Nella sua volontà è la nostra pace!

II Domenica di Quaresima (C) – 13 marzo 2022

Nella sua volontà è la nostra pace!

Prima lettura: Dio stipula l’alleanza con il credente Abramo (Gn 15,5).

Seconda lettura: Cristo ci trasfigurerà nel suo corpo glorioso (Fil 3,17). Terza lettura: Mentre Gesù pregava, il suo volto cambiò d’aspetto (Lc 9,28).

Quando si intraprende un cammino, occorre sapere bene dove si vuole arrivare, cosa ci aspetta. All’inizio del cammino che ci porterà alla Pasqua, la chiesa ci fa celebrare quel preludio alla risurrezione, che è la trasfigurazione. La chiesa, madre e maestra, dopo averci invitati a camminare nel deserto, a seguire Cristo, ci propone la risurrezione.

Prima lettura

1) Il sogno di tutti i nomadi del deserto è quello di possedere una terra dove le piogge, regolari e abbondanti, permettano di coltivare campi di grano, vigne e alberi di frutta; una terra dove insediarsi stabilmente, assieme alla propria famiglia e vivere in pace, «seduti tranquilli sotto la vite e sotto il fico» (Mi 4,4). Abramo è uno di questi nomadi: è partito da un paese lontano e, per anni, si è spostato da un luogo all’altro come un viandante senza destino. Un arameo errante! È vecchio e senza figli. La sua vita sembra avviata a una conclusione fallimentare. Un giorno però riceve la rivelazione del Signore che gli promette ciò che egli ha sempre desiderato: una terra (v.7) e una discendenza numerosa come le stelle del cielo (v.5). Come mai Dio ha preso l’iniziativa di fare queste promesse ad Abramo? Perché a lui e non ad altri? Era forse il migliore degli uomini della terra? I rabbini del tempo di Gesù sostenevano che Abramo aveva attirato le benedizioni di Dio perché aveva praticato la misericordia e la giustizia (v.6). È una supposizione gratuita. La Bibbia non accenna ad alcuna opera buona di Abramo e presenta la chiamata e le promesse come un dono gratuito di Dio. Abramo ebbe un unico merito: credere al Signore.

La fede: abbandono totale a una Persona

2) È la prima volta che nella Bibbia si dice che un uomo ha avuto fede in Dio. Il verbo che noi traduciamo con credere, in ebraico è אמן e significa appoggiarsi su un fondamento solido, stabile, sicuro. Non indica adesione intellettuale ad alcuni dogmi, ma abbandono totale a una persona. Un’immagine espressiva può essere quella della sposa: quando ella afferma che «crede in suo marito» intende dire che si fida ciecamente di lui, che gli affida la sua stessa vita. Abramo ha udito la voce di Dio e gli ha dato credito, sicuro che non sarebbe stato tradito. Questa fede «gli fu accreditata come giustizia» (v.6).

È un’affermazione importante, ripresa anche da Paolo (Rm 4,3; Gal 3,6). Significa che Dio ha considerato giusto Abramo, non perché lo ha visto compiere azioni virtuose e meritorie, ma perché si è fidato delle sue parole, anche quando le apparenze lo inducevano a pensare il contrario.

3) La lettura descrive la risposta del Signore a questa fede: Dio compie un rito. Presso i popoli antichi della Mesopotamia i patti solenni venivano stipulati con una cerimonia: si prendeva un animale (un bue, un capretto o una pecora) e si squartava; poi, coloro che si impegnavano nel giuramento di fedeltà passavano in mezzo all’animale squartato, pronunciando questa formula: «Se tradirò il patto, che io venga fatto a pezzi come questo animale!». Si noti bene: solo Dio compie il gesto dell’alleanza. Abramo non passa tra le carni degli animali. Le promesse di Dio all’uomo sono sempre gratuite.

Il Vangelo

4) Ci sono brani del Vangelo che mettono buon umore e mi riferisco al comportamento degli apostoli, di Pietro in modo particolare. È proprio quel loro non capire niente che mette allegria. Anche noi somigliamo a quei poveri uomini, che, quando qualcosa sembra andare bene, vorrebbero che continuasse per sempre, che hanno sonno, che non sanno quello che dicono, che sgranano gli occhi di fronte alla gloria del loro Maestro, come Pinocchio davanti a Mangiafuoco. Anche noi siamo così: pronti all’entusiasmo come alla paura; vorremmo che i nostri istanti di gioia fossero eterni, che la vita si fermasse in una specie di limbo, senza più turbamenti. Poi, anche noi, basta una nube, e giù nella tristezza. Di fronte alla grandezza e al mistero di Dio siamo creature buffe e fragili. Ridicolissimo eroe!, direbbe Pascal. Ma non c’è da scoraggiarci: Dio sa come siamo fatti, perché ci ha fatti lui, ed è Padre.

La trasfigurazione: un anticipo di paradiso

5) Bisogna sempre essere molto circospetti quando ci si accosta a un testo evangelico perché quello che, a prima vista, può sembrare la cronaca di un fatto, a un esame più attento può rivelarsi un testo denso di teologia, redatto secondo le regole del linguaggio biblico. Il racconto della trasfigurazione di Gesù – riferito in modo quasi identico da Marco, Matteo e Luca – ne è un esempio. Ci soffermiamo soprattutto su alcuni particolari significativi che si ritrovano soltanto in Luca.

a) Solo questo evangelista specifica la ragione per cui Gesù sale sul monte: per pregare (v.28). Gesù è solito dedicare molto tempo alla preghiera.

Non sapeva fin dall’inizio come si sarebbe svolta la sua vita, lo venne scoprendo gradualmente, attraverso le illuminazioni che riceveva durante la preghiera. È in uno di questi momenti, spiritualmente intensi, che Gesù si rende conto che è chiamato a salvare gli uomini non mediante il trionfo, ma attraverso la sconfitta. A metà del suo Vangelo, Luca comincia a rilevare i primi segnali dell’insuccesso: le folle, prima entusiaste, abbandonano Gesù; qualcuno lo prende per un esaltato e un sovversivo e i suoi nemici tramano per ucciderlo. È comprensibile che egli allora si interroghi sul cammino che il Padre vuole che percorra. Per questo «va sul monte a pregare».

b) Durante la preghiera, il volto di Gesù cambia d’aspetto (v.29); a differenza degli altri evangelisti, Luca non parla di trasfigurazione, ma di «cambiamento d’aspetto». Questo splendore è il segno della gloria che avvolge chi è unito a Dio. Anche il volto di Mosè diveniva brillante quando egli entrava in dialogo con il Signore (Es 34,29). Ogni autentico incontro con Dio lascia qualche traccia visibile sul volto dell’uomo. Dopo una celebrazione della Parola, vissuta intensamente, tutti torniamo alle nostre case più felici, più sorridenti, più generosi.

c) Durante quest’intensa preghiera di Gesù, compaiono due personaggi: Mosè ed Elia (w.30-31). Essi sono il simbolo della Legge e dei Profeti, rappresentano tutto l’Antico Testamento. Tutti i libri sacri d’Israele hanno lo scopo di condurre a dialogare con Gesù, sono orientati a lui. Senza Gesù l’Antico Testamento è incomprensibile, ma anche Gesù, senza l’Antico Testamento, rimane un mistero. Nel giorno di Pasqua, per far capire ai discepoli il significato della sua morte e risurrezione, egli ricorrerà all’Antico Testamento: «Cominciando da Mosè e da tutti i profeti spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui» (Lc 24,27).

d) I tre discepoli, Pietro, Giacomo e Giovanni non comprendono nulla di quanto sta accadendo (w.32-33). Sono colti dal sonno. Notiamo un particolare: nei momenti in cui abbiamo qualche richiamo alla passione e morte di Gesù, questi tre discepoli vengono sempre colti dal sonno. Anche nell’orto degli Ulivi si mettono a dormire (Mc 14,32; Lc 22,45). È strano che proprio nei momenti cruciali essi abbiano sempre gli occhi appesantiti. Quando Gesù compie prodigi, quando le folle lo acclamano, i tre apostoli sono ben svegli; ma quando inizia a parlare del dono della vita, della necessità di occupare l’ultimo posto, di diventare servi, essi non vogliono capire, lentamente chiudono gli occhi e iniziano a dormire… per continuare a sognare applausi e trionfi.

e) L’ottavo giorno per i cristiani ha un significato ben preciso: è il giorno dopo il sabato, il giorno del Signore, quello in cui la comunità si raduna per ascoltare la Parola e per spezzare del pane (Lc 24,13). È la nostra domenica. Ecco allora che cosa intende dire Luca con il richiamo all’ottavo giorno: ogni domenica i discepoli che si ritrovano per celebrare l’eucaristia salgono «sul monte», vedono il volto del Signore trasfigurato, cioè risorto, e odono nuovamente l’invito: Ascoltate lui!

6) Per esprimere l’intensità, gli antichi ricorrevano alla categoria del “meraviglioso”. La nascita di Gesù avviene tra pastori che parlano con gli angeli, magi che vedono la stella in oriente; alla morte di Gesù, il cielo si oscura, il velo del tempio si spezza, i morti escono dal sepolcro, il sole si oscura. Anche nella trasfigurazione il suo volto cambia, le vesti diventano bianche, appaiono due morti. Noi insegniamo una religione che seduce a dieci anni, ma rende atei a venti. In una lettura ingenua, è il Cristo che cambia, come se l’incarnazione fosse una simulazione. Ma la trasfigurazione non è uno spettacolo di magia sacra! E’ un’esigenza per ogni cristiano: ogni volto sfigurato, grazie alla nostra bontà, può diventare un volto trasfigurato!

7) E allora come decodificare e decifrare quest’episodio del Vangelo, scritto in codice? Cristo era sempre in dialogo con la Scrittura, la Legge (Mosè) e le Profezie (Elia). Alla loro luce, la sua vita si illuminava; alla luce della sua vita, le profezie si avveravano. Gli apostoli, durante il loro ritiro, hanno guardato Cristo, si sono uniti a lui, ne sono stati trasformati e trasfigurati. Gli apostoli, da tre anni erano con Cristo, ascoltavano prediche, e più ne ascoltavano e meno ne erano contagiati; recitavano tante preghiere che alla fine dicevano solo parole. L’abitudine è il rischio di ogni religione! E’ importante attualizzare e interiorizzare. Quanto leggiamo nel Vangelo va attualizzato (qui, adesso) e interiorizzato (nella mia vita), non nei contraccolpi cosmici! Abbiamo trasfigurato un volto triste? Abbiamo incoraggiato un’esistenza disperata? Abbiamo compreso che Dio, attraverso noi, continua a trasfigurare un suo figlio? Tutti, allora, abbiamo le nostre annunciazioni, trasfigurazioni. Occorre saperle vivere, grazie ad una fede adulta! BUONA VITA!

השּׁרשים הקּדשים Le Sante Radici

Per contatti: francescogaleone@libero.it

Mattia Branco

Ho diretto, ho collaborato con periodici locali e riviste professionali. Ho condotto per nove anni uno spazio televisivo nel programma "Anja Show".

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