Prima domenica di Quaresima (C) – 6 marzo 2022

La tentazione raggiunge il Signore

Prima lettura: Professione di fede del popolo eletto (Dt 26,4). Seconda lettura: Professione di fede di chi crede in Cristo (Rm 10,8). Terza lettura: Non di solo pane vivrà l’uomo (Lc 4,1).

Un po’ di storia

1) “Passato il sabato, all’alba del primo giorno della settimana…” (Mt 28,1). Così inizia il racconto delle manifestazioni del Risorto nel giorno di Pasqua. Ecco perché i cristiani hanno scelto di riunirsi per celebrare la loro festa settimanale non più il sabato, come facevano gli ebrei, ma il giorno seguente, in quello che i romani chiamavano il giorno del sole. Ben presto hanno anche assegnato un nome nuovo a questo giorno: giorno del Signore. Si riunivano “per spezzare il pane” (At 20,6- 12) e per offrire ai fratelli bisognosi quanto erano riusciti a risparmiare lungo la settimana (1Cor 16,2; 2Cor 8,9).

2) All’inizio non c’erano né la festa del Natale, né le feste della Madonna, né alcun’altra festa. C’era solo la celebrazione settimanale della risurrezione del Signore. Passati alcuni decenni, si sentì il bisogno di dedicare un giorno particolare per commemorare l’avvenimento centrale della fede. Nacque così la Pasqua, considerata la Domenica delle domeniche, la Festa delle feste. Era come la regina di tutte le feste, di tutte le domeniche, di tutti i giorni dell’anno.

3) Com’è nata la Quaresima? Per vivere bene la Pasqua, i cristiani hanno capito che questa festa andava preparata. Cominciarono allora a introdurre due giorni dedicati alla preghiera, alla riflessione e al digiuno, in segno di lutto per la morte di Cristo. Pian piano questo periodo di preparazione fu ampliato: nel secolo III divenne una settimana, poi si passò a tre settimane, finché nel IV secolo si arrivò ai quaranta giorni: era nata la Quaresima. Il concilio di Nicea (325 d.C.) parla della quadragesima come di un’istituzione nota a tutti. La festa di Pasqua non doveva solo essere preparata, bisognava trovare anche il modo di prolungarne la gioia e la ricchezza spirituale. Furono istituite molto presto le cosiddette sette settimane, i cinquanta giorni di Pentecoste, che dovevano essere celebrati con grande allegria. Durante i giorni di Pentecoste si pregava in piedi, era proibito il digiuno e si amministravano i battesimi. Insomma, si voleva che il giorno di Pasqua durasse… cinquanta giorni!

4) Perché proprio quaranta giorni? Quando troviamo dei numeri nella Bibbia dobbiamo essere cauti nell’interpretarli perché, molte volte, hanno un valore simbolico. Così, quando si accenna al numero quaranta o a un suo multiplo si intende in genere un tempo simbolico che può essere lungo o breve. Per esempio, è difficile credere che Elia abbia potuto camminare per quaranta giorni e quaranta notti fino al monte di Dio, l’Oreb, dopo aver mangiato una sola focaccia e aver bevuto un orcio d’acqua (1Re 19,6-8); che Mosè abbia passato quaranta giorni e quaranta notti sul Sinai, senza mangiare pane e senza bere acqua (Es 34,28), e che anche Gesù sia riuscito a fare altrettanto (Mt 4,2). Il numero quaranta aveva parecchi significati, si riferiva alla vita di un’intera generazione oppure per tutta una vita. Aveva anche un altro significato che ora ci interessa in modo particolare: indicava un periodo di preparazione (più o meno lungo) a un grande avvenimento. Per esempio: il diluvio durò quaranta giorni e quaranta notti… e preparò un’umanità nuova; quaranta anni passò il popolo di Israele nel deserto… per prepararsi all’entrata nella Terra Promessa; quaranta giorni fecero penitenza gli abitanti di Ninive… prima di ricevere il perdono da Dio; quaranta giorni e quaranta notti camminò Elia… per raggiungere il monte di Dio; quaranta giorni e quaranta notti digiunarono Mosè e Gesù… per prepararsi alla loro missione. Allora, per preparare la più grande di tutte le feste cristiane, quanti giorni sarebbero stati necessari?… Quaranta, naturalmente! L’evangelista ci vuole dire che tutta la vita di Gesù è stata sotto l’insegna di queste tentazioni, o meglio, di queste seduzioni.

5) Con le Ceneri iniziava il periodo di penitenza. I peccatori si presentavano al vescovo, che li allontanava dalla comunità cristiana, ed essi si ritiravano in silenziosa preghiera, a prepararsi per la gioiosa riconciliazione del Giovedì Santo. Poi le Ceneri furono estese a tutti, a simboleggiare che tutti avevano bisogno di penitenza esteriore e di conversione interiore: “Ricordati, o uomo, che sei polvere e in polvere devi ritornare, che sei sulla terra per arredare la tua eternità!”. Oggi molte cose sono mutate. Sarebbe interessante se agli angoli delle strade o nelle piazze, una troupe di intervistatori ponesse due o tre domande: che sono le Ceneri? Il peccato? La penitenza? Più che risposte, avremmo scongiuri, e questo è il segno più certo del degrado subìto da queste feste, come da altre, per esempio: Natale, Epifania, Pasqua, Spirito …

6) Vi è però una differenza: le precedenti feste sono state assunte nel circuito dei consumi; l’ingranaggio del produrre/consumare le utilizza per i propri scopi; naturalmente, per trasformarle in “motivazioni di acquisto”, deve operare delle manipolazioni e riduzioni; ogni riferimento al Trascendente è eliminato; restano solo le antiche parole, ma la semantica è totalmente mutata. Così, Natale diventa Babbo Natale, l’Epifania una vecchia Befana carica di regali, Pasqua diventa la festa della primavera… Le Ceneri, invece, per il loro aspetto mortificante, non si prestano ad essere “consumate” dagli allegri festaioli che, ancora stanchi e delusi dopo la nevrosi collettiva del carnevale, già pensano alle prossime feste pasquali. Sulle Ceneri e sulla Quaresima, non una parola, per non turbare l’eutanasia delle coscienze. 7) La parola “peccato” assume così un significato generico. Oggi, i confessionali sono svenduti come mobili-bar; il peccato è diventato collettivo: delle classi, del sistema, del potere, delle strutture; la liberazione è diventata solo politica, sociale, economica, psicologica. Pochi, preti compresi, dicono all’uomo che deve liberarsi prima da se stesso, che il male non è solo né tanto nel cattivo funzionamento della macchina della comunità storica; il male, nel suo tragico e policromo ventaglio, è al di qua delle strutture, il punto suo sorgivo è nell’uomo del “sottosuolo”. Uomo come groviglio di vipere, carico di pesantezza animalesca, intreccio di luci ed ombre, fragilità e agilità, forza centripeta e centrifuga, angelo e bestia, miseria e nobiltà, intrappolato con le sue stesse mani nella “giara” della vita. Bene ha scritto R. Guardini: “La grande tentazione oggi è quella di far confluire tutto nel destino comune, eliminando così libertà e responsabilità, tentando di fare di ogni originale una volgare fotocopia”.

8) Cosa fare, allora, praticamente? Penitenza, che non significa fissare il pensiero sulle nostre colpe, sul nostro io peggiore. Non c’è niente di attraente. Penitenza vuol dire rivolgersi al vero Dio. Osserviamo Giuda e Pietro, ambedue traditori: Giuda riconobbe il suo peccato, fece anche una buona confessione: “Ho peccato, ho tradito il sangue di un Innocente”, restituì il denaro (cosa rara tra i penitenti!), ma poi andò ad impiccarsi. Pietro guarda Cristo, gli sguardi si incrociano, la pace è fatta. Conversione non significa sacrificare a Dio le nostre piccole gioie: sarebbe un Dio meschino! Si tratta di comprendere che Dio ci ama, che non è geloso delle nostre piccole gioie. Al contrario, le vuole fortificare ed eternare. Non facciamo perciò ‘mortificazioni’ in Quaresima: siamo già troppo morti, troppo tristi. Sia invece un tempo di ‘vivificazioni’, costruendo in silenzioso impegno la civiltà dell’amore, la cultura della vita. Allora sarà Pasqua!

9) Gesù è tentato! Il Vangelo di oggi ci ‘meraviglia’. Eccoci, sembra di trovarci davanti al copione di un bel mito. Chi può credere che il diavolo abbia portato Gesù sul pinnacolo del tempio? Strano davvero questo diavolo, questo sfoggio di Scrittura, questo dialogo tra Cristo e il demonio! Ci sembra sconcertante, fantastico. Leggendo il brano di oggi, poi, si ha l’impressione che l’esperienza di Gesù non ci possa aiutare molto: le sue tentazioni sono strane, addirittura stravaganti; le nostre sono molto più serie, più difficili da vincere e poi non durano solo una giornata, ma ci accompagnano per tutta la vita. Questa difficoltà nasce dalla mancata comprensione del “genere letterario”, vale a dire, del modo usato dall’autore per comunicare il suo messaggio. Il Vangelo di oggi non è la cronaca fedele, redatta da un testimone oculare, della sfida fra Gesù e il diavolo (né Luca né alcun altro vi hanno assistito). Il brano è una lezione di catechesi e vuole insegnarci che Gesù è stato messo alla prova non con tre, ma “con ogni specie di tentazione” – come afferma chiaramente il testo (v.13). Per dirla in parole semplici: non siamo di fronte al racconto di tre episodi della vita di Gesù, ma a tre parabole in cui, attraverso immagini e richiami biblici, si afferma che Gesù è stato tentato in tutto come noi, con un’unica differenza: egli non è mai stato vinto dal peccato (Eb 4,15). Questi tre quadri sono la sintesi simbolica della lotta contro il male da lui sostenuta in ogni momento della sua vita.

10) La prima cosa da considerare è che non ci troviamo davanti a un racconto ‘storico’ ma ad una haggadáh (F. Bovon), cioè una narrazione che contiene un insegnamento per la vita. E’ sorprendente che il diavolo non chiede a Gesù che faccia del male a qualcuno. Il diavolo non si presenta come un ‘avversario’ che tenta Gesù al male, ma come un suo fidato ‘collaboratore’, che gli consiglia – e si mette a sua disposizione – tutti i mezzi per affermarsi come messia. Cosa gli chiede il diavolo? Che ci sia pane, che Gesù abbia potere e gloria nel mondo e che tra ali di angeli cada sulla terra senza farsi male! Ci può essere una cosa migliore di tutto questo? Non sono cose che chiediamo anche noi nella preghiera del Pater? In cosa consiste qui la tentazione? È curioso che i buoni commenti ai Vangeli di Matteo e Luca, che sono quelli che contengono quest’episodio, non spiegano il senso profondo di questo racconto che è il progetto di vita proposto da Gesù. A mano a mano che passano gli anni ed i secoli, noi cristiani possiamo avere più elementi di giudizio per comprendere l’insegnamento straordinario di questo strano racconto. Secondo la bella immagine di Bernardo di Chartres, noi siamo dei nani sulle spalle dei giganti, possiamo vedere meglio e più lontano dei nostri antenati. Con l’esperienza del tempo, scopriamo meglio il Vangelo. Dove ed in cosa sta la chiave di tutto quello che qui ci viene detto? Il senso di questa haggadáh è che nel cristianesimo è stata operata una pericolosa deviazione, riducendo l’opera ed il messaggio di Gesù a tre cose: ‘miracoli’, ‘misteri’, ‘autorità’. Così il Vangelo è stato praticamente annullato e lo abbiamo messo nelle mani dei vescovi, dei preti, dei religiosi. A volte protestiamo contro di loro, ma ci va bene il consegnare loro la nostra libertà. In questo modo ci va bene la religione e ci siamo liberati dalle esigenze che suppone il Vangelo. Aspettiamo e desideriamo che il Papa sistemi tutto, ma questo non si mette a posto cambiando il Papa ma cambiando noi stessi. Sta succedendo che non vogliamo fare quest’ultima cosa (la conversione!); pur parlando di primato di Dio, poi restiamo attaccati al primato dell’io! Per questo iato tra fede e vita, stiamo andando sempre più alla deriva nella nostra vecchia Europa!

11) Mi piace, infine, pensare che la parola “quaresima” deriva dal verbo latino “quaerere”, che significa cercare, desiderare, impegnarsi. Sant’Agostino, ai suoi fedeli di Ippona, dava questo impegno all’inizio della quaresima: pregare di più, digiunare di più, donare di più. È un tempo forte, un’occasione privilegiata per riscoprire chi è Dio e chi siamo noi. Con Gesù, come Gesù, siamo chiamati a fare la nostra scelta. Non è facile perché il tentatore ci propone di cercare solo il pane della terra, di ammassare ricchezza e potenza, di crederci autosufficienti fino a fare a meno di Dio. Buona vita!

השּׁרשים הקּדשים Le Sante Radici

Per contatti:francescogaleone@libero.it

Mattia Branco

Ho diretto, ho collaborato con periodici locali e riviste professionali. Ho condotto per nove anni uno spazio televisivo nel programma "Anja Show".

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