SANTA MESSA DOMENICA 26 APRILE

LA PAROLA
26 aprile 2015gesu-7
Domenica
S. Marcellino martire
4.a di Pasqua – IV
Letture: At 4,8-12; Sal 117; 1Gv 3,1-2; Gv 10,11-18 – La pietra scartata dai costruttori è divenuta la pietra d’angolo

PREGHIERA DEL MATTINO
“Signore tu mi scruti e mi conosci, tu sai quando seggo e quando mi alzo, penetri da lontano i miei pensieri, mi scruti quando cammino e quando riposo. Ti sono note tutte le mie vie”. O Buon Pastore, guidami sulla via della vita.

ANTIFONA D’INGRESSO
Della bontà del Signore è piena la terra; la sua parola ha creato i cieli. Alleluia. (Sal 33,5-6)

COLLETTA
O Dio, creatore e Padre, che fai risplendere la gloria del Signore risorto quando nel suo nome è risanata l’infermità della condizione umana, raduna gli uomini dispersi nell’unità di una sola famiglia, perché aderendo a Cristo buon pastore gustino la gioia di essere tuoi figli. Per il nostro Signore Gesù Cristo…

PRIMA LETTURA (At 4,8-12)
In nessun altro c’è salvezza.
Dagli Atti degli Apostoli
In quei giorni, Pietro, colmato di Spirito Santo, disse loro: «Capi del popolo e anziani, visto che oggi veniamo interrogati sul beneficio recato a un uomo infermo, e cioè per mezzo di chi egli sia stato salvato, sia noto a tutti voi e a tutto il popolo d’Israele: nel nome di Gesù Cristo il Nazareno, che voi avete crocifisso e che Dio ha risuscitato dai morti, costui vi sta innanzi risanato. Questo Gesù è la pietra, che è stata scartata da voi, costruttori, e che è diventata la pietra d’angolo.
In nessun altro c’è salvezza; non vi è infatti, sotto il cielo, altro nome dato agli uomini, nel quale è stabilito che noi siamo salvati».
Parola di Dio.

SALMO RESPONSORIALE (Dal Salmo 117)
R. La pietra scartata dai costruttori è divenuta la pietra d’angolo.
Rendete grazie al Signore perché è buono,
perché il suo amore è per sempre.
È meglio rifugiarsi nel Signore
che confidare nell’uomo.
È meglio rifugiarsi nel Signore
che confidare nei potenti. R.
Ti rendo grazie, perché mi hai risposto,
perché sei stato la mia salvezza.
La pietra scartata dai costruttori
è divenuta la pietra d’angolo.
Questo è stato fatto dal Signore:
una meraviglia ai nostri occhi. R.
Benedetto colui che viene nel nome del Signore.
Vi benediciamo dalla casa del Signore.
Sei tu il mio Dio e ti rendo grazie,
sei il mio Dio e ti esalto.
Rendete grazie al Signore, perché è buono,
perché il suo amore è per sempre. R.

SECONDA LETTURA (1Gv 3,1-2)
Vedremo Dio così come egli è.
Dalla prima lettera di san Giovanni apostolo
Carissimi, vedete quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente! Per questo il mondo non ci conosce: perché non ha conosciuto lui.
Carissimi, noi fin d’ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è.
Parola di Dio.

CANTO AL VANGELO (Gv 10,14)
R. Alleluia, alleluia.
Io sono il buon pastore, dice il Signore,
conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me.
R. Alleluia.

VANGELO (Gv 10,11-18)
Il buon pastore dà la propria vita per le pecore.
+ Dal Vangelo secondo Giovanni
In quel tempo, Gesù disse: “Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore. Il mercenario – che non è pastore e al quale le pecore non appartengono – vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; perché è un mercenario e non gli importa delle pecore.
Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, così come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore. E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore.
Per questo il Padre mi ama: perché io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio”.
Parola del Signore.

