OGNI VITTIMA HA IL VOLTO DI ABELE

 

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OGNI VITTIMA HA IL VOLTO DI ABELE

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Supplemento de “La nonviolenza e’ in cammino”

Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100

Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it

Numero 16 del 20 ottobre 2011

 

In questo numero:

1. Mao Valpiana: Il piu’ grande crimine contro l’umanita’

2. Un appello del Movimento Nonviolento, di Peacelink e del Centro di ricerca per la pace di Viterbo per il 4 novembre: Ogni vittima ha il volto di Abele

3. Pierpaolo Calonaci: La via della nonviolenza

4. Angela Giuffrida: Solo la razionalita’ femminile puo’ fermare la guerra

5. Giorgio Montagnoli: Scegliere la nonviolenza

6. Giovanni Battista Pinto Nosbari: La pace e’ possibile, la pace e’ necessaria

7. Marco Pondrelli: La morte di massa

1. EDITORIALE. MAO VALPIANA: IL PIU’ GRANDE CRIMINE CONTRO L’UMANITA’

[Ringraziamo Mao Valpiana (per contatti: via Spagna 8, 37123 Verona, tel. 0458009803, fax: 0458009212, e-mail: an@nonviolenti.org, sito: www.nonviolenti.org) per questo intervento.

Mao (Massimo) Valpiana e’ una delle figure piu’ belle e autorevoli della nonviolenza in Italia; e’ nato nel 1955 a Verona dove vive e ha lavorato come assistente sociale e giornalista; fin da giovanissimo si e’ impegnato nel Movimento Nonviolento (si e’ diplomato con una tesi su “La nonviolenza come metodo innovativo di intervento nel sociale”); attualmente e’ presidente del Movimento Nonviolento, responsabile della Casa per la nonviolenza di Verona e direttore della rivista mensile “Azione nonviolenta”, fondata nel 1964 da Aldo Capitini. Obiettore di coscienza al servizio e alle spese militari ha partecipato tra l’altro nel 1972 alla campagna per il riconoscimento dell’obiezione di coscienza e alla fondazione della Lega obiettori di coscienza (Loc), di cui e’ stato segretario nazionale; durante la prima guerra del Golfo ha partecipato ad un’azione diretta nonviolenta per fermare un treno carico di armi (processato per “blocco ferroviario”, e’ stato assolto); e’ inoltre membro del comitato scientifico e di garanzia della Fondazione Alexander Langer Stiftung; fa parte del Comitato per la difesa civile non armata e nonviolenta istituito presso L’Ufficio nazionale del servizio civile; e’ socio onorario del Premio nazionale “Cultura della pace e della nonviolenza” della Citta’ di Sansepolcro; ha fatto parte del Consiglio della War Resisters International e del Beoc (Ufficio Europeo dell’Obiezione di Coscienza); e’ stato anche tra i promotori del “Verona Forum” (comitato di sostegno alle forze ed iniziative di pace nei Balcani) e della marcia per la pace da Trieste a Belgrado nel 1991; nel giugno 2005 ha promosso il digiuno di solidarieta’ con Clementina Cantoni, la volontaria italiana rapita in Afghanistan e poi liberata. Con Michele Boato e Maria G. Di Rienzo ha promosso l’appello “Crisi politica. Cosa possiamo fare come donne e uomini ecologisti e amici della nonviolenza?” da cui e’ scaturita l’assemblea di Bologna del 2 marzo 2008 e quindi il manifesto “Una rete di donne e uomini per l’ecologia, il femminismo e la nonviolenza”. Un suo profilo autobiografico, scritto con grande gentilezza e generosita’ su nostra richiesta, e’ nel n. 435 del 4 dicembre 2002 de “La nonviolenza e’ in cammino”; una sua ampia intervista e’ nelle “Notizie minime della nonviolenza in cammino” n. 255 del 27 ottobre 2007; un’altra recente ampia intervista e’ in “Coi piedi per terra” n. 295 del 17 luglio 2010]

Quanti sono i morti di tutte le guerre? Quanti milioni?

Quanto sangue e’ stato versato? Quante armi sono state usate?

Quante munizioni sono state sparate? Quante bombe sono state gettate?

Quanta disperazione? Quante lacrime? Quante distruzioni?

La guerra e’ il piu’ grande crimine contro l’umanita’.

2. INIZIATIVE. UN APPELLO DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO, DI PEACELINK E DEL CENTRO DI RICERCA PER LA PACE DI VITERBO PER IL 4 NOVEMBRE: OGNI VITTIMA HA IL VOLTO DI ABELE

[Riproponiamo il seguente appello]

Intendiamo proporre per il 4 novembre l’iniziativa nonviolenta “Ogni vittima ha il volto di Abele”.

Proponiamo che il 4 novembre si realizzino in tutte le citta’ d’Italia commemorazioni nonviolente delle vittime di tutte le guerre, commemorazioni che siano anche solenne impegno contro tutte le guerre e le violenze.

Affinche’ il 4 novembre, anniversario della fine dell'”inutile strage” della prima guerra mondiale, cessi di essere il giorno in cui i poteri assassini irridono gli assassinati, e diventi invece il giorno in cui nel ricordo degli esseri umani defunti vittime delle guerre gli esseri umani viventi esprimono, rinnovano, inverano l’impegno affinche’ non ci siano mai piu’ guerre, mai piu’ uccisioni, mai piu’ persecuzioni.

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Queste iniziative di commemorazione e di impegno morale e civile devono essere rigorosamente nonviolente. Non devono dar adito ad equivoci o confusioni di sorta; non devono essere in alcun modo ambigue o subalterne; non devono prestare il fianco a fraintendimenti o mistificazioni. Queste iniziative di addolorato omaggio alle vittime della guerra e di azione concreta per promuovere la pace e difendere le vite, devono essere rigorosamente nonviolente.

Occorre quindi che si svolgano in orari distanti e assolutamente distinti dalle ipocrite celebrazioni dei poteri armati, quei poteri che quelle vittime fecero morire.

Ed occorre che si svolgano nel modo piu’ austero, severo, solenne: depositando omaggi floreali dinanzi alle lapidi ed ai sacelli delle vittime delle guerre, ed osservando in quel frangente un rigoroso silenzio.

Ovviamente prima e dopo e’ possibile ed opportuno effettuare letture e proporre meditazioni adeguate, argomentando ampiamente e rigorosamente perche’ le persone amiche della nonviolenza rendono omaggio alle vittime della guerra e perche’ convocano ogni persona di retto sentire e di volonta’ buona all’impegno contro tutte le guerre, e come questo impegno morale e civile possa concretamente limpidamente darsi. Dimostrando che solo opponendosi a tutte le guerre si onora la memoria delle persone che dalle guerre sono state uccise. Affermando il diritto e il dovere di ogni essere umano e la cogente obbligazione di ogni ordinamento giuridico democratico di adoperarsi per salvare le vite, rispettare la dignita’ e difendere i diritti di tutti gli esseri umani.

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A tutte le persone amiche della nonviolenza chiediamo di diffondere questa proposta e contribuire a questa iniziativa.

Contro tutte le guerre, contro tutte le uccisioni, contro tutte le persecuzioni.

Per la vita, la dignita’ e i diritti di tutti gli esseri umani.

Ogni vittima ha il volto di Abele.

Solo la nonviolenza puo’ salvare l’umanita’.

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Movimento Nonviolento

per contatti: via Spagna 8, 37123 Verona, tel. 0458009803, fax: 0458009212, e-mail: an@nonviolenti.org, sito: www.nonviolenti.org

Peacelink

per contatti: e-mail: info@peacelink.it, sito: www.peacelink.it

Centro di ricerca per la pace di Viterbo

per contatti: e-mail: nbawac@tin.it, web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/

3. OGNI VITTIMA HA IL VOLTO DI ABELE. PIERPAOLO CALONACI: LA VIA DELLA NONVIOLENZA

[Ringraziamo Pierpaolo Calonaci (per contatti: p_calonaci@hotmail.com) per questo intervento.

“Fiorentino, ho 39 anni, ho terminato il terzo anno alla Facolta’ Teologica dell’Italia Centrale e sto completando il piano degli esami. All’interno della riflessione teologica-cattolica sto cercando di porre in giusta evidenza il tema della nonviolenza, non partendo dai dati convenzionalmente da cui tutti, sia filosofi che tecnici o intellettuali, la fanno risalire ma ricollegandola in maniera sorgiva alla riflessione mistica che e’ la struttura essenziale del cristianesimo (l’amore per il mondo nelle sue necessita’, l’amore per il nemico, l’accettazione della realta’ cosi’ com’e’ senza fuggire, la complessita’ della non-resistenza, la comprensione del dolore e della sofferenza, i rapporti di necessita’ e di forza che ci legano, l’origine del male, il senso della gioia incastonato nella miseria di cui farci sani portatori, il tema centrale del distacco…). Particolarmente sto cercando di ripulire la parola nonviolenza da tutte quelle incrostazioni di stampo ideologico-religioso, partitico, sociale-associazionistico che la ricoprono; che ne fanno una questione di particolarismi legati al prestigio personale, di carriera, di guadagno, di orgoglio. Da quattro anni in alcune scuole superiori fiorentine, a titolo gratuito, sto introducendo, con un minimo di dodici ore, un progetto denominato “dal piombo della violenza all’oro della nonviolenza” dove, senza ne’ schemi ne’ idee preconfezionate, desidero incontrare i ragazzi per dialogare; comunicando insieme anche attraverso il prezioso lascito di Danilo Dolci e la maieutica. Dopo sei anni trascorsi a lavorare come giardiniere e potatore di alberi, a seguito della chiusura dell’azienda per la quale lavoravo, sto attendendo una cattedra come insegnante di religione. Da alcuni anni frequento alcuni gruppi di “auto-aiuto” insieme a persone con difficolta’”. Cfr. anche la recente intervista apparsa in “Coi piedi per terra” n. 307]

La data del 4 novembre e’ pressapoco rappresentabile come un fossato; da un parte i soldati che ricordano la guerra e dall’altra tutte le persone che non vogliono la guerra. Lo stesso fossato che divise l’anima di Caino e quella di Abele nel quale entrambi volevano brillare per ingraziarsi i favori di un dio dispensatore, come giudice inflessibile di questi stupidi tribunali umani, come un’entita’ che dice “te buono, l’altro cattivo”. Il significato della responsabilita’ che Dio domanda a Caino forse ci e’ sconosciuto.

Lo stesso fossato che noi continuiamo a scavare alla ricerca del buono e del cattivo. E cosi’ scavando (cioe’ vivendo…) riduciamo l’idea dio Dio, della Sua Giustizia alla nostra malformazione morale.

Chi ha ragione? O meglio da che parte sta la verita’? La domanda come e’ stata posta non ha basi logiche ne’ contiene forza dialogica perche’ semplicemente non solo e’ posta male ma vuole mantenere diviso il pensiero e la vita: i soldati (che non sono quei poveri contadini del 1914 – essi erano davvero schiavi… facciamo attenzione a non travolgere la poverta’ indotta con la nostra voglia moderna di sentirsi “perbene”) che dicono, con il linguaggio della persuasione mediatica, che la loro causa e’ giusta perche’ senza il sangue che essi sono pronti a versare e che inducono a fare versare a degli innocenti, portano la “liberta’ democratica”, e gli altri che rispondono che invece la guerra e’ immorale (e lo e’) ma loro sono i soli che difendono coerentemente i valori della liberta’ e della pace.

Parlare cosi’, secondo me, crea confusione. E’ dirsi le cose strumentalizzando i propri argomenti in forza solo di un’opinione comune o di una bandiera o di un’ideologia. E’ solo parlarsi sopra; e’ denunciare l’empieta’ dell’altro mentre non si vuole vedere che anche tutta la nostra vita quotidiana, se rimane intatta nei suoi meccanismi di oppressione della sue strutture di base (sociali, politiche, religiose, civili, antropologiche, etniche, psicologiche) da quell’empieta’ e’ ammantata e ci va spesso a braccetto. E’ fare della Sua giustizia un’idea di legalita’ che tanto sta uccidendo la vita.

Chiedi ad un comitato pacifista (so che ce ne sono di seri e belli e capaci di grandi sacrifici… si facciano sentire ad alta voce) se ha mai pensato di organizzarsi per lasciare a casa una settimana l’auto e mettere in crisi il sistema di approvvigionamento della propria citta’? Chiedi se vi sia un pacifista disposto a grandi sacrifici e se subito dopo non si rifugia dietro le cattedre del convegno della pace o di quella del politico di turno che prende la pace per costruirci la propria pensione.

Perche’ vi e’ una grande, enorme, incommensurabile differenza sotto ogni profilo tra un atteggiamento nonviolento e quello del pacifismo.

E’ questa radicale differenza che, a cominciare da coloro che sono i responsabili dei vari movimenti, si e’ sempre cercato di ridurre o di coprire; l’esempio del rifiuto ad ogni forma di violenza per colui/colei che ama la nonviolenza e’ potenzialita’ creativa: pronto a rinunciare a tutto, nel sapersi pronto umilmente ad affrontare i rischi della propria azione e pagarli tutti. Una conversione dell’anima che non avra’ mai termine ma costante, senza pieghe, graduale… pure nelle sue ricadute… mentre per il pacifista diventa solo una questione morale. E quel “tu devi” certamente tributario a Kant per la sua tensione ma totalmente insufficiente per rendere la persona capace di camminare eretto, saldo (l’incedere dell’uomo libero, ecco la parola divina “Beati”) poiche’ senza il potere dello Spirito della grazia non si commuove nessun cuore; anzi l’uomo crede di sentire di fare la cosa giusta – e cio’ e’ possibile ma con un limite: a patto di non scavalcarlo: dopo uno si sente automaticamente “giusto”. Vedendo la colpa nel soldato di turno (o del vicino) perche’ gettano il mondo nel sangue o ne fanno oggetto solo di banali contrasti quotidiani, il comportamento del “giusto” pacifista non si risolve altro che nella propensione a rimuovere da se stesso il senso di colpa, idealizzando il proprio carnefice, cercando di cancellare le sue colpe ma in effetti solo rimuovendo il suo senso di colpa per un mondo “di sangue o schifoso”.

Ricordiamo come all’udire le parole del centurione romano Gesu’ risponde? Non e’ forse una questione, non semplice, di comprendere il senso della miseria e della necessita’ umana? E che significato autentico abbia la coscienza oggi e la sua naturale inadeguatezza quando e’ lasciata a sbattere? “Proprio perche’ oggigiorno ciascuno rivendica il diritto della coscienza senza affrontare nessuna disciplina di nessun genere, tanta menzogna viene dispensata a un mondo confuso… Se volete nuotare nel grembo dell’oceano della Verita’, dovete ridurvi a zero” (Gandhi, Antiche come le montagne).

E’ questo che non venga interpretato come giustificazione del male o dell’ingiustizia di ogni guerra!

“… una coscienza che immagina di essere in regola con Dio solo perche’ lo e’ con il suo super-io. Di fronte a una coscienza soddisfatta della propria giustizia… il messaggio profetico contenuto nell’ Antico Testamento pone un’esigenza illimitata di giustizia. Per Ricoeur il primo modo per scagionarsi e’ l’accusa dell’altro, l’aggressivita’ che diventa anche a livello etico. ‘Se ne ritrova una forma leggermente patologica nel giustiziere spietato e orgoglioso, che per non accusare se stesso accusa, denuncia, castiga… Si puo’ dunque seguire in molteplici direzioni la mostruosa proliferazione del meccanismo di discolpa a partire da un centro di irradiamento che pare proprio essere il rifiuto di quella colpevolizzazione che abbiamo chiamato il peccato del giusto’ (Paul Ricoeur, Morale sans peche’ ou peche’ sans morale?, in ‘Esprit’, n. 22, 1954, p. 410)”. Ho riportato un breve brano dal libro di Lytta Basset, Il senso di colpa, paralisi del cuore, Ed. Qiqajon.

Per cui la nonviolenza non puo’ ripiegare su questa considerazione appena citata mentre il pacifismo paga la sua ignoranza. E non lo puo’ fare in virtu’ della tensione connaturale nel cercare di comprendere le cause interiori ed esteriori del meccanismo dell’oppressione: il pacifismo paga comunemente il fatto che se non ci sara’ piu’ la guerra sara’ tutto un po’ piu’ bello. Ma questo sentimentalismo non e’ piu’ adeguato alla dura ingiustizia in cui tutti siamo, a vari livelli, esposti.

Perche’ non ripensiamo in che stato di oppressione conduciamo le nostre relazioni, volgendole all’esterno? Perche’ non cessiamo il transfert dalla sofferenza (che ha valore – se conosciuta, accettata – come positiva, salutare, conflittuale) invece di spostarla appunto sulla guerra?

“L’umiliazione continua e quasi metodica e’ un fattore essenziale della nostra organizzazione sociale, in pace come in guerra” (Simone Weil, Sulla guerra, scritti 1933-1943, p. 44).

Capire quel fattore e’ intervenire efficacemente.

4. OGNI VITTIMA HA IL VOLTO DI ABELE. ANGELA GIUFFRIDA: SOLO LA RAZIONALITA’ FEMMINILE PUO’ FERMARE LA GUERRA

[Ringraziamo Angela Giuffrida (per contatti: frida43@inwind.it) per questo intervento.

“Angela Giuffrida, gia’ docente di filosofia, ha avviato una riflessione critica sul sistema concettuale dominante che ha portato all’elaborazione di una nuova teoria della conoscenza, contenuta nel saggio Il corpo pensa. Umanita’ o femminita’?, pubblicato nel 2002 da Prospettiva Edizioni, e applicata nel saggio La razionalita’ femminile unico antidoto alla guerra, pubblicato a marzo del corrente anno da Bonaccorso editore. ‘E’ in atto nel panorama culturale internazionale uno slittamento verso un diverso paradigma interpretativo che non ha trovato adeguata definizione. La teoria del corpo pensante risponde a tale necessita’. Non si arresta alla denuncia dei limiti e delle lacune del sapere convenzionale ma, evidenziando i meccanismi mentali sottesi, indica la via del loro superamento. Per promuovere la transizione da una impostazione mentale che coarta la vitale creativita’ della specie ad una che la favorisce, Angela Giuffrida ha promosso corsi di studio e seminari, ha partecipato a convegni e ha scritto numerosi articoli'”]

“Ancora uccisioni ‘a fin di bene’, ancora terrore, ancora spoliazioni della terra in nome della nazione, del capo, della causa, del dio. E ancora preghiere. Le guerre continueranno; non cesseranno e non cambieranno. I morti cadranno come sempre. Ma almeno saremo in grado di immaginare e dunque di capire… non tutto, ma abbastanza da non cadere nelle illusioni deliranti della speranza, dell’amore, della pace e della ragione”. Cosi’ James Hillman conclude sconsolatamente il suo saggio dal significativo titolo Un terribile amore per la guerra (1), scritto apposta per comprendere la guerra allo scopo di farla cessare e permettere alla vita di continuare.

In realta’ cio’ che il filosofo dimostra con le sue argomentazioni e’ l’impossibilita’ per il pensiero unico dominante di realizzare tale nobile fine. Se infatti, come afferma, la guerra “non e’ un prodotto della ragione”, se “e’ azione non riflessione”, bisogna convenire che il favore accordatole dagli uomini evidenzia il mancato sviluppo di una ragione degna di questo nome. La cosa e’ tanto piu’ inquietante se, come scrivo nel mio saggio La razionalita’ femminile unico antidoto alla guerra (2), il maschio umano, “incline ad opporre i dati della conoscenza isolati dal loro contesto, impronta tutte le relazioni all’antagonismo. Divenuto regola di vita il conflitto non produce solo la guerra guerreggiata. Guerra e’ infatti l’oppressione e la brutalita’ esercitate dalla meta’ maschile della specie sull’altra meta’; guerra e’ l’economia che affama la stragrande maggioranza della popolazione mondiale a favore di privilegiati gruppi ristretti; guerra e’ la predazione e l’inquinamento della natura che ci alimenta; guerra e’ la politica del dominio in tutti i suoi meschini aspetti; guerra alla vita tout court e’ il disprezzo per i corpi biologici”. Emmanuel Levinas conferma in pieno le precedenti affermazioni quando nel suo libro Totalita’ e infinito (3) sostiene che la guerra informa tutte “le nostre idee di universo, di religione, di etica; il tipo di pensiero alla base della logica aristotelica degli opposti, delle antinomie kantiane, della selezione naturale di Darwin, della lotta di classe marxiana e perfino della freudiana rimozione dell’Es da parte dell’Io e del Super-io”.

Dunque il problema non e’ la guerra, la quale non esiste per la stragrande maggioranza delle specie viventi, ma l’assetto cognitivo che con i suoi perversi meccanismi riduce il reale in pezzi fra loro opposti, rendendolo incoerente ed illeggibile. E’ cosi’ che anche l’organismo vivente nella sua autonomia, unitarieta’ e concretezza svanisce, lacerato schizofrenicamente in un improbabile soggetto spirituale – ragione, anima o spirito – ed in un corpo ridotto a cosa, semplice mezzo per realizzare la supremazia di individui impotenti. Cancellati i viventi a causa dell’approccio analitico, la scena e’ occupata dalla distruzione e dalla morte che imperano incontrastate in tutte le societa’ androcentriche, impermeabili alle intenzioni ed agli sforzi piu’ sinceri e generosi.

L’indignazione, la denuncia, le manifestazioni e qualunque iniziativa a favore della pace sono destinate a cadere nel nulla se continuiamo a rifiutarci di individuare nella parzialita’ dell’esperienza maschile l’origine di un sistema di pensiero nemico della vita e dei viventi. Poiche’, ci piaccia o meno, siamo viventi e come tali il nostro fine e’ vivere non inseguire la morte, ci conviene riconoscere che sono le donne, autrici della vita della specie e responsabili della sua sopravvivenza, ad aver maturato un tipo di razionalita’ funzionale al suo sostenimento e alla sua evoluzione. “Finora sono riuscite a contrastare l’irragionevole distruttivita’ maschile, ingegnandosi a coadiuvare la vita nella sua attivita’ connettiva. Ma ora la dilatazione dei mezzi sempre piu’ sofisticati e corrosivi che gli uomini usano per allontanare l’umanita’ dalle proprie radici vitali, mentre guida l’intero sistema dei viventi verso una sicura estinzione, nullifica l’azione delle donne condotta in silenzio nel privato o, comunque, marginalmente nel pubblico. Occorre percio’ che il loro stile di pensiero inclusivo, connettivo e aperto, venga riconosciuto universalmente come il solo capace di accogliere e gestire al meglio un reale complesso e in continuo divenire” (4).

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Note

1. James Hillman, Un terribile amore per la guerra, Adelphi, Milano 2005.

2. Angela Giuffrida, La razionalita’ femminile unico antidoto alla guerra, Bonaccorso Editore, Verona 2011 (per richieste: www.bonaccorsoeditore.it).

3. Emmanuel Levinas, Totalita’ e infinito, Jaca Book, Milano 1980.

4. La razionalita’ femminile, cit.

5. OGNI VITTIMA HA IL VOLTO DI ABELE. GIORGO MONTAGNOLI: SCEGLIERE LA NONVIOLENZA

[Ringraziamo Giorgio Montagnoli (per contatti: gmontagno@gmail.com) per questo intervento.

Giorgio Montagnoli, nato a Genova nel 1937, laureato in Chimica all’Universita’ di Pisa, ha passato la vita professionale come ricercatore nel campo del riconoscimento molecolare, dapprima nel Consiglio Nazionale delle Ricerche, e poi come docente in Chimica e Biochimica all’Universita’ di Pisa. Innamorato della nonviolenza, ha partecipato con amici a fondare il corso di studi universitari “Scienze per la pace”, tenendo gli insegnamenti di “Chimica della vita” e “Controllo delle armi chimiche e biologiche”. E’ autore di libri di poesia e di pace: Tre raccolte per regalo, Lucca, Lucca libri edizioni, 1989; A lato delle favole e nei sogni, S. Miniato, Titivillus, 2003; Violenza e nonviolenza. Costruzioni culturali o produzioni dell’io?, Rimini, Pazzini editore, 2010, e altri sia professionali che di divulgazione, sulla cultura chimica e sulla costruzione della pace]

La pace e’ cammino, verso una meta che vale solo per indicare la direzione di marcia: per accordo generale e complessivo, essa non verra’ mai raggiunta. Neppure e’ pensabile uno “stato continuato” di pace, e sarebbe disperante, in quanto caratterizzato da assoluta mancanza di cambiamento. Come umani progrediamo attraverso i conflitti che ci capitano addosso, oppure che ci cerchiamo. In questa direzione, la guerra non sara’ bandita, perche’ parte integrante delle relazioni; per l’enorme carico di dolore che si porta dietro, essa deve essere in ogni caso sottoposta a volontario controllo, nel tempo che si possano raggiungere nuovi presupposti culturali. L’unica pace da raggiungersi, all’interno del cammino, e’ dentro il nostro cuore, dal quale dobbiamo bandire la crudelta’, accettando le limitazioni che favoriscono la nonviolenza. Se davvero vogliamo avviare una inversione di tendenza per il ripetersi dell’inutilita’ delle sofferenze, tocca a noi entrare disarmati nelle nostre relazioni, l’unico modo di far decadere l’artificiosa scusante della “sicurezza”, un’invenzione di chi ci governa e ci desidera schiavi. Per continuare ad esistere, la guerra e’ diventata un sistema di rilevanza economica, che si autoperpetua;   forse il  mezzo migliore di umanizzare la guerra sarebbe declassarla, ad esempio rendendola in qualche modo un fenomeno sportivo. Tornare al tempo delle deleghe per i rapporti di forza, come nell’era romana l’episodio degli Orazi e dei Curiazi; l’unica eventualita’ ancora inesplorata rimane proprio l’ironia. Se abbassassimo il valore economico che riscuote, la guerra potrebbe essere avviata a cessare.

Esiste poi anche un altro dato culturale: le guerre che come popolo stiamo oggi combattendo sono sia coloniali che imperiali, e cioe’ basate sul disprezzo. Pertanto e’ errato celebrarne passate occasioni di vittoria. In tal modo il massimo della violenza rimane l’ipocrisia. Davvero “ogni vittima ha il volto di Abele”; bisogna che le vittime diventino tra noi un’eventualita’ obsoleta, ma anche che ad esse sia dato un volto, perche’ il sistema guerra glielo nega. La conduzione oggi e’ arrivata ad essere scientifica, in modo da escludere, nei bombardamenti con droni (aerei telecomandati), di assistere alle devastazioni che stiamo imponendo: e’ difficile guardare in faccia il dolore. Neppure e’ conveniente operare per superare la fabbricazione delle armi, perche’ oggi e’ sempre piu’ possibile impiegare la violenza strutturale, uccidendo attraverso la fame e l’impossibilita’ di vivere.

Questo e’ il quadro in cui si applica la nonviolenza, ma unicamente se non la si diminuisce, attraverso la limitazione di “attiva”. La nonviolenza non puo’ essere ridotta, in quanto e’ qualcosa che opera innanzitutto su chi la pratica, e sviluppa tutto il suo patrimonio di intervento nelle relazioni come cultura, risultando particolarmente efficace.

6. OGNI VITTIMA HA IL VOLTO DI ABELE. GIOVANNI BATTISTA PINTO NOSBARI: LA PACE E’ POSSIBILE, LA PACE E’ NECESSARIA

[Giovanni Battista Pinto Nosbari e’ un vecchio amico di questo foglio.

Ernesto Balducci e’ nato a Santa Fiora (in provincia di Grosseto) nel 1922, ed e’ deceduto a seguito di un incidente stradale nel 1992. Sacerdote, insegnante, scrittore, organizzatore culturale, promotore di numerose iniziative di pace e di solidarieta’. Fondatore della rivista “Testimonianze” nel 1958 e delle Edizioni Cultura della Pace (Ecp) nel 1986. Oltre che infaticabile attivista per la pace e i diritti, e’ stato un pensatore di grande vigore ed originalita’, le cui riflessioni ed analisi sono decisive per un’etica della mondialita’ all’altezza dei drammatici problemi dell’ora presente. Opere di Ernesto Balducci: segnaliamo particolarmente alcuni libri dell’ultimo periodo: Il terzo millennio (Bompiani); La pace. Realismo di un’utopia (Principato), in collaborazione con Lodovico Grassi; Pensieri di pace (Cittadella); L’uomo planetario (Camunia, poi Ecp); La terra del tramonto (Ecp); Montezuma scopre l’Europa (Ecp). Si vedano anche l’intervista autobiografica Il cerchio che si chiude (Marietti); la raccolta postuma di scritti autobiografici Il sogno di una cosa (Ecp); la raccolta postuma di scritti su temi educativi Educazione come liberazione (Libreria Chiari); il manuale di storia della filosofia, Storia del pensiero umano (Cremonese); ed il corso di educazione civica Cittadini del mondo (Principato), in collaborazione con Pierluigi Onorato. Opere su Ernesto Balducci: cfr. i due fondamentali volumi monografici di “Testimonianze” a lui dedicati: Ernesto Balducci, “Testimonianze” nn. 347-349, 1992; ed Ernesto Balducci e la lunga marcia dei diritti umani, “Testimonianze” nn. 373-374, 1995; un’ottima rassegna bibliografica preceduta da una precisa introduzione biografica e’ il libro di Andrea Cecconi, Ernesto Balducci: cinquant’anni di attivita’, Libreria Chiari, Firenze 1996; recente e’ il libro di Bruna Bocchini Camaiani, Ernesto Balducci. La Chiesa e la modernita’, Laterza, Roma-Bari 2002; cfr. anche almeno Enzo Mazzi, Ernesto Balducci e il dissenso creativo, Manifestolibri, Roma 2002; e AA. VV., Verso l'”uomo inedito”, Fondazione Ernesto Balducci, San Domenico di Fiesole (Fi) 2004. Per contattare la Fondazione Ernesto Balducci: www.fondazionebalducci.it]

Gli adoratori della morte sostengono che l’umanita’ non puo’ affrancarsi dalla guerra, la guerra che consistendo dell’uccisione massiva di esseri umani e’ il primo nemico dell’umanita’.

Ma la verita’ e’ che la civilta’ umana consiste proprio nella capacita’ di gestire i conflitti in modo non distruttivo, e di sostituire all’antagonismo la cooperazione.

E giunti come siamo alla distretta presente, abolire la guerra ed i suoi strumenti (gli eserciti, le armi) e’ diventata la prima necessita’ dell’umanita’ intera.

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Ernesto Balducci nella straordinaria Introduzione al libro da lui curato con Lodovico Grassi, La pace. Realismo di un’utopia, Principato, Milano 1983, che riprendeva una sua relazione a un convegno di “Testimonianze” del 1981, ha parlato delle “tre verita’ di Hiroshima”: “La prima verita’ contenuta in quel messaggio e’ che il genere umano ha un destino unico di vita o di morte. Sul momento fu una verita’ intuitiva, di natura etica, ma poi, crollata l’immagine eurocentrica della storia, essa si e’ dispiegata in evidenze di tipo induttivo la cui esposizione piu’ recente e piu’ organica e’ quella del Rapporto Brandt. L’unita’ del genere umano e’ ormai una verita’ economica. Le interdipendenze che stringono il Nord e il Sud del pianeta, attentamente esaminate, svelano che non e’ il Sud a dipendere dal Nord ma e’ il Nord che dipende dal Sud. Innanzitutto per il fatto che la sua economia dello spreco e’ resa possibile dalla metodica rapina a cui il Sud e’ sottoposto e poi, piu’ specificamente, perche’ esiste un nesso causale tra la politica degli armamenti e il persistere, anzi l’aggravarsi, della spaventosa piaga della fame. Pesano ancora nella nostra memoria i 50 milioni di morti dell’ultima guerra, ma cominciano anche a pesarci i morti che la fame sta facendo: 50 milioni, per l’appunto, nel solo anno 1979. E piu’ comincia a pesare il fatto, sempre meglio conosciuto, che la morte per fame non e’ un prodotto fatale dell’avarizia della natura o dell’ignavia degli uomini, ma il prodotto della struttura economica internazionale che riversa un’immensa quota dei profitti nell’industria delle armi: 450 miliardi di dollari nel suddetto anno 1979 e cioe’ 10 volte di piu’ del necessario per eliminare la fame nel mondo. Questo ora si sa. Adamo ed Eva ora sanno di essere nudi. Gli uomini e le donne che, fosse pure soltanto come elettori, tengono in piedi questa struttura di violenza, non hanno piu’ la coscienza tranquilla.

“La seconda verita’ di Hiroshima e’ che ormai l’imperativo morale della pace, ritenuta da sempre come un ideale necessario anche se irrealizzabile, e’ arrivato a coincidere con l’istinto di conservazione, il medesimo istinto che veniva indicato come radice inestirpabile dell’aggressivita’ distruttiva. Fino ad oggi e’ stato un punto fermo.che la sfera della morale e quella dell’istinto erano tra loro separate, conciliabili solo mediante un’ardua disciplina e solo entro certi limiti: fuori di quei limiti accadeva la guerra, che la coscienza morale si limitava a deprecare come un malum necessarium. Ma le prospettive attuali della guerra tecnologica sono tali che la voce dell’istinto di conservazione (di cui la paura e’ un sintomo non ignobile) e la voce della coscienza sono diventate una sola voce. Non era mai capitato. Anche per questi nuovi rapporti fra etica e biologia, la storia sta cambiando di qualita’.

“La terza verita’ di Hiroshima e’ che la guerra e’ uscita per sempre dalla sfera della razionalita’. Non che la guerra sia mai stata considerata, salvo in rari casi di sadismo culturale, un fatto secondo ragione, ma sempre le culture dominanti l’hanno ritenuta quanto meno come una extrema ratio, e cioe’ come uno strumento limite della ragione. E difatti, nelle nostre ricostruzioni storiografiche, il progresso dei popoli si avvera attraverso le guerre. Per una specie di eterogenesi dei fini – per usare il linguaggio di Benedetto Croce – l'”accadimento” funesto generava l'”avvenimento” fausto. Ma ora, nell’ipotesi atomica, l’accadimento non genererebbe nessun avvenimento. O meglio, l’avvenimento morirebbe per olocausto nel grembo materno dell’accadimento”.

Ci sembrano parole definitive.

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E giustamente la carta programmatica del Movimento Nonviolento dichiara essere “l’opposizione integrale alla guerra” la prima fondamentale sua direttrice d’azione nell’impegno “per l’esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell’apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza”, impegno volto allo scopo “della creazione di una comunita’ mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti”.

L’opposizione integrale alla guerra ed alle uccisioni di cui essa consiste: primo dovere di ogni persona decente.

Come e’ stato tante volte rilevato: o l’umanita’ abolira’ la guerra, o la guerra abolira’ l’umanita’.

7. OGNI VITTIMA HA IL VOLTO DI ABELE. MARCO PONDRELLI: LA MORTE DI MASSA

[Ringraziamo Marco Pondrelli (per contatti: marco.pondrelli@provincia.bologna.it) per questo intervento.

Marco Pondrelli e’ assessore provinciale di Bologna al Patrimonio, Provveditorato, Sistemi informativi, Sport. Nato a Bologna nel 1972, si e’ diplomato all’istituto tecnico per geometri “Pacinotti” nel 1991 e laureato in Scienze Politiche, indirizzo storico-politico nel 1998. Nel 2000 ha lavorato come coordinatore intercomunale nel censimento dell’agricoltura e dal 2001 lavora al gruppo consiliare di Rifondazione Comunista della Regione Emilia-Romagna. Ha iniziato la militanza politica negli anni della scuola. Nel 1991 ha aderito al Partito della Rifondazione Comunista. Segretario del circolo di San Lazzaro dal 1998 e’ anche membro del Comitato politico federale. Negli ultimi cinque anni (2004-2009) e’ stato Assessore a San Lazzaro di Savena con le deleghe a: Casa ed edilizia residenziale pubblica, Cultura, Integrazione interculturale, Consulta immigrazione, Rete dell’associazionismo culturale, Cooperazione internazionale, Turismo, Gemellaggi, Politiche giovanili]

“Depuis que l’homme ecrit l’Histoire

Depuis qu’il bataille a’ coeur joie

Entre mille et une guerr’ notoires

Si j’etais t’nu de faire un choix

A l’encontre du vieil Homere

Je declarerais tout de suite:

“Moi, mon colon, cell’ que j’prefere,

C’est la guerr’ de quatorz’-dix-huit!”

(Georges Brassens, La guerre du ’14-’18)

Ricordare la prima guerra mondiale vuole dire ricordare tutte le guerre che hanno segnato la modernita’. La Grande guerra fu allo stesso tempo l’ultima delle vecchie guerre e la prima guerra moderna. Certamente le popolazioni civili soffrirono meno di quanto succedera’ dopo trenta anni, ma per i militari fu un evento terribile, fonte di grandi sofferenze. Maggiori di quelle che circa sessanta anni prima si erano vissute negli Stati Uniti durante la guerra di secessione.

L’Europa all’inizio del Novecento, pero’, non sembrava far presagire, almeno nell’opinione generale diffusa, il temporale che si profilava all’orizzonte. In un libro pubblicato alcuni anni fa (Sarajevo, 28 giugno 1914. Il tramonto della vecchia Europa) Volker Berghahn ci racconta come il mondo europeo saluto’ l’alba del nuovo secolo. L’Impero Britannico, pur se insidiato dalla nascente potenza tedesca, avrebbe visto trionfare le forze rigeneratrici sul “militarismo democratico”. Sempre Berghahn ci racconta che a Berlino il nuovo secolo fu festeggiato in un clima di grande speranza e di grande festa tant’e’ che “solo la salva dei cannoni davanti al Castello riusci’ a soverchiare il gran rumore provocato dai fuochi artificiali”, il “Frankfurter Zeitung” esprimeva senza fuochi pirotecnici questi concetti sostenendo che “il mondo intero si avvantaggera’ del genio tedesco”. Ci si lasciava alle spalle un grande secolo, intriso di vittorie tecnologiche, di grandi conquiste, di grande fiducia nel progresso, giungevano ancora gli echi del positivismo ottocentesco e del suo “romanticismo della scienza” per usare le parole di Nicola Abbagnano. Molti, non tutti, erano convinti che il Novecento sarebbe stato un secolo di grandi conquiste. Eppure solo dopo quattordici anni il mondo si ritrovera’ dentro una guerra terribile che Papa Benedetto XV defini’ l'”inutile strage”… La guerra era ancora vista come una contesa medioevale, dura ma pur sempre regolata da norme d’onore. Alla Grande guerra la somma autorita’ religiosa non riconosce questa dignita’, non ci sono piu’ regole e rispetto. Per il nemico c’e’ solo la nuda e cieca volonta’ di annientare il nemico.

Non vorrei dilungarmi sulle cause della guerra, ci sono innumerevoli studi e ricerche che meglio di quanto potrei fare io hanno analizzato i motivi alla base del conflitto, mi limito ad una considerazione per tentare di rispondere a questa domanda sulle cause scatenanti del conflitto, una considerazione che riguarda il nostro paese. L’Italia entro’ in guerra nel 1915, contro la volonta’ del Parlamento, con nobili motivazioni si arrivo’ addirittura a definire la guerra come la “quarta guerra d’Indipendenza”, alcuni ambienti dell’interventismo presentavano la guerra come una battaglia contro la barbarie in difesa della democrazia (come questo venisse coniugato con l’alleanza con la Russia zarista resta un mistero). In realta’ l’Italia aveva mercanteggiato con i paesi belligeranti il proprio ingresso stipulando un trattato (il trattato di Londra che verra’ reso pubblico solo nel 1917 e non per volonta’ dell’Italia) grazie al quale si sarebbe vista riconosciuta le “terre irredente” alla fine della guerra. Questo atteggiamento non proprio disinteressato porto’ Winston Churchill a definire il Bel Paese la “prostituta d’Europa”, come ha testimoniato Mark Thompson nel suo “la guerra bianca”.

Quando il contadino meridionale si trovo’ precipitato in prima linea capi’ che tra le parole e la realta’ il solco era grande. Ai grandi ideali irredentisti si sostitui’ una realta’ drammatica. Le condizioni nelle trincee erano pietose: topi, pidocchi, freddo d’inverno e caldo d’estate che aumentava l’odore dei cadaveri in putrefazione. Questo non vale ovviamente solo per il fronte italiano, come dimenticare le sofferenze vissute sulla Somme o a Verdun. I morti non erano causati solo dagli eserciti nemici, le cause di morte erano anche altre: frane, valanghe, assideramento…

Il nostro esercito era comandato dal generale Cadorna, il quale, affidandosi a vecchie tattiche militari, era un convinto assertore degli assalti frontali al nemico. L’attacco doveva essere deciso e doveva basarsi sull’ardore dei soldati, se questi non riuscivano nell’obiettivo la colpa era loro. Da qui le punizioni e le fucilazioni dei fanti considerati la causa dei limiti italiani. In altre parole i soldati dovevano decidere se morire per mano del nemico o per mano del proprio esercito. Ci sono molti atti, fra cui le circolari a sua firma, che raccontano di come Cadorna redarguisse i propri ufficiali per le scarse fucilazioni. Un meticoloso lavoro di analisi di questi eventi e’ stato prodotto da Forcella e Monticone che ci hanno consegnato uno spaccato drammatico della giustizia militare nel libro Plotone d’esecuzione.

La guerra era questo. La societa’ di massa produsse anche la morte di massa. Le battaglie inizialmente legate a vecchie tecniche diventarono via via piu’ moderne, la tecnologia fece il suo ingresso nella societa’ attraverso le armi. I gas, gia’ usati dagli inglesi in Africa, divennero di uso comune. La tecnologia non fu usata per migliorare la vita come aveva profetizzato il barone Anne Robert Jacques Turgot a meta’ del Settecento, ma fu usata per uccidere meglio ed in modo piu’ efficace. Personalmente ho capito cosa significa la massificazione della morte quando ho visitato Mauthausen, uno dei simboli della barbarie nazista, laddove la morte e’ organizzata in un modo che definirei “taylorista”.

La morte di massa, i milioni di caduti al fronte, ai quali si devono aggiungere i morti nel dopoguerra causati dalla cosiddetta febbre gialla, ci fanno perdere di vista i casi reali, le singole vite spezzate, le famiglie mutilate, il dolore di chi resta. Scrivevano alcuni grandi scienziati, fra i quali Einstein, Rotblat e Russell, nel 1955: “… cio’ che forse piu’ che ogni altro elemento ostacola la comprensione della situazione e’ il fatto che il termine umanita’ appare vago ed astratto, gli uomini stentano a rendersi conto che il pericolo e’ per loro, per i loro figli e loro nipoti e non solo per una generica e vaga umanita’. E’ difficile far si’ che gli uomini si rendano conto che sono loro individualmente ed i loro cari in pericolo imminente di una tragica fine” (tratto dal Manifesto di Russell-Einstein). La massificazione della guerra e della morte altera le proporzioni ed anche la percezione che abbiamo di queste. Gli scienziati che scrissero queste parole nel 1955 pensavano alle guerra nucleare, ma i milioni di morti della Grande guerra e i morti di tutte le altre guerre, anche quelle che quotidianamente continuano, ci dimostrano la fatica che va compiuta per riportare questi dati dall’arida classificazione delle tabelle alla realta’ degli affetti e dei sentimenti.

C’è un film del 1957 realizzato da un giovane Stanley Kubrick, Orizzonti di gloria, che ci racconta una storia vera (basandosi sul libro di Humphrey Cobb “Paths of glory”). Tre soldati dell’esercito francese condannati a morte per codardia davanti al nemico. E’ un film che consiglio a tutti ed e’ un film che per molti anni e’ stato vietato in Francia, cosi’ come oggi sembra vietato in Italia parlare in modo chiaro dei crimini commessi dal nostro esercito nella prima guerra mondiale ed anche durante le nostre vergognose esperienze coloniali.

Assieme al film di Kubrick vorrei consigliare a tutti la lettura di un bellissimo libro, scritto da Maria Rosa Calderoni. Come in Orizzonti di gloria si parla della fucilazione di quattro soldati, questa volta italiani. Il libro “la fucilazione dell’alpino Ortis” e’ raccontato in prima persona. E’ Silvio Ortis a raccontarci la sua triste sorte e la sua vita: fatta di sacrifici e di difficolta’ nella Carnia d’inizio secolo. Mi piace ricordare in conclusione alcune parole scritte in questo libro. Raccontano di Lelia, la fidanzata di Silvio, che soffri’ molto per la perdita di quello che sarebbe potuto diventare suo marito, ricordandolo per tutta la sua vita, poi arricchitasi col tempo di un marito, di figli e di nipoti. Dice Ortis “Non ho parole adatte per dirlo, non lo so fare. Ma e’ come se tra Leila e me qualcosa fosse continuato a esistere, qualcosa di segreto e doloroso, che e’ sopravvissuto alla morte. C’erano lacrime nei suoi occhi, anche dopo molti anni, al mio ricordo, al ricordo della mia fine. Ero dunque rimasto li’, nei suoi dintorni, presente: ed e’ questo che mi consola, nella tomba in cui mi trovo. La sua pieta’ ha continuato a tenermi in vita. Il primo dei suoi figli lo ha chiamato Silvio e uno scialle bianco, accuratamente piegato, e’ rimasto custodito, per quasi settant’anni, nel suo cassetto: lo scialle bianco che io le avevo regalato quell’ultima estate che ci eravamo visti”.

Per concludere vorrei ritornare all’idea con cui ho aperto questo breve articolo. Il progresso nell’Ottocento aveva aperto grandi possibilita’ e migliorato la qualita’ della vita, ma il progresso non e’ qualcosa di automatico e soprattutto, come ci ha insegnato Pier Paolo Pasolini, una cosa e’ lo sviluppo, altra cosa e’ il progresso. Dipende da noi piegare la tecnologia all’idea di una societa’ migliore, lo dico ancora una volta ricordando il gia’ citato Manifesto di Russell-Einstein: “Se vogliamo, possiamo avere davanti a noi un continuo progresso in benessere, conoscenze e saggezza. Vogliamo invece scegliere la morte perche’ non siamo capaci di dimenticare le nostre controversie? Noi rivolgiamo un appello come esseri umani ad esseri umani: ricordate la vostra umanita’ e dimenticate il resto. Se sarete capaci di farlo vi e’ aperta la via di un nuovo Paradiso, altrimenti e’ davanti a voi il rischio della morte universale”.

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OGNI VITTIMA HA IL VOLTO DI ABELE

Mattia Branco

Ho diretto, ho collaborato con periodici locali e riviste professionali. Ho condotto per nove anni uno spazio televisivo nel programma "Anja Show".

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