IL DISCEPOLO CONDIVIDE TUTTO CON GESÙ: LA CROCE E LA GLORIA

30 AGOSTO 2020 – XXII DOMENICA T. O.

IL DISCEPOLO CONDIVIDE TUTTO CON GESÙ: LA CROCE E LA GLORIA

gruppo biblico ebraico-cristiano השרשים  הקדושים

francescogaleone@libero.it

Prima lettura: Mi hai sedotto, Signore, e io mi sono lasciato sedurre (Ger 20,7). Seconda

lettura: Offrite i vostri corpi come sacrificio vivente (Rm 12,1). Terza lettura: Se qualcuno

vuol venire dietro a me, prenda la sua croce e mi segua (Mt 16,21).

La domenica “della strada della croce”

1) Continua l’insegnamento di Gesù ai discepoli. La parola di Gesù, così

feriale e quotidiana, ogni tanto era segnata da laceranti richiami, che provocavano vertigini. Era come un cielo tranquillo d’estate, stracciato improvvisamente da lampi e saette, o come un mare liscio come l’olio improvvisamente stravolto da ondate rabbiose. La terribilità di Dio traspariva allora sulla faccia severa di Gesù. In quegli istanti, gli apostoli capivano di trovarsi di fronte alla maestà di Dio. Era come un lampo, come un’onda spaventosa, come una rasoiata di luce! Per quanto dolce e misericordioso, Gesù restava sempre il Signore della vita e della morte. Gli apostoli, per bocca di Pietro, hanno confessato che Gesù è il messia; ora Gesù fa loro comprendere in che senso: è sì il messia, non politico o diplomatico o armato, ma è il “servo sofferente” (v.21); poi parla delle condizioni per seguirlo (vv.24-25); i verbi adoperati sono: “rinnegare, portare la croce, seguire, perdere la vita”, sfumature di una stessa realtà; chi vuole seguire Cristo deve condividere con Gesù il suo drammatico destino, che culmina sulla croce dove tutto sembra finire, e da dove tutto riparte.

Geremia, il profeta sedotto e abbandonato!

2) Geremia ( יִרְמְיָהוּ ) visse tra il 628 e il 583 a.e.v.. Egli non aspirava a diventare un profeta, ma si sentì spinto su questa via dall’eccessivo servilismo dei sacerdoti corrotti e dei sedicenti profeti. Durante la giovinezza ricevette la vocazione profetica e l’avvertimento dei pericoli ad essa connessi (Ger 1,4). I primi ad opporsi furono i suoi stessi amici e ciò non mancò di suscitare il suo sdegno (Ger 11,18). Durante l’assedio di Ierushalàim gli venne proibito di divulgare le sue profezie, perché deprimevano il morale dei cittadini. La vicenda personale del profeta è testimoniata da una specie di diario intimo, che gli studiosi amano chiamare “Confessioni” di Geremia, distribuito nei capitoli 10-20 del suo Libro. Egli rimane scapolo. Lo fa per obbedire a Dio? O perché Geremia non vuole mettere al mondo figli condannati come lui, alla sua stessa sorte infelice, alle sue stesse sofferenze? Geremia è un sopravvissuto, un testimone: solo lui predisse le catastrofi, le subì e visse per raccontarle. Poche personalità possiedono la sua ricchezza e la sua tragicità.

3) Ingannato dagli amici e anche da Dio: פִתִיתַַ֤נִי יְהוָה֙ וָָֽאֶפָָּ֔ת חֲזַקְתַַּ֖נִי “Mi hai sedotto, Signore, ho ceduto alla seduzione e hai prevalso su di me” (Ger 20,7). Geremia accusa Dio di averlo sedotto. Qui occorre togliere al termine seduzione la patina sentimentale di cui l’hanno coperto certi interpreti, e restituirgli la sua brutale evidenza di azione disonesta. La ragazza sedotta è quella che è stata trascinata al male con lusinghe, allettamenti, inganni. Circuita con raggiri, approfittando della sua ingenuità. Violentata dall’amante! Geremia non dice: “Mi hai affascinato!”. Ma: “Mi hai ingannato, hai approfittato di me. Hai ottenuto quello che volevi e poi mi hai abbandonato, esponendomi alla vergogna e al disprezzo degli altri. E io mi sono lasciato sedurre!”.

