Il cardine della democrazia è mettere in discussione (anche) le religioni

VOGLIONO TOGLIERCI

LA LIBERTÀ DI CRITICA
2014-06-24 039di Ida Magli – 29/08/2014
 
Islamofobia: strano concetto da usare in un procedimento disciplinare. «Fobia» è, infatti, termine medico che definisce un particolare disturbo psichico, presente in genere nelle nevrastenie, e che si presenta come paura, ripulsione non infrenabile nei confronti di un qualsiasi fenomeno della realtà.
Freud ha aggiunto poi, con le teorie psicoanalitiche sull’inconscio, una spiegazione ulteriore del comportamento fobico affermando che il paziente è indotto a razionalizzare la propria fobia attribuendola agli aspetti negativi degli oggetti o delle persone di cui teme. Siamo sempre nel campo della psichiatria.
Da qualche anno tuttavia, in Europa, e in Italia in particolar modo, le accuse di «fobia» si sprecano.
Non si può aprire bocca su un qualsiasi argomento senza incorrere in questo rischio.
Sarebbe bene, invece, cominciare a ricordarsi quanto cammino abbiamo fatto, quante lotte intellettuali e fisiche abbiamo dovuto sostenere, soprattutto noi, gli italiani, per giungere alla civiltà cui oggi apparteniamo.
Finalmente siamo giunti anche noi, italiani, a poter godere di una democrazia totalmente laica in cui il rispetto per le convinzioni dei singoli cittadini non comporta l’impossibilità di discuterle. Questo è il punto fondamentale di una democrazia sicura di se stessa e della forza della propria libertà: ogni cittadino può e deve poter parlare con tutti gli altri di qualsiasi argomento perché vive in un gruppo ed è la vita di gruppo che forma una società e un popolo.
È secondo questi principi di convivenza nella democrazia che si ha il diritto, ma soprattutto il dovere, di discutere delle religioni. Oggi nessuno ritiene, in nessuna parte del mondo, che le religioni non facciano parte integrante delle culture e delle società.
E ogni religione, proprio perché religione (religio è legame fra Dio e l’uomo) non è un fatto privato, né può essere trattato da nessuno, né singoli né governi né istituzioni, come un fatto privato.
In Italia, poi, per la sua particolare storia, le discussioni e le critiche, anche fortissime, ad associazioni cattoliche, a vescovi, a parroci, a Papi, non sono mai mancate.
Sarebbe sufficiente ricordarsi i dibattiti appassionati per la legislazione sul divorzio e sull’aborto. I cattolici hanno fatto allora tutto il possibile per sostenere le loro tesi che erano appunto fondate su norme dettate da un testo sacro, il Vangelo; altrettanto hanno fatto i partiti laici, e alla fine si sono svolti con assoluta libertà i relativi referendum.
Cosa sarebbe stato dell’Italia, della democrazia in Italia, se qualcuno avesse pensato che i giornalisti non potevano discutere delle norme di un testo sacro, che bisognava porre loro il bavaglio, o intimorirli con provvedimenti disciplinari?
Ho citato esplicitamente il Vangelo perché gli italiani possono supporre che il Corano, scritto diversi secoli dopo la venuta di Gesù, debba in qualche modo somigliargli, riprendere qualcuna delle sue tesi fondamentali.
Siccome è vero il contrario perché il Corano è fondato sull’Antico Testamento,
sulla legge del taglione,
sulla vendetta contro i nemici,
sull’obbligo di convertire gli infedeli,
sui tabù dell’impurità,
è quindi agli antipodi del Vangelo e agli antipodi della civiltà in cui viviamo.
Visto che i musulmani sono già numerosissimi sul suolo italiano e aumentano ogni giorno, è dovere e diritto degli italiani sapere quali siano le norme di comportamento imposte da Maometto ai suoi fedeli, i quali, appunto in quanto fedeli, dovrebbero ritenerle giuste e averle fatte proprie.
Ma chi dovrebbe informarli se non i giornalisti?
L’ipocrisia non è nell’interesse di nessuno oggi in Italia.
Intervengano i musulmani o i loro giornalisti (non gli imam) insieme a noi sui giornali e ci assicurino che, pur essendo fedeli a Maometto, ritengono sbagliate la giustizia del taglione, le norme sull’inferiorità e l’impurità delle donne, sulla fustigazione degli omosessuali, sulla lapidazione delle adultere, sull’uccisione degli infedeli… Noi gli crederemo.
 
 
 

 

 

Mattia Branco

Ho diretto, ho collaborato con periodici locali e riviste professionali. Ho condotto per nove anni uno spazio televisivo nel programma "Anja Show".

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