IL RICCO, QUESTO STOLTO E SFORTUNATO! (Lc 16,19)

Domenica 25 settembre 2016

25 settembre 2016 – XXVI Domenica del Tempo ordinario (Anno C)

IL RICCO, QUESTO STOLTO E SFORTUNATO! (Lc 16,19)

A cura del Gruppo biblico ebraico-cristiano  השרשים  הקדושים   francescogaleone@libero.it/sayeretduvdevan@yahoo.it

  1. Dalla celebre parabola – che solo l’evangelista Luca ci ha trasmesso – appare la predilezione di Dio per Lazzaro e per tutti i poveri di ogni tempo e di ogni luogo. Forse Cristo si è ispirato a qualche fatto realmente accaduto. Ricchi dal cuore di pietra ce ne sono sempre stati. Gli insegnamenti sono tanti. Ne evidenziamo solo alcuni: a) il destino ultimo, una volta fissato, è immutabile; b) solo donando ai poveri, possiamo farci perdonare la ricchezza; c) la realtà dell’inferno, tante volte negata o messa in dubbio, riceve qui una terribile conferma; d) soprattutto: l’inferno è non amare; non amare è una colpa; non essere amati può essere una sfortuna; amare è già vivere felici sulla terra; ma occorre ristabilire il vero significato della parola amare, che è un verbo transitivo attivo, non passivo o riflessivo; il che significa che io devo fare qualcosa per gli altri, devo uscire da me stesso; amare non significa ricevere coccole, aspettare affetto dagli altri, mettere al centro il proprio io. Sarebbe egoismo o narcisismo. Stiamo assistendo a tante svalutazioni, forse la peggiore è quella dell’amore!
  2. Per la terza e ultima volta appare nel vangelo di Luca l’espressione uomo ricco (ανθρωπος πλούσιος). Questa espressione è sempre negativa. E’ già apparsa una prima volta con l’uomo stolto, sciocco, ricco, ingordo, che demolisce i granai per costruirne degli altri, e il Signore gli dice: Oh stupido! Questa notte muori e tutto quello che hai lasciato, per chi sarà? Abbiamo poi sentito domenica precedente la stessa espressione nell’uomo ricco che loda il fattore disonesto e Gesù denuncia il fatto che la ricchezza è sempre disonesta. E questa è la terza volta, nella parabola del ricco anonimo e del povero Lazzaro.
  3. C’era un uomo ricco, e con un’abile pennellata Luca ne fa un ritratto: indossava vestiti di porpora e di lino finissimo. Oggi potremmo dire che vestiva firmato da capo a piedi; la povertà interiore ha bisogno di esprimersi nel lusso esteriore. Luca non dice che questo ricco sia malvagio, cattivo, nulla di tutto questo. Anzi! Un uomo ricco, secondo la tradizione biblica ebraica, era benedetto da Dio perché Dio premiava i buoni con la ricchezza e li malediva con la povertà.
  4. Un povero, di nome Lazzaro: notate che il ricco non ha un nome; Lazzaro invece sì; è l’ unica volta che un personaggio delle parabole ha un nome, e questo nome significa Dio aiuta. Stava alla sua porta, coperto di piaghe. Le piaghe erano considerate un castigo inviato da Dio (Deuteronomio, 28). Quindi è un uomo che è colpevole della sua miseria e delle sue piaghe. I cani – cioè gli animali più impuri – venivano a leccare le sue piaghe. Quindi è impuro chi vive fra gli impuri. Ebbene, a sorpresa, dice Gesù: Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli. L’uomo che sulla terra aveva come unica compagnia gli esseri più impuri, i cani, viene portato dagli angeli, cioè gli esseri più puri, quelli più vicini a Dio. Abissi incolmabili: tra ricco e povero, cielo e terra, tra lauti banchetti ed estreme indigenze, centro e periferia, felici convivi e cani in libertà. Dualismi irriducibili, come tra essere ed avere. Lazzaro è lo sventurato, senza privilegi, senza né arte né parte, è il capostipite dei ‘lazzari’ nella storia. Il ricco ha, Lazzaro è. Si confrontano, e qui s’affrontano l’avere e l’essere.
  5. Ancora il denaro, ancora la ricchezza. Qui siamo al famoso ricco epulone. Fin da bambini abbiamo sentito parlare di questo disgraziato che finiva arrostito nell’inferno, e solo perché era ricco, mangione, ghiottone. Ci sembrava anche esagerata quella condanna all’inferno. Neppure una goccia d’acqua! Ma che abbiamo da spartire con lui? Ci vestiamo forse di porpora e bisso e banchettiamo? Per niente: mangiamo la nostra bistecchina magra, la nostra insalata poco condita, e via subito, perché si deve tornare al lavoro, e poi abbiamo questa dannata tendenza ad ingrassare. Sì, ad ingrassare, non per il mangiare ma per lo stress … E i poveri? Dove sono finiti mai i poveri? Chi lo vede più Lazzaro? Insomma, siamo ciechi, accecati dalla nostra unica ricchezza: noi stessi. Non il bell’abito o i banchetti succulenti, ma l’io, soltanto l’io. Solo il nostro io ci preoccupa; se mangiamo poco lo facciamo per lui, se lavoriamo con i denti serrati è sempre per lui, se ci concediamo regalini è ancora per lui. Ci amiamo svisceratamente. Siamo gli dei di noi stessi, ecco tutta la nostra ricchezza e guai a chi ce la tocca.
  6. Leggiamo con attenzione questa lettera mandata ad un giornale: Io ho un’esistenza agiata, ma mi accorgo che stavo meglio quando io e mio marito non possedevamo niente, e quello che lui guadagnava ci bastava appena per arrivare alla fine del mese. Adesso mio marito ha una buona posizione, abbiamo la villa in città, la casa al mare, terreni e alloggi il cui affitto ci consente di migliorare ancora le già buone entrate di mio marito, professionista stimato. Io ho la macchina personale, pellicce, gioielli, tante conoscenze, inviti in società … ma tanto vuoto attorno! Ora che abbiamo raggiunto il benessere, i parenti ci invidiano e si sono allontanati. Se io faccio loro dei bei regali, si sentono umiliati perché non possono ricambiare. Se agisco altrimenti, sono egoista. Prima, a natale o per l’onomastico, tutti avevano un pensierino per me, ed era una festa scartare tutti quei pacchettini. Ora non mi mandano più niente perché tanto “ho già tutto”. I figli sono ormai grandi e indipendenti, e anche mio marito, l’unico uomo della mia vita, purtroppo è cambiato. Da giovane era serio, ora fa i complimenti alle donne più giovani, e mi sono accorta di qualche tradimento. A me rimprovera di essere vecchia, ma che non mi devo lamentare perché non mi manca niente. Non sono nemmeno più sicura di conquistarmi il paradiso: mi propongo di aiutare i poveri e poi passo davanti a un gioielliere e non resisto alla tentazione di comperarmi un bell’anello; decido di andare a trovare i vecchietti all’ospizio e poi mi lascio convincere dalle amiche a passare il pomeriggio giocando a carte … Così passano gli ultimi anni della mia vita, e mi sento sempre più sola e triste, sempre più ricca e sempre più povera di amore!
  7. Nella mentalità corrente, l’immagine del ricco è associata a quella della gioia, e invece sovente non è che la maschera della felicità: sotto c’è un’anima costretta a subire il soffocamento provocato dall’avere. Il ricco non si rende conto che la felicità non è un pezzo di torrone da sgranocchiare in solitudine, ma da condividere. I ricchi hanno trovato la porta del cielo sprangata con su scritto Off limits. Guai ai ricchi: forse questa maledizione ci toglierà il sonno, forse moriremo di paura, ma sarà la nostra salvezza. Si dice che con il denaro si può ottenere tutto, eccetto questo: cancellare le taglienti parole di Cristo. Dobbiamo amare i ricchi, non per i favori che ci possono fare (molto difficile!), ma perché sono i nostri fratelli più poveri. Il peggior servizio che possiamo rendere ai ricchi è quello di tacere; il ricco è già tradito dalla sua ricchezza, non è giusto che debba subire anche il tradimento del silenzio dei cristiani. Ma attenzione a non parlare dei ricchi in termini classisti, con mentalità razzista. Anche io sono ricco. Chi è il mio dio? Qual è il valore, il bene più importante della mia vita? Per chi o per che cosa lavoro giorno e notte?
  8. Dobbiamo a E. Mounier uno dei ritratti più realistici del ricco; la ricchezza segue un tragitto ben chiaro, che possiamo così sintetizzare:
  9. a) dalle mani al cuore: il cuore, secondo la Bibbia, è il centro della persona, e Dio è geloso di questo centro; se e quando arriva il denaro, egli se ne va, esiste incompatibilità fra Dio e Mammona; per il ricco Dio è un articolo di lusso non una necessità esistenziale, ma Dio non accetta questa sua riduzione a ornamento, a optional, a strumento;
  10. b) dal cuore agli occhi: la ricchezza danneggia la vista irreparabilmente, per cui il povero è visto in modo sbagliato: come strumento per guadagnare il cielo; perciò il ricco ha bisogno del povero per fargli l’elemosina, per tranquillizzare la propria coscienza. Il povero diventa l’uomo a servizio del ricco: Tanti pensano che quando si fa qualcosa per i poveri, si fa loro un dono, ma non è così. Quando si fa qualcosa per i poveri non si fa la carità, si paga un debito (Don L. Milani);
  11. c) dagli occhi al cervello: il ricco diventa incapace a comprendere la storia; qualche signore per bene, scandalizzato davanti a certe realtà, esclama: Non si capisce niente! Il ricco non comprende che i poveri fanno la storia, perché provocano cambiamenti di strutture, nella direzione della giustizia; il ricco ha bisogno invece che le strutture di privilegio non cambino, ha bisogno del disordine costituito Quieta non movère!
  12. d) dal cervello a tutta la persona: il denaro sfratta l’ex padrone di casa; espelle, aliena l’uomo da se stesso. Chi più sfortunato del ricco? Eppure anche il ricco può salvarsi: è difficile ma non impossibile. Siamo ben lontani dalla concezione del povero come mezzo per la mia salvezza. Si tratta allora di rispettare il povero, non di beneficarlo, di onorarlo e non di fargli la carità. Come non ricordare S. Agostino: Il povero ha bisogno di un tetto, ma il ricco del cielo; lui non ha denaro, ma al ricco manca la giustizia.
  13. Attenzione a non dare a questa parabola una lettura pietistica o devozionale. La fede è anche principio di indignazione, di lotta, non solo di rassegnazione e di attesa. Dobbiamo chiederci quindi come dovrà essere l’assetto della società del futuro:
  14. a) il primo principio è che le ricchezze della terra sono un bene comune dell’umanità. Lo sostenevano già i teologi del medioevo! E la proprietà privata? Qualcuno l’ha definita un furto! Non basta. Occorre modificare la qualità della vita, il progetto di una vita, incentrato non sul consumo dei beni della terra, ma sullo scambio tra gli uomini: da una terra divisa ad una terra condivisa!
  15. b) da queste considerazioni emerge l’obbligo di un esame delle complicità storiche che noi possiamo avere con il mondo degli Epuloni. Il mondo cattolico è nella giurisdizione del ricco Epulone; il mondo cristiano non è nella giurisdizione di Lazzaro. Perciò il giudizio di Dio è contro di noi;
  16. c) una riflessione sulla povertà professata dai monaci: oggi non può trattarsi di una povertà individuale o monastica o ascetica; il voto di povertà, oggi, dev’essere anche un impegno di solidarietà con i minores, come li chiamerebbe Francesco di Assisi. Ci sono religiosi poveri ai quali non manca nulla, e comunità di religiosi che sono autentiche macchine per fare soldi!
  17. d) ma occorre anche liberare i poveri dalla volontà di prendere al banchetto il posto lasciato libero eventualmente dai vecchi commensali. Sarebbe tragico se il povero sogna di diventare come il ricco. Il nostro compito sarà quello non di sostituire il povero con il ricco, ma di mostrare la possibilità di una nuova tavola di valori fondata sulla comunione e sulla solidarietà. BUONA VITA!

 

Mattia Branco

Ho diretto, ho collaborato con periodici locali e riviste professionali. Ho condotto per nove anni uno spazio televisivo nel programma "Anja Show".

Potrebbero interessarti anche...

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *