IRENE PIVETTI INTERVISTATA DA MARIA GRAVANO SU:ONLY ITALIA, LAVORO E IMPRESE INTERNAZIONALIZZARE PER CRESCERE

Maria Gravano

In occasione di una particolare ricorrenza, Irene Pivetti, donna di carattere, autentica, speciale, dai  molteplici impegni e dalle infinite risorse, dall’invidiabile curriculum (una laurea in Lettere con lode, Parlamentare e Presidente – la più giovane – della Camera dei Deputati, fondatrice del Movimento ‘Italia Federale’ e Presidente UDEUR, partito nel quale confluì questo suo Movimento, docente presso famosi Atenei, giornalista professionista, direttrice di periodici, opinionista, autrice e conduttrice di programmi TV, curatrice di volumi sulla lingua italiana) ha parlato a cuore aperto del recente passato e del presente ma  con lo sguardo rivolto al futuro con la sammaritana Maria Gravano, giornalista in carriera, dal curriculum di tutto rispetto: una laurea in Scienze Politiche, Master in Comunicazione e Marketing, pubblicista, conduttrice sfilate di moda, opinionista TV, anchorwoman, relatrice e moderatrice in convegni. Una intervista non intervista, piuttosto una conversazione schietta, sincera, amichevole, una chiacchierata confidenziale e stimolante al tempo stesso, del tipo di quelle che vengono in genere intessute fra due splendide persone, siano esse amiche e/o l’insegnante al primo incarico – che intanto ha cambiato mestiere – e l’alunna, allora emergente, che cerca oggi di farsi largo nel mondo del lavoro, che si sono per caso ritrovate dopo qualche tempo. Una chiacchierata ricca di spunti e di insegnamenti, nel corso della quale è emerso lo spirito della donna allevata a pane, arte e cultura, della donna impegnata in politica e nella società, della combattente di razza che non perde occasione per battersi, spezzare una lancia a favore delle donne, di tutte le donne, indistintamente. Da linguista non ha condiviso, ha preso le distanze dalla parola ‘femminicidio’ di cui si fa ormai largo uso, entrata nel lessico comune (… è sinceramente brutto sia perché suona male sia per l’interpretazione, spesso ‘colorita,’ che si dà alla parola ‘femmina’; invero, eliminando il ‘ni’, resta un francesizzante ‘femmicidio’, meno duro, piuttosto armonioso; ancora, che dire di ‘gunecidio’, dal greco ‘γυνή’, donna,?). Dalla politica, appreso il funzionamento delle istituzioni, si aspetta responsabilità e decoro. Da donna con la maiuscola ‘vede’ una donna alla Presidenza del Consiglio dei Ministri e/o alla Presidenza della Repubblica; nelle more, è stato raccolto il messaggio finalizzato a nominare una donna ai vertici degli istituti bancari: dai primi del mese di maggio c.a. Laura Frigenti, romana di 53 anni, è stata promossa vicepresidente operativa della Banca mondiale con  la responsabilità dell’area Eca (Europa, Italia compresa, e dell’Asia centrale) e Valeria Sannucci, altra romana, è stata nominata Vice Direttore Generale della Banca d’Italia. Il presente è  tutto rivolto  al nuovo impegno assunto quale promotrice, attraverso la Learn to be Free Onlus ed Only Italia, di prodotti italiani in Cina. Nel futuro ‘recuperare ed affrontare il tema dei territori marginali dei piccoli comuni’. Di seguito, <l’intervista> originale ed in esclusiva che siamo onorati e lusingati di ospitare. (Paolo Pozzuoli)

L’IMPEGNO DI IRENE PIVETTI

In questo periodo storico si parla molto della necessità di innovazione. Abbiamo avuto modo di conoscerla come politico: è stata la più giovane presidente donna della Camera dei deputati; successivamente, l’abbiamo vista abbracciare la scena del palcoscenico televisivo in qualità di conduttrice ed autrice di programmi, occasione in cui ha dimostrato capacità di cambiamento e di umiltà. Da ultimo la vediamo attivamente impegnata nella Learn to be Free conosciuta come LTBF Onlus ed Only Italia. Stiamo parlando di Irene Pivetti.

Presidente anche la LTBF fa parte di innovazione e in che modo rappresenta una risorsa per il lavoro e le imprese?

In verità mi sono ritrovata io stessa ad aver realizzato questo progetto senza sapere che fosse innovativo. In  tutti questi anni di vita pubblica mi è stata continuamente fatta un’unica richiesta: mi aiuti a trovare lavoro. Il problema delle persone è sempre stato il lavoro. Nel 2008, dopo diversi anni che ero fuori dalla politica, ho cercato di fare quanto mi era possibile muovendomi in questa direzione ed ho creato uno strumento per aiutare le persone a trovare occupazione. Inizialmente ho percorso la strada classica facendo formazione e, da qui, il nome Learn To Be Free. La formazione aiuta, dà libertà di azione e ci rende capaci di gestire il nostro destino. Mi sono però resa conto in brevissimo tempo, sei mesi, che anche se importantissima, il vero nodo non era questo: un disoccupato formato è meglio di un disoccupato ignorante ma sempre disoccupato resta! Chi non ha lavoro ha bisogno di un’azienda intorno  per lavorare. Ed è così che la Learn To Be Free ha scoperto la sua vera natura e vocazione: essere una struttura per far nascere aziende. Un vero e proprio incubatore di imprese a cui siamo arrivati successivamente. Inizialmente abbiamo pensato di intervenire su aree dove le imprese non ci sono ed è virtualmente impossibile il loro sorgere; si tratta di zone  deindustrializzate, a bassa densità popolare, dove mancano le infrastrutture. Sono paesi nel senso di paesini. Tutta l’analisi è frutto soltanto della nostra esperienza empirica. Non sapevamo come stessero le cose, che tipo di intervento noi dovessimo fare e il problema di far nascere un’azienda per un disoccupato ci ha portato alla scoperta di un target omogeneo di questa richiesta: piccoli centri spopolati. Cosa alla quale non si pensa mai. Quelli sono i contesti dove maggiore è la povertà e la richiesta di lavoro. Oggi, dopo diversi anni che lavoriamo su questo tema, mi è chiaro anche il perché: la base imponibile è molto ristretta per la cura di un territorio molto vasto e questo è il significato della bassa densità, il che vuol dire che su quel territorio l’amministrazione locale può investire poco o addirittura non investe affatto. L’accumulo degli indicatori di povertà in Italia si verifica soprattutto nei centri minori: sotto i 5.000 abitanti in maniera parossistica, sotto i 10.000 in maniera abbastanza costante. I piccoli centri sono tutti concentrati nelle zone di collina e montagna, per cui siamo progressivamente diventati una struttura che interveniva con la costanza preoccupante sempre su questo tipo di territori poveri, che non sono nord o sud, ma basso-alto; in sintesi, sopra una certa quota si inizia a trovare spopolamento e povertà. Questo è un tema politicamente orfano che meriterebbe di essere molto sostenuto ma di cui non si occupa proprio nessuno e da sola la LTBF non ha le forze per poterle sostenere; possiamo intervenire come una piccola croce rossa che stabilizza ogni tanto qualche malato grave, però non siamo un grande policlinico di cui ci sarebbe bisogno per sanare su vasta scala questo tipo di problematiche. Il metodo di intervento, a sostegno delle imprese e quindi del lavoro in queste aree, richiede una forte interazione con le amministrazioni locali e soprattutto la loro buona volontà (non di soldi); se questa manca, è impossibile fare qualsiasi cosa e parlo al vaglio di esperienze negative. L’azione della LTBF è innovativa. Ma non lo sapevo perché pensavo ci fosse qualche strumento politico per intervenire su zone di questo tipo; mi sembrava così evidente, per cui sono innovativa contro voglia e mi piacerebbe sviluppare in maniera adeguata tutta questa problematica emersa con a fianco i giusti supporti istituzionali perché noi non siamo una multinazionale che può agire su vasta scala.

Quali sono le altre attività della Learn To Be  Free?

Una è il Festival delle Identità, un’iniziativa culturale destinata a questi territori per la promozione ed il marketing territoriale in modo da valorizzare queste aree e portare attività culturali di qualità. Si chiama Festival ma è una piattaforma culturale che dura tutto l’anno su tutte queste zone e contiene: a)una rassegna cinematografica internazionale, b)un premio letterario anch’esso internazionale, c)spettacoli teatrali, d)musica e convegni di carattere istituzionale. Ha un ricchissimo programma ed un suo sito. Inoltre, abbiamo dato vita ad un’attività di service ossia una web tv che presta particolare attenzione alle problematiche delle imprese della pubblica amministrazione. Si chiama Web to be free. Da ultimo, nel 2011, è nata, strada facendo, una seconda creatura Only Italia che, parimenti, ha un suo sito, ed oggi vive in maniera totalmente autonoma rispetto alla madre, ossia la LTBF.

In che modo Only Italia promuove il made in Italy in Cina e la partnership tra imprese italiane e quelle cinesi?

Only Italia è un altro degli strumenti utilissimi: di essi, uno era la valorizzazione dei territori e l’interazione con le pubbliche amministrazioni minori, l’altro cercare di salvare le aziende ed impedire loro di chiudere. In particolare, con Only Italia ci occupiamo di aziende produttrici i cui prodotti possono essere venduti sul mercato che tira visto che quello italiano è in decrescita. Only Italia è dunque una rete di imprese italiane che producono di tutto (cibo, vino, mobili, moda, gioielli etc.) e si preoccupa di venderne i prodotti sul mercato cinese. Abbiamo costruito una rete di rapporti molto solidi in Cina, anche alcune società, e stiamo aprendo punti vendita Only Italia che, in sintesi, è una vera rete di vendita per vendere i prodotti del circuito. Oggi, la situazione è tale che stiamo vendendo prodotti di aziende italiane ancora non entrate nella rete vera e propria; intanto, vengono contrattualizzati e portiamo in Cina la loro produzione. L’ingresso in rete passa dal notaio e, pur contribuendo questo ad enormi vantaggi, le imprese hanno paura e sono schive ad azioni burocratiche di questo tipo; ci sono molte problematiche psicologiche annesse che per noi sono molto faticose da gestire ma le gestiamo.

Perché gli imprenditori sono spaventati ad intraprendere e in che modo Only Italia può aiutarli?

Oggi, la situazione è tale che gli imprenditori sono disperati e preoccupati; la crisi ha, infatti, generato una figura geneticamente impossibile che è l’imprenditore depresso. Il leader di un’azienda non può essere depresso perché questo gli impedisce di intraprendere ed infatti gli impresari non intraprendono più perché hanno timore, hanno preso fregature, non hanno più soldi, non hanno più voglia; sono maciullati dalla burocrazia e non da ultimo si sentono odiati da tutti. Quindi, per non essere schiacciati, evitano anche le iniziative più semplici, poco costose e poco rischiose perché ora vedono fantasmi anche dove non ci sono. Questa è la realtà per l’assoluta maggioranza delle piccole e medio imprese italiane. Per questo motivo stiamo offrendo alle aziende la soluzione di ogni qualsiasi bisogno che esse possano avere e ci stiamo riuscendo. La Learn To Be Free è determinante per Only Italia ma non è collegata alla sua rete di imprese in quanto Onlus è una madre esigente di questa iniziativa ed impone ad Only Italia rete di lavorare davvero per gli ultimi. Se non ci fosse questa impostazione originaria, io credo che avrei salutato ¾ degli aderenti perché sono imprese che hanno anche prodotti di pregio ma con le quali è faticoso il rapporto. In questa situazione un po’ paradossale, ci troviamo a nostro agio perché siamo nati non per farci dire grazie ma per risolvere i problemi; poi, con il tempo, forse ci ringrazieranno anche; ed infatti, le ditte che stanno cominciando ad avere benefici da questa operazione si rendono conto di che fortuna sia.

I cinesi amano i prodotti italiani perché il made in Italy ha bisogno dell’iniziativa di Only Italia direttamente in Cina?

Dire che il nostro Made in Italy è molto richiesto in Cina – siamo i primi nei loro desideri – è una mezza verità; all’inizio è così; ma il mondo è competitivo ed i cinesi sono persone normali, non sono dei folli innamorati a tutti i costi dell’Italia. Come qualunque consumatore che si rispetti, vuole una cosa e compra quella che trova. Il cinese vuole molto il Made in Italy, ma se poi trova il Made in France compra quello, se vede l’olio spagnolo acquista l’olio di produzione spagnola e se trova un designer tedesco si serve dell’offerta tedesca. Se noi non siamo sul loro mercato, il cinese non viene a cercarci e questo, non dovremmo ma dobbiamo mettercelo in testa; è inutile farsi complimenti a distanza. I cinesi vogliono i prodotti italiani delle griffe più conosciute (la Ferrari, Ferragamo e le Tods) che, fatto un breve elenco e volendolo allungare, arriva a dodici aziende conosciute come eccellenza e luxury brands. Tutto il resto dell’Italia che fine fa? Only Italia è lì per tutte le ditte italiane che non sono rappresentate e che, pur essendo di altissima qualità, non sono ad elevatissimo marketing.

Aver svolto un ruolo politico ha contribuito alla nascita della LTBF e di Only Italia? Se sì, in che misura?

Per un verso moltissimo, perché ho capito a fondo come funzionano le istituzioni e mi sono potuta liberare dalla paura che avevo. Anche molti imprenditori non si avvicinano alle istituzioni in modo corretto perché ne hanno terrore, trasformato a volte in disprezzo e odio alla casta ma, in realtà, analizzato, è solo un approccio aggressivo-difensivo. C’è una profonda diffidenza nei confronti del mondo delle istituzioni che però se lo sai usare può rivelarsi molto utile: non ti dà le soluzioni e neanche denaro di questi tempi, ma può dare un autorevole contenitore. Autorevolezza e credibilità verso il partner estero, verso i membri di una associazione o di una organizzazione per esempio. Se sei in grado, con le tue forze, di raggiungere l’obiettivo l’istituzione ti ci consolida: questa è la sua funzione. Oggi ho l’orgoglio di dire che Only Italia ha ricevuto una targa di congratulazioni da parte del Presidente Napolitano. Non è una cosa che il Presidente della Repubblica consegna facilmente. Bisogna guadagnarsela. E’ un grande riconoscimento, non è denaro, non ci paga una sola bolletta, non ci apre un colloquio con un solo cinese, però è un segnale inequivocabile della nostra credibilità. L’istituzione può essere molto importante in questo senso. Il secondo aspetto, e questo vale anche per la Learn To Be Free, è l’aver sempre operato con moltissimi patrocini istituzionali. Aver fatto politica invece non mi è servito affatto ad avere qualche amico che mi facesse favori, per avere una sola raccomandazione a vincere un bando, per ottenere un euro o per avere una commessa importante; in quel senso non mi è servito; piuttosto mi è stato di ingombro. Però la prima parte e quindi sapere come funzionano le istituzioni è stata molto importante.

Con la sua nomina nel 1994 a Presidente della Camera dei deputati ha contribuito a porre l’attenzione sulla questione delle quote rosa in Parlamento. Da allora ad oggi quali cambiamenti ci sono stati in Parlamento per le donne? Come vede Laura Boldrini?

In questo momento siamo nel Parlamento più rosa o quasi d’Europa, perché abbiamo al suo interno il 30% di donne e questa vituperata legge elettorale Porcellum avrà pure tanti difetti ma credo anche qualche pregio visto gli effetti. Il vero dato è l’elezione di Laura Boldrini, una notizia non notizia direi; cioè è l’ultima volta che l’elezione di una donna a ruolo di Presidente della Camera sarà uno scoop perché dalla prossima volta avremo espugnato almeno la Camera. E’ questo un segnale molto importante anche se poi manca al Senato e alla Presidenza della Repubblica. In genere, si parla solo della politica; ci sono però altri ruoli dirigenziali di retaggio maschile che oggi le donne stanno conquistando; ad esempio, in qualità di direttore di giornali in passato ricordo solo Pia Luisa Bianco che per sei mesi, nel 1994, fu direttore de “L’Indipendente”; poi c’è stata Flavia Perina a “Il Secolo d’Italia” dal 2000 al 2011 e Concita De Gregorio a “L’Unità” dal 2008 al 2011; la direttrice de “Il Tempo” è adesso una donna, Sarina Biraghi. Altri segnali positivi sono Susanna Camusso presidente di un grande sindacato: CGIL. L’ex presidente di Confindustria è stata una donna, Emma Marcegaglia. Anche il presidente dei Giovani Imprenditori di Confindustria è stata una donna:Federica Guidi. Segnali ci sono, la finanza resta l’ultimo ridotto maschile e una riflessione la farei visto come stanno andando le cose. Per cambiare, bisognerebbe provare a nominare una donna ai vertici di qualche banca. La donna è in genere chiamata proprio nei casi disperati per raccogliere la sconfitta e portarne il peso piuttosto che per fare immagine. Che costa provare? Credo però che due cose vadano tenute in conto e la prima che ci trasciniamo da venti anni è una profondissima crisi di ruolo del maschio. L’uomo ha dapprima temuto il femminismo ed ha finito per rassicurarsi quando ha visto che si era tradotto nella libertà sessuale. Come ha potuto il femminismo barattare la carriera con la pillola? Le donne hanno scambiato il primato sociale con la libertà sessuale e io non credo abbiamo fatto un grande affare, anche perché con i soldi ti prendi ciò che vuoi, compresa la libertà sessuale, mentre con questa ti fai al più sfruttare e non responsabilizzi il maschio. Per fortuna, ad un certo punto, noi donne ci siamo rese conto e abbiamo ripreso la scalata sociale ed economica; i dati sono qui a dimostrarlo. Ora di fronte a questo l’uomo non regge, non può reggere una donna che gli si nega; il maschio può godersela una donna che gli si concede ma non può sostenere una donna che guadagna più di lui e infatti

l’ ammazza. C’è un nesso diretto tra l’affermazione delle donne nelle professioni e l’incremento di quelli che oggi vengono chiamati femminicidi … che preferisco definire omicidi! Questo è un tema serissimo e purtroppo è connesso all’ascesa sociale della donna. Il secondo problema è la nostra metà. Dobbiamo smettere di fare confusione tra piano dell’amore e quello del lavoro, quindi della nostra realizzazione professionale. Questo è un dato di chiarezza che dobbiamo a noi stesse ed anche alla società. In pratica, se una donna ha determinati obiettivi professionali, deve trovare un modo un po’ più rigoroso e spartano di agire: non si può concedere ogni frivolezza. C’è un rigore del ruolo che va associato alla regalità. Per essere regina non ci si può comportare da cortigiana;la donna, di conseguenza, se vuole essere leader, deve serenamente essere un po’ più severa. Questo devono capire le donne. In  caso contrario, potremmo anche essere dei caporedattori ma non diventeremo mai direttori. E questa è una scuola che dobbiamo fare a noi stesse. Non possiamo solo lamentarci che gli uomini ci ghettizzino. Dobbiamo anche avere rigore.

Presidente, Lei ha lavorato anche in tv, come intende il rapporto tra la politica e i media? E quindi come deve essere la comunicazione di un buon politico?

Il rapporto tra la politica ed i media lo ridurrei a due punti: trasparenza e brevità. Trasparenza perché sia la televisione che i nuovi media sono la straordinaria occasione per raccontare cose che prima avevano più difficoltà ad essere conosciute; essi permettono visibilità e di guardare dal di dentro superando i muri delle istituzioni. Brevità perché i media hanno delle loro regole di comunicazione che insegnano al politico la sintesi ed a parlare in modo più semplice e diretto. Questo però dovrebbe non comportare un imbarbarimento dei contenuti. C’è un terzo livello che va inserito e riguarda la televisione pubblica in particolare: la televisione non è solo un modo per guardare la politica e raccontarla, ma è anche uno strumento con cui si condizionano le opinioni della gente. C’è una lotta parossistica per il controllo dei mezzi di comunicazione sia privati che pubblici, non solo in Italia ma in tutto il mondo occidentale poiché la tv è un poderoso strumento di persuasione e questo è dimostrabile visto che i voti elettorali risultano proporzionati al numero di passaggi televisivi. Concludendo, la comunicazione di un buon politico deve essere semplice, rapida e completa;rimane però il problema che la politica considera la televisione ed i media come arnesi del suo arsenale e questo è meno bello.

Quali sono le caratteristiche che la politica deve necessariamente innovare?

Responsabilità e decoro. Il politico deve dimostrarsi sempre meglio e di più una persona che si assume la responsabilità del bene comune. Questo, purtroppo, non è nemmeno detto; ma la politica e quindi le stesse istituzioni nascono e servono proprio per soccorrere i bisogni primari dei cittadini e, francamente, servono solo a quello. Per quanto riguarda il secondo aspetto, le istituzioni hanno perso di decoro gradualmente sia per colpa, perché ci sono stati degli atti di corruzione orrendi, che per omissione, vista la mancanza di soccorso e di difesa. I membri delle istituzioni, non abbastanza coscienti del ruolo importante che essi dovevano svolgere, non hanno difeso questo decoro con sufficienza ed hanno accettato di farsi vilipendere anche quando non era il caso. Per queste ragioni, la politica ha bisogno immediato di responsabilità e decoro.

Quali sono i suoi prossimi progetti?

Non so ancora. Di sicuro, ciò che farò nei prossimi anni e su cui sto già lavorando è proprio il completamento e l’azione di Only Italia che, in quanto rete di imprese, sta evolvendo verso una mera struttura aziendale importante. Inoltre, terrei molto a recuperare e ad affrontare il tema dei territori marginali dei piccoli comuni che mi sta moltissimo a cuore. Con quali strumenti, vedremo.

Mattia Branco

Ho diretto, ho collaborato con periodici locali e riviste professionali. Ho condotto per nove anni uno spazio televisivo nel programma "Anja Show".

Potrebbero interessarti anche...

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *