Quei fedelissimi che non rinunciano al ticchettio della macchina per scrivere

Chiusa in India l’ultima fabbrica, ma per alcuni intellettuali è insostituibile. Ceronetti: è parte di me. Vassalli: i miei romanzi non possono nascere al computer

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Chiusa in India l’ultima fabbrica, ma per alcuni intellettuali è insostituibile. Ceronetti: è parte di me. Vassalli: i miei romanzi non possono nascere al computer

Il salto, ormai, l’hanno fatto quasi tutti. La macchina per scrivere è un ricordo, qualche volta un cimelio o una suppellettile per nostalgici. Tant’è vero che l’ultima fabbrica ancora funzionante, in India, ha dichiarato la resa, e chiude. La sua epoca è finita e non sapremo mai se era più giusto dire macchina da scrivere o macchina per scrivere. Una storia durata centocinquant’anni, ma gloriosa: non si contano le fotografie dei maggiori scrittori del secolo scorso intenti a battere sui tasti neri o anneriti di una Olivetti, di una Remington o di una Underwood. Qualcuno il salto l’ha fatto senza rimpianti. Emilio Tadini, per esempio, ne vedeva soprattutto i vantaggi: «Il computer – diceva – è uno straordinario strumento artigianale, consente di ripartire sempre dal vuoto. È come la plastilina: basta schiacciarla e tutto si annulla. Rimane solo il ricordo di quel che c’era, senza lasciare la presenza fisica, ingombrante, della redazione precedente».  

 
Lo scrittore Sebastiano Vassalli possiede quattro Olivetti (una imponente linea 88 e tre portatili) e la pregiata Adler anni 40. Lui i suoi romanzi li ha sempre scritti a mano su quaderni e poi ricopiati a macchina, per poter riflettere meglio (foto Stefano Cavicchi)

C’è però una razza in via d’estinzione che resiste. È un’esile truppa di scrittori che rimane fedele alla meccanica. «Scrivo a macchina – dice Guido Ceronetti – con crescenti errori di battuta: è una macchina tedesca che si chiama Monika, l’ho comprata a Roma 35-40 anni fa. Mi piace, mi appartiene e sono contento così, anche se perde colpi e una nuova non si trova di certo». La prima macchina da scrivere di Ceronetti era una portatile della ditta paterna: «Avevo 17 anni, uscivo apposta di casa per andare a chiedere con tremore a mio padre e a mio zio se potevo usarla. Scrivevo con dieci dita, perché mi ero diplomato in stenografia e dattilografia in vista di chissà quale carriera di giornalista, in un istituto torinese di via Po. Ero l’unico maschio con una ventina di ragazze».

Altri esemplari rari di scrittori-macchinisti sono Alberto Arbasino, Raffaele La Capria, Gillo Dorfles. Il quale però, superati i cento, non esclude affatto una conversione futura: «Bisogna che mi decida, ma finisce che rimando sempre. Diciamo che ormai mi trovo male a scrivere con tutto, tranne che con la penna. Infatti prima scrivo a mano, poi ricopio a macchina, e lo stesso farei con il computer. Il fatto è che odio tutto ciò che è elettronico, telefonino compreso: dunque per il momento mi tengo le mie due o tre Olivetti, che più che vecchie sono decrepite, ma proverò a cambiare».

 
ERNEST HEMINGWAY Il Nobel per la letteratura 1954 con la sua macchina per scrivere
 
ORIANA FALLACI La giornalista fiorentina nel suo studio


Sarebbe sbagliato limitare il tutto a una questione generazionale.
Il pioniere italiano del Grande passaggio, come si sa, è stato Umberto Eco, classe 1932. Altri, decisamente più giovani, non cedono alle sirene del digitale. Sebastiano Vassalli, con le sue quattro Olivetti (una imponente linea 88 e tre portatili) e la pregiata (e gigantesca) Adler anni 40, ne fa una questione di stile: «I miei romanzi li ho sempre scritti a mano su quaderni e poi ricopiati a macchina: la ricopiatura mi dà il tempo di riflettere sulle piccole cose, che poi non sono affatto piccole. In realtà è una nuova stesura che quelli che lavorano al computer si perdono. Diversi amici molto fidati mi dicono: “Risparmieresti un sacco di tempo”, ma per me non è così che si lavora. Abbreviare i tempi tecnici della scrittura è contro natura». In un’altra occasione Vassalli ha precisato che è come se arrivasse una nuova tecnologia capace di ridurre la gravidanza a sei mesi… Ora semmai il suo problema è un altro. E molto serio: i pezzi di ricambio e il reperimento dei nastri: «Alla notizia della chiusura dell’ultima fabbrica, mancava poco che mi mettessi a piangere».

 
PIER PAOLO PASOLINI Lo scrittore-regista fotografato da Dino Pedriali
 
INDRO MONTANELLI Senza orpelli, il grande giornalista scriveva sulla Lettera 22


C’è poi chi sceglie una terza via:
niente macchina e niente computer. Solo la penna. È il caso di Franco Cordelli, che nel novembre 2009 ha deciso («per motivi privati, un po’ scaramantici, lo ammetto») di abbandonare la macchina e ha ripreso a scrivere a mano: «L’ultimo romanzo, La marea umana, per fortuna l’ho finito prima, e non oso pensare a quello che sarà di me se dovessi scriverne un altro». Ma il computer mai: «Pone pochi ostacoli alla mano e questo incide sulla qualità profonda della scrittura».

dal “Corriere della Sera” – 28 aprile 2011 – Paolo Di Stefano 

Mattia Branco

Ho diretto, ho collaborato con periodici locali e riviste professionali. Ho condotto per nove anni uno spazio televisivo nel programma "Anja Show".

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