegiato rispetto al resto dei cittadini perché quale sacerdote – e così ogni altro appartenente ai tanti ordini religiosi – è esonerato dal pagamento di talune tasse. Una tradizione – come dire – consolidata nei secoli presso  quelle famiglie facoltose e latifondiste i cui beni immobili erano intestati al familiare – e tutte ne avevano almeno uno – religioso e/o pseudo tale quale poteva dirsi il chierico, al fine proprio di non pagare le tasse dovute. La via scelta dalla Chiesa e gli interventi drastici di Papa Benedetto XVI non restano fermi, ancorati ai tempi di Sant’Alfonso. Sono perfettamente in linea con quanto dettato dal Santo Vescovo: ispirati anche alla prudenza ed alla carità. Processi, emarginazioni, epurazioni, condanne, ecc., appartenendo ad un’altra epoca, non possono incidere e scalfire la nostra trascinando e coinvolgendo la fede, la vera fede che resta intimamente radicata in ogni credente.

 

Mattia Branco

Ho diretto, ho collaborato con periodici locali e riviste professionali. Ho condotto per nove anni uno spazio televisivo nel programma "Anja Show".

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