Beato te, Pietro … Lontano da me, Pietro …

4) È davvero simpatico Pietro, per questa sua alternanza di eroismo e di paura. Naufraga nell’acqua perché “uomo di poca fede”, ma poi Gesù lo mette a fondamento della sua Chiesa. Pietro insegue sempre ambizioni umane, troppo umane, e oggi si sente un terribile rimprovero: “Lungi da me, satana!”. La traduzione non è esatta. Gesù non vuole allontanare Pietro ma rimetterlo sul giusto cammino: “Vieni dietro a me” cioè: segui i miei passi, non camminare nella

direzione sbagliata! Pietro non ha compreso che seguire Gesù significa prendere ogni giorno la croce e seguirlo. È davvero difficile essere sempre in sintonia con Gesù, anche per Pietro. Figuriamoci per noi! Ma Pietro cosa aveva detto di tanto scandaloso da meritare il rimprovero di Gesù? Egli aveva semplicemente espresso affetto per Gesù, l’augurio che alla persona amata non accada nulla di male. Pietro voleva davvero bene a Gesù; e poi, sapeva di essersi compromesso in tutto con Gesù; un fallimento di Gesù avrebbe provocato anche il suo fallimento. Affetto, quindi, ma anche interesse! Gesù vedeva più lontano e più profondo. In Pietro c’era un diavolo ben più forte di quello affrontato nel deserto; c’erano tutti quei pensatori scettici, quei credenti che si servono della chiesa per farsi una carriera.

La nuova logica del Vangelo

5) Letto il Vangelo, la prima cosa che balza evidente è lo sconvolgimento di tutte le logiche umane. Chi vuole seguire Cristo, deve rinnegare se stesso. Cristo prende in pugno la nostra vita, la rigira come ulive nel frantoio, la spreme come uva nel torchio, perché diventiamo degni di lui. Ci fa piangere, come una madre nelle doglie del parto, quando dobbiamo scegliere il bene e non vogliamo arrenderci. È spada affilata che incide nella carne e nel sangue la parola di Dio. Le dure parole di Gesù mettono ognuno di noi davanti ad un bivio. “Il faut parier”, direbbe Pascal! Alcuni scommettono sul successo terreno, e quindi organizzano la vita e ogni sua attività nella direzione del benessere mondano; altri scommettono sui valori del Vangelo, si affidano a Dio, prendono la croce, perdono la vita agli occhi del mondo. Naturalmente questi due atteggiamenti esistono allo stato puro solo nella mente, perché nella realtà tutti noi passiamo dalla fede al rifiuto di Dio, proprio come Pietro, che prima accetta Gesù e poi lo tradisce.

6) Quante volte abbiamo ascoltato e ripetuto queste decisive e incisive parole di Cristo, così, senza battere ciglio. Sono parole che pesano tonnellate, e noi le edulcoriamo a slogans innocui; sono virus, e noi le riduciamo a vaccino. Ecco allora nelle nostre comunità e nella nostra vita lo scandalo del compromesso, perché facciamo prevalere la politica sul Vangelo, la previdenza sulla provvidenza, la ragion di Chiesa sulla logica divina. È difficile da eliminare quell’astuto Ulisse “fabbricator di inganni”, cioè quella furbizia tutta greca da cui è affetta la cultura occidentale. Ci ritroviamo così un po’ tutti mercenari mediocri; la nostra bandiera è diventata un foulard; una comoda preghiera ci tranquillizza; Dio ce lo siamo costruito a nostra somiglianza. Per fortuna, le

sue parole indicano la strada giusta da seguire; non è una comoda autostrada confortata da motel o autogrill: si tratta di un sentiero, tutto in salita, fra rovi e spine, che conduce alla croce e si conclude con la risurrezione. Che possiamo percorrerlo tutti questo sentiero, fino in fondo! Il Signore ci liberi dalla tentazione di rimpicciolire queste grandiose parole di Gesù. Soprattutto ci aiuti a viverle, sine glossa!

7) Se siamo amici del mondo, questo ci accetta e ci premia anche con il successo e la carriera. Se siamo preoccupati di non disturbare, di recitare le paroline funzionali all’establishment, siamo in peccato! I nostri peccati, sovente, prendono sostanza nel silenzio. Il peccato della maggioranza silenziosa! E il silenzio viene remunerato bene in questo mondo. Un uomo “prudente” piace, può anche fare molta carriera. Convertirsi vuol dire scegliere i valori del Vangelo, e su questi

scommettere tutta la vita. Proviamo a dare alla parola “mondo” un contenuto concreto: i familiari, i superiori, i confratelli, gli amici… Bene, se decidiamo di entrare nella logica nuova del Vangelo, tutte queste persone si cambieranno in nemici. Quando incontreremo rifiuti e persecuzioni per fedeltà al Vangelo, in quel momento dobbiamo dare segno di serenità e di pace. Con fiducia: per

ora siamo solo un po’ di sale, un pugno di lievito, un piccolo seme… niente di più. La storia andrà avanti con i suoi conflitti e i suoi successi. Le promesse del Signore riguardano non i nostri tempi umani, ma l’esito finale. E la risurrezione è al termine del viaggio!

Gesù deve soffrire molto …

8) Il verbo greco déi (δεῖ) designa una necessità assoluta, indiscutibile; nel N.T. si associa a decisioni divine (W. Popkes). Ma nella storia dell’interpretazione biblica questa “necessità” ha posto un problema: Gesù “doveva” soffrire e morire perché così lo aveva deciso Dio? O perché lo stesso Gesù, con la vita che faceva, sarebbe finito male? Se accettiamo che è stato Dio a decidere la sofferenza e la morte di Gesù, alla fine stiamo affermando che Dio ha avuto bisogno della

sofferenza e della morte di suo Figlio. Una simile affermazione è assolutamente intollerabile. In un Dio così non è possibile credere. Stando ai Vangeli, sono stati i sommi sacerdoti, gli scribi e gli anziani a prendere la decisione di assassinare Gesù (Mc 3,6; Gv 11, 47-53). E allora? Come spiegare?