OMELIA
Gesù si propone come il buon Pastore. Subito ci appare una bella icona. Suggerisce aperte campagne con pascoli rigogliosi in un ambiente invitante. Tutto in un clima rilassante. Il contatto con la natura propone una simbiosi che allarga lo spirito. Le pecore sono al sicuro, proprio perché c’è il pastore, il buon pastore che vigila costantemente. Gesù prende molto spesso spunto dalla natura per fornire delle immagini che vanno però ben oltre la realtà che Egli richiama. Il buon pastore di Gesù dona la sua vita per le sue pecore. È un gesto generoso, di vero e puro amore; significa donazione completa. Gesù, però non è mai banale nelle sue affermazioni; pone sempre una questione che va oltre. Richiede da noi molta attenzione. Il Buon Pastore dona la sua vita non semplicemente come gesto supremo di amore. Gesù proclama la sua divinità quando dice che Lui stesso ha il potere di offrire la sua vita, per poi riprenderla. Gesù è l’autore della vita; è la Vita stessa. È una dichiarazione ma anche un annuncio ed una profezia sul suo Mistero Pasquale. La sua Passione e Resurrezione non sono, allora, eventi tragici ed ineluttabili di una missione impossibile. Non è lo scontrarsi nella realtà terrena di un piano divino. Non è un infrangersi di una missione preparata da tempo. Il Mistero Pasquale è nella logica di Dio non nella logica dell’uomo. È donazione completa che essendo divina è condivisa dal Padre, come Donatore e dal Figlio, come Donato nello Spirito. È un mistero profondo che è trinitario e che non trova sbavature tra il comando del Padre e l’obbedienza del Figlio; due realtà che coincidono. Non c’è abbandono, non c’è dimenticanza nella Croce; anzi nel silenzio del Padre è presente tutta l’opera Trinitaria. Gesù si proclama vero Dio con l’immagine del Pastore. Non è un Dio nascosto e lontano; le sue pecore conoscono la sua voce. Gesù china la divinità all’uomo per comunicare questo amore infinito; custodisce, difende le sue pecore. Parla loro con amore, infonde fiducia e coraggio. La sua voce è rassicurante; le pecore quando sentono la voce amica del Buon pastore sanno che ormai possono essere tranquille. Gesù si mostra vicino agli uomini; si proclama vero Dio e vero uomo, proprio perché in Lui albergano veri sentimenti umani. Ascoltiamo la sua voce, accettiamo questo Dono di infinito amore per metterci accanto a Lui nella Morte e resurrezione. Sentiamoci veramente sicuri e protetti dalla sua Guida, che ami prevarica sull’uomo.
(Padri Silvestrini)

PREGHIERA SULLE OFFERTE
O Dio, che in questi santi misteri compi l’opera della nostra redenzione, fa’ che questa celebrazione pasquale sia per noi fonte di perenne letizia. Per Cristo nostro Signore.

ANTIFONA ALLA COMUNIONE
“Io sono il buon pastore e offro la vita per le pecore”, dice il Signore. Alleluia. (Gv 10,14.15)

PREGHIERA DOPO LA COMUNIONE
Custodisci benigno, o Dio nostro Padre, il gregge che hai redento con il sangue prezioso del tuo Figlio, e guidalo ai pascoli eterni del cielo. Per Cristo nostro Signore.

