… MA IO VI DICO! (Mt 5,17)

Domenica 12 febbraio 2017

… MA IO VI DICO! (Mt 5,17)

riflessioni pluri-tematiche sul Vangelo della domenica

a cura del Gruppo Biblico ebraico-cristiano השרשים הקדושים

Quel “Ma” segna il passaggio dall’Antico al Nuovo Testamento

Dopo un enunciato Non sono venuto per abolire, ma per dare compimento,  Gesù sviluppa con esempi questo suo compimento. Gesù porta a compimento la religione dell’Antico Testamento (la Legge e i Profeti), perciò il Nuovo Testamento continua l’Antico, ma insieme lo supera: esso è come il frutto rispetto al seme e alla gemma. Cristo dà il tutto per tutti (Dio agli uomini) e chiede il tutto per tutto (la fedeltà piena). Egli si è donato totalmente a noi, e chiede che noi ci doniamo totalmente a Lui; ci ha insegnato che la misura di amare è amare senza misura! Cristo ha spazzato via tante leggi, prescrizioni, proibizioni, perché il nostro cammino nell’amore sia leggero e interiore. E’ la novità di Cristo: non si tratta di osservare le leggi, ma di fare la volontà di Dio; non di osservare l’esterno ma di curare l’interno; non il freddo regolamento ma una Persona da amare; non una pesante normativa, ma fratelli da servire. Leggendo questa pagina di Vangelo, due sentimenti colpiscono in uguale misura: Cristo è infinitamente esigente, Cristo è infinitamente paziente. Cristo è esigente con i suoi amici, ai quali promette persecuzioni e tradimenti e solitudine, ma è anche infinitamente paziente, dà il suo perdono, concede la sua forza.

Ma io vi dico significa: Vi chiedo una cosa in più

Il brano evangelico di oggi raccoglie un insieme di detti del Signore, e mette in opposizione la esteriore giustizia dei farisei e la interiore santità del credente. Gesù critica la morale ritualizzata dei farisei, che davano il primato al sabato e non all’uomo. Per Gesù, la vera religione non si esplica solo nel tempio sacro, ma nel rapporto con il fratello, anzi, con il fratello che ha rancore contro di noi. Il vero tempio di Dio è l’uomo vivente, e Dio ci aspetta perché noi celebriamo il culto, non solo là dove è l’altare ma là dove è l’uomo non riconciliato con noi. Gesù non distingue se noi abbiamo ragione o torto: è la situazione di ostilità che di per sé va eliminata, prima di celebrare il culto. Abbiamo uno spostamento profondo dell’asse morale da Dio all’uomo. Naturalmente non perché l’uomo sia più importante di Dio; possiamo dire che la priorità assiologica appartiene a Dio, ma la priorità probativa appartiene all’uomo, nel senso che possiamo illuderci di amare Dio, ma non così con l’uomo. Il dio, a cui spesso le morali codificate si rifanno, è un dio costruito con profonda malizia, a immagine delle ambizioni dell’uomo. Il vero Dio è sconosciuto, è al di là dei nostri codici fragili eppure così rigidi. Anticipando di secoli le analisi di F. Nietzsche, Gesù ha dimostrato che la morale sacrale, a dispetto delle motivazioni nobili e divine, nasconde invece motivazioni ignobili e umane, troppo umane!

La Legge: il suo completamento sta nell’amore

Gesù dice di essere venuto per completare e non per abolire la Legge; precisa anzi che della Legge non va toccato nemmeno uno iota. Però proprio Lui permette ai suoi apostoli di violare il sabato, anzi, Lui stesso compie miracoli in giorno di sabato, contravvenendo così alla Legge di Mosè, che per i trasgressori del sabato comminava la pena capitale. In che senso allora Gesù completava la Legge, se poi per molti versi  la violava? Nel senso che metteva l’uomo al centro e non la legge o il sabato o il tempio o la liturgia, inaugurando così un nuovo criterio di civiltà e di umanità. Quel suo Ma io vi dico non significa che il credente può fare il contrario, ma che deve fare qualcosa di più. Questo brano di Vangelo ci trasporta in una zona di massimo rischio,  in mare profondo, o su una cima altissima. Guai a immergersi nell’abisso senza l’attrezzatura subacquea, o a lanciarsi dall’alto senza il paracadute. Le parole di Gesù sono state come una pietra lanciata contro un cristallo, mandandolo in frantumi, o come un macigno precipitato in uno stagno tranquillo, suscitando spruzzi fastidiosi. Quei sei “Ma” hanno centrato il nostro perbenismo; quei sei “Ma” segnano il passaggio dall’Antico al Nuovo Testamento: continuità, ma anche rottura. E noi, per difenderci da quelle parole urtanti di Gesù, ne abbiamo addomesticato il senso; al “Ma” di Gesù abbiamo così sostituito il nostro meschino “Ma”: Non uccidere … ma in alcune circostanze è lecito, e siamo diventati carnefici. Amate i nemici … ma in alcune circostanze occorre farsi rispettare, e siamo diventati crudeli. Ci siamo comportati come quei turisti che, in sommergibile, ammirano i mostri marini dagli oblò, quasi fossero opera d’arte; o come quegli escursionisti che ammirano i baratri, ma al sicuro, dietro balaustre e transenne. Non è intenzione di Gesù sostituirsi a Mosè, né opporre il Nuovo Testamento all’Antico, ma completare la Legge con un “di più”, e questo “di più” è il cuore. Non basta quindi non uccidere: bisogna non adirarsi; non basta non commettere adulterio: bisogna non desiderare la donna degli altri; non basta lavarsi le mani: bisogna purificare l’interiore; non basta fare monumenti ai profeti uccisi: bisogna ascoltarli; non basta dire tante preghiere: bisogna avere fede; non bastano gli atti di culto: bisogna essere misericordiosi.

E’ vero che in medio stat virtus?

Gesù rigetta ogni forma di mediocrità; Egli non appare come un conciliatore; è sempre dalla parte di qualcuno. Anche i santi non hanno conosciuto gli equilibri; i fondatori sono stati più rivoluzionari dei loro seguaci; i profeti sono stati combattuti dai burocrati. Se la virtù fosse nel mezzo, non avremmo avuto né i martiri né i santi, il cui posto è sempre in prima linea, e la loro pedagogia è sempre la sorpresa. Solo i santi, nel loro realismo spericolato, hanno preso questo discorso in pieno e sul serio. Per loro, quelle “assurdità” sono diventate saggezza quotidiana; quei tremendi imperativi si sono mutati in stile di vita. Non c’è più un angolo buio dove nascondersi o poltrire. La luce accecante del Vangelo ci snida dai nascondigli, fuori, verso l’aperto, il pulito, O ci faremo santi o cadremo nell’inganno di sentirci morali, giusti, esemplari, al di fuori di questo che, ormai, è l’unico codice di bene. Non è più tempo di edulcorare la forza di quei “Ma” con gli enzimi dei nostri equilibri, ma di accettare, senza condizioni, la novità del Vangelo. E’ una dura lezione per noi, ammalati di “primite”, preoccupati di fare sempre bella figura, di ridurre tutto a buon senso! Questo Vangelo è servito a tanti per parlare male dell’ebraismo, presentato come religione della esteriorità (221 precetti, 365 divieti!); abbiamo presentato Cristo come il nuovo legislatore e noi come il nuovo Israele; siamo orgogliosi di possedere le migliori formulazioni dogmatiche, le più imponenti strutture, i monumenti più belli …  Ma al Signore sta a cuore la “ortoprassia” più che la “ortodossia”, il fare più che il sapere, il servizio dell’uomo più che il culto del Tempio, insomma “il grembiule del servitore” più che “la divisa del religioso”. E’ Dio che è migliore, non noi, e Dio vuole essere adorato non solo in Chiesa o sul Garizim o a Gerusalemme o in Vaticano, perché non esistono luoghi sacri privilegiati. Dio cerca adoratori “nello spirito e nella verità”; non gli interessa il nostro curriculum professionale, ma la nostra testimonianza esistenziale: chi fa la sua volontà è a Lui gradito, a qualunque popolo e religione appartenga.  BUONA VITA!

Mattia Branco

Ho diretto, ho collaborato con periodici locali e riviste professionali. Ho condotto per nove anni uno spazio televisivo nel programma "Anja Show".

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