9) Nel cristianesimo primitivo è capitato che i Vangeli sono stati scritti e diffusi dopo l’anno 70, datazione che è generalmente accettata e comprovata (D. Marguerat). Ma molto prima, tra gli anni 40 e 52 le prime «chiese», fondate quasi tutte dall’apostolo Paolo, hanno ricevuto un messaggio diverso da quello dei Vangeli. È stato il messaggio secondo il quale Cristo è morto crocifisso come «sacrificio» ed «espiazione» per i nostri peccati. È stato il Padre a consegnare suo

Figlio per la nostra «giustificazione» e «redenzione» (2Cor 5,21; Rm 3, 24-26…). Per esempio, Paolo dice che Dio “non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha dato per tutti noi” (Rm 8,32). E Gesù, nella preghiera del Getsemani, chiede al Padre che lo liberi dalla morte (Lc 22,42). Tutto ciò sembra indicare che il responsabile di quanto avvenne fu Dio stesso. Quindi, tanto i giudei come i romani furono gli attori obbedienti di un copione tracciato da Dio. Per cui la morte di Gesù è

interpretata nel N.T. come un “sacrificio” religioso (1Cor 10,14; 11,26; Ef 5,2), mediante il quale Gesù Cristo ha redento l’umanità da tutti i suoi peccati. Tutto ciò è vero! Ma questo modo di spiegare la morte di Gesù è una spiegazione, meglio, un’interpretazione teologica che i cristiani dovettero dare del fatto storico. Una cosa è il “fatto” della morte di Gesù e altra cosa è la “interpretazione”, che i cristiani diedero di questo fatto. Queste due interpretazioni della morte di

Gesù, quella dei Vangeli e quella di Paolo, non si sono integrate debitamente nella teologia cristiana. Ma il fatto storico ci dice che Gesù è morto come un sovversivo fallito, per solidarietà con tutti coloro che soffrono in questo mondo. Questo è l’aspetto fondamentale. E dovrebbe essere quello determinante per la Chiesa.

10) La teologia cristiana ha reso un cattivo servizio a Gesù, quando lo ha presentato come il capro espiatorio, quando ha teorizzato l’espiazione vicaria, come se Dio avesse bisogno di sangue per placare la sua ira! La novità positiva che sta sorgendo è che oggi si vogliono eliminare i capri espiatori, le vittime sacrificali, quelle pratiche religiose che, invece di rendere felici, producono sofferenza alla gente. L’espiazione vicaria di Cristo non è un “pagare”, uno “scontare” a nome degli altri, e nemmeno un “essere punito” al posto di altri. Ma è l’attualizzazione storica e definitiva del perdono di Dio: il protagonista attivo è Dio che con il suo amore perdona i peccati. Il N.T., scritto da ebrei per ebrei, spiega la crocifissione di Cristo in termini affini al rito espiatorio dello Yom Kippur. Il pericolo insito in questo approccio è di “proiettare su Dio tratti indubbiamente imbarazzanti, al punto di dipingerlo come un giudice inflessibile che esige il pagamento di tutti i debiti sino all’ultimo centesimo, più che come il Padre misericordioso del Vangelo” (G. Rota, Dedizione solidale o espiazione vicaria, 2006). Nietzsche considerò questa teoria una sovversione del Vangelo: “Ah, come d’un colpo il Vangelo scomparve! Il sacrificio espiatorio, e questo sotto la forma più ripugnante, la più barbara: il sacrificio dell’innocente per gli errori dei peccatori! Che spaventoso paganesimo!” (L’Anticristo, p.54).

11) La Chiesa non ha stabilito ufficialmente un’unica teoria della redenzione.

S. Agostino (354-430) nel suo De Trinitate esclude che il sacrificio di Gesù abbia il fine di trattenere l’ira del Padre, ma la sua impostazione è stata oscurata da

S. Anselmo (1033-1109), che sviluppa una tesi di tipo giuridico: la giustizia di Dio ha preteso un sacrificio umano, quello del suo stesso Figlio. Ma Anselmo quale idea di Dio aveva in testa? Un Dio sadico, che esige sangue innocente, non è quello del Vangelo e merita una cosa sola: il rifiuto! Giustamente la sua teoria ha provocato sempre discussioni e in tempi recenti è stata contestata anche dai teologi cattolici tedeschi J. Ratzinger, H. Kessler, K. Rahner, H. Küng e D. Wiederkehr.

Mattia Branco

Ho diretto, ho collaborato con periodici locali e riviste professionali. Ho condotto per nove anni uno spazio televisivo nel programma "Anja Show".

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