MEDITAZIONE
Nella quarta domenica di Pasqua, tutti gli anni, ascoltiamo dal decimo capitolo di san Giovanni la parabola di Cristo, vero pastore. E tutti gli anni, alla stessa distanza da Pasqua, la Chiesa, unendo alla parabola del pastore il ministero pastorale dei sacerdoti, fa pregare per le vocazioni. In primo luogo le vocazioni sacerdotali, l’obiettivo più visibile nel nostro paese provato da una crisi interna assai sensibile. Ma anche le vocazioni di uomini e di donne alla consacrazione di tutta la loro vita in svariate attività: vita religiosa nella contemplazione o al servizio degli altri, nelle forme più diverse, anche nella vita laica. In breve, questo dono totale di un’esistenza, che in tutti i campi dell’attività umana rinuncia a ciò che sarebbe normale e piacevole intraprendere, per rispondere alla chiamata di Dio ed essere disponibile per i propri fratelli se ve n’è bisogno.
Nel nostro paese, in ogni caso, ci troviamo oggi in una situazione ambigua, poiché si capisce a fatica ciò che essa stessa significa e sino a dove giunge. Come dei dormienti che si sono svegliati male, non sappiamo che pensare e che prevedere in un avvenire del quale non vediamo bene il contorno. Secondo ciò che è più o meno desiderato, siamo ottimisti o pessimisti. In ogni caso cerchiamo di giustificare in qualche modo una situazione che rende insicuri. Ma non ignoriamo che, in un tempo e in un’epoca determinata, un indice misura lo stato di un popolo, il suo fervore, la sua vitalità: è il numero e la qualità dei giovani, delle donne e degli uomini, che in una generazione sono pronti a consacrare tutte le loro forze a un ideale, all’amore, al desiderio di servire, e che levandosi dicono: “Eccomi”.
Quando una causa non suscita più generosità, è morta, oppure gli uomini e le donne che potevano promuoverla stanno essi stessi morendo. È il motivo per cui la situazione attuale che mette a fuoco la penuria di vocazioni ci fa preoccupare per noi stessi.
Prima di meditare la parabola del buon Pastore, del vero Pastore, vi invito a ricordare una frase della prima lettera di san Giovanni (1Gv 3,1) che spesso passa inosservata: “Fin d’ora siamo figli di Dio. Quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente! La ragione per cui il mondo non ci conosce, è perché non ha conosciuto lui”. Frase terribile. Giovanni, questo visionario, questo mistico, affascinato e nutrito dalla Rivelazione, abbagliato da quello che hanno visto i suoi occhi, le cui mani hanno toccato il Verbo della vita (1Gv 1,1), vede bene che questo mondo pagano nel quale egli è stato mandato come testimone della parola, questo universo di uomini organizzati nel loro paganesimo, non può sapere chi sono i figli di Dio perché non conosce Dio.
Ora, miei fratelli, amici miei, la vera crisi cristiana è innanzitutto la crisi di un popolo o di un momento della storia di un popolo, di una cultura o del momento di una cultura che sta ritornando pagana. Molti di coloro che portano il nome di cristiani sono di fatto pagani. Io non accuso, constato. Bisogna sapere bene attraverso quale educazione, quale lunga conversione dello spirito, dell’intelligenza, alcuni uomini e alcune donne scoprono che la loro esistenza acquista un senso solo perché Dio esiste, che la loro dignità viene da Dio stesso e che essi devono agire per rendere gloria a Dio; poiché la vita umana non trova la sua pienezza che nel ricevere i comandamenti di Dio, la legge della vita.
Detto in altre parole, l’apostolo Pietro non potrebbe tenere ai nostri cittadini d’oggi il discorso rivolto agli Ebrei di Gerusalemme, poiché i presupposti dei suoi ascoltatori sono incommensurabilmente più fondati sulla fede nel Dio unico e vero di quanto non lo siano quelli dei nostri contemporanei. Noi siamo oggi sottoposti alla prova di un paganesimo che opera nelle coscienze di coloro che furono o che sono cristiani ma per i quali Dio rimane una domanda, invece di strutturare tutta la loro vita, invece di donare alla loro vita un significato. E la frase di san Giovanni rivolta al paganesimo dell’antichità vale forse anche per il nostro mondo.
I figli di Dio che nasceranno dalla potenza del nostro Padre celeste conosceranno una prova di fedeltà e di fede che rivela esattamente la natura della crisi nella quale siamo entrati. Non una crisi della Chiesa, non una crisi del clero, non una crisi dell’istituzione; si sbagliano coloro che lo pensano. Poiché noi siamo davanti alla crisi di fede di un popolo.
La prima virtù richiesta al popolo cristiano è la fede. La fede, non come una convinzione posticcia, ma come un atto che trasformi il cuore, la libertà, l’intelligenza e che presupponga che il credente accetti di essere liberato dalla sua miscredenza. La fede non come una certezza tranquilla e acquisita, a guisa dei patrimoni culturali, ma la fede come lotta che, quale prova purificatrice e redentrice, vi obbliga a convertirvi, a “farvi tornare indietro”. Non si tratta di pensare come vi si è detto di pensare o come si pensava un tempo, ma di entrare nel mistero del Cristo, il mistero stesso della Redenzione, accettando che questa fede in Gesù Messia ci giudichi e ci liberi, valuti il nostro peccato e ci porti nello stesso tempo la luce liberatrice.
Entrate dunque nel mistero del Cristo, vero pastore, che dona la sua vita per le sue pecore. Non è la condotta suicida dell’eroe. A lui, il vero Pastore, il Figlio di Dio, nessuno può prendere la vita perché egli ha il potere di “riprenderla”. La sua vita, egli la dona di sua volontà ed egli ci dona la vita in quanto egli stesso vive. E nel donare la sua vita egli non la perde; la riceve da suo Padre e obbedisce ai suoi comandamenti.
La questione fondamentale non è sapere se possiamo misurare la crescita della fede o della miscredenza della Chiesa; ma di vedere, come popolo di credenti, in quale prova ci troviamo con gli uomini che ci circondano. Prova la cui posta è la salvezza di una generazione, di una cultura, di un popolo. Dico bene: salvezza, nel senso più forte della parola; poiché il nostro mondo va alla rovina non solo umana ma eterna. È il senso della vita che è in gioco, la nostra vera dignità, il nostro rapporto con Dio. Ognuno di noi è costretto a porsi seