LA FEDE E’ SAPER DIRE GRAZIE! (Lc 17,11)

Domenica 9 ottobre 2016

9 ottobre 2016 – XXVIII Domenica del Tempo ordinario (Anno C)

LA FEDE E’ SAPER DIRE GRAZIE! (Lc 17,11)

A cura del Gruppo biblico ebraico-cristiano  השרשים  הקדושים   francescogaleone@libero.it/sayeretduvdevan@yahoo.it

  1. La lebbra: malattia per eccellenza, la più temuta, la più ripugnante, perché provoca la demolizione del corpo, l’esclusione dalla società; nell’immaginario collettivo, essa è la maledizione divina; perciò stare con i lebbrosi, curare i lebbrosi è autentico eroismo. Francesco, ricordiamolo, cambiò vita dopo avere incontrato e abbracciato un lebbroso; e i primi francescani dovevano superare la stessa prova del fondatore; un giorno Francesco trattò male un lebbroso, e come penitenza volle mangiare nel suo stesso piatto. Francesco, prima di chiamare il sole fratello, chiamava fratello il lebbroso.
  2. Anche in questo racconto, come in tanti altri, gli uomini non-religiosi rispondono all’appello del Vangelo presto e meglio degli stessi israeliti. Questo risulta evidente nel racconto di guarigione dei dieci lebbrosi. La legislazione giudaica sulla guarigione dei malati (Lv 14,2) prescriveva che un lebbroso guarito doveva passare per il tempio e per i sacerdoti, per essere integrato nella famiglia e nella società. Ossia, era il rito religioso quello che restituiva all’ammalato la dovuta integrazione sociale. Nel nostro racconto, appare evidente quanto i rituali religiosi possano rendere il credente ingrato, colpevole, e tuttavia con la coscienza tranquilla. I nove lebbrosi israeliti credevano ciecamente nell’efficacia del rito sacro, obbedendo alla legge sono rimasti soddisfatti fino a dimenticare di dire grazie a Gesù. Il samaritano, al contrario, che non credeva ai riti del tempio e alle preghiere dei sacerdoti, ha pensato alla cosa più evidente, più logica ed umana: Gesù gli aveva restituito la salute. Morale del racconto: la religione può indurire il cuore, può disumanizzare le persone. Gli osservanti religiosi non hanno il senso elementare della gratitudine, mentre il samaritano, l’uomo senza religione, fa quello che è normale: ringraziare. Capita che negli ambienti religiosi abbondino preghiere, riti, osservanze, si procede a suon di Diritto Canonico … e manchi l’umanità, il grazie, il Diritto Umano.
  3. I lebbrosi probabilmente sono giudei, uno è sicuramente samaritano; se fossero stati sani, certamente non si sarebbero messi insieme! La sofferenza li ha uniti, la guarigione li separerà. Vale la pena ricordare che spesso ci vuole il dolore per smontare l’orgoglio e farci sentire tutti fratelli. Gesù maestro, abbi pietà! E’ una preghiera bellissima, non c’è presunzione, ma solo l’umile abbandono di chi non ha più speranze, e si affida al Signore. E Gesù risponde: Appena li vide: ansia di guarire; la sua fretta mi ricorda un bel verso si Twardowki: Affrettiamoci ad amare, le persone se ne vanno così in fretta… Mentre andavano: furono guariti non quando arrivano dai sacerdoti, ma mentre camminano. Nove dei guariti non tornano, scompaiono nel vortice della loro gioia. Solo un eretico torna indietro perché ascolta il suo cuore, perché comprende che la guarigione non viene dai sacerdoti ma da Gesù che gli dice: La tua fede ti ha salvato. Qui ci vuole condurre il racconto: non serve a niente avere la salute, se la salute la viviamo male; la vera salute non è quella del corpo; la vera salute, nella fede, si chiama salvezza.
  4. Tutti crederono di poter essere sanati. E lo furono. Ma non tornarono a rendere gloria a Dio. E’ dunque così difficile riconoscere l’intervento di Dio nella nostra vita? Sembra proprio di sì, se nove su dieci accolsero il miracolo con indifferenza. Ecco l’errore: accettare la vita senza meraviglia, non stupirsi più, non saper riconoscere la mano di Dio nelle grandi e nelle piccole cose. Cercare la spiegazione della vita nelle pagine dei giornali, non saper più vedere i miracoli. Ha scritto Dostoewskij che la vita è un paradiso, ma gli uomini non lo sanno, meglio, non lo vogliono sapere. Siamo portati a sottolineare un qualcosa che ci manca, mentre non siamo capaci di gioire per il tanto che già possediamo. Chesterton notava: Non mancano le meraviglie nel mondo: manca la meraviglia, cioè la capacità di dire grazie. Ricordo di avere partecipato anni fa ad un pellegrinaggio di ciechi al santuario di Loreto. Un pomeriggio osservavo i ciechi che leggevano i vari messaggi scritti in alfabeto Braille. Era una meraviglia: io avevo davanti pagine incomprensibili, invece i ciechi passavano la mano sui fogli, e il loro volto si illuminava di gioia. La meraviglia, a volte figlia dell’ignoranza, altre volte è l’inizio della sapienza; la meraviglia ha svolto un ruolo importante nella filosofia; filosofo autentico è colui che ha la capacità di meravigliarsi, di stupirsi, di interrogarsi; chi non si meraviglia, imparerà poco o nulla nella vita; chi non prova stupore, alla fine si ritroverà stupido! I bambini imparano molte cose nella loro prima infanzia perché sono pieni di meraviglia, di domande, di curiosità; purtroppo la nostra capacità di meraviglia diminuisce con l’au-mentare degli anni; è un male, perché meraviglia e sapienza sono direttamente proporzionali.
  5. Grazie: una parola rara, in via di estinzione. I figli non la dicono ai genitori, gli alunni ai professori; è difficile che la diciamo a Dio. Tutto e subito ci sembra dovuto. Non si tratta di solo galateo, però tra gratitudine e religione esiste un continuum necessario; non si confondono, una non è l’altra, però le qualità umane e naturali sono la migliore e necessaria base per le virtù divine e soprannaturali. Difficile virtù oggi la gratitudine: i nostri rapporti sono fondati sull’utile, sul contratto, sul do ut des; questa mentalità utilitaristica ed egocentrica snatura anche la religione, ci fa smarrire il senso del gratuito, dell’eucaristia appunto, che è rendimento di grazie. Con Dio e con i santi abbiamo una mentalità sacro-mercantile, contrattuale. Al pari dei numeri di emergenza, abbiamo un lungo elenco di santi dell’SOS. Oggetti smarriti? Sant’Antonio. Casi impossibili? Santa Rita? Pericoli di viaggio? San Cristoforo. Malattie di gola? San Biagio. Difficoltà scolastiche? San Giuseppe da Copertino. Amori difficili? San Valentino … Eppure ringraziare significa ricevere ancora doni: il samaritano pregando ricevette la salute, ma ringraziando ebbe in dono la fede. Proviamo a pregare con fede: Ti ringrazio, mio Dio, di avermi creato, di avermi dato il dono della vita, della fede, della speranza. Diceva santa Teresa alle sue consorelle: Tutto è grazia, e quindi dobbiamo sempre dire grazie! Hegel ha scritto: denken ist danken (pensare è ringraziare), perché siamo debitori di tutto! Voglio fare come quello straniero: domani inizierò la mia giornata tornando a Dio con il cuore, non recitando preghiere ma donandogli una cosa, una parola: Grazie. E lo stesso farò con quelli di casa e di lavoro. BUONA VITA!

Punto riflessivo: Tutti i pensieri intelligenti sono già stati pensati. Occorre solo tentare di ri-pensarli (Goethe).

Mattia Branco

Ho diretto, ho collaborato con periodici locali e riviste professionali. Ho condotto per nove anni uno spazio televisivo nel programma "Anja Show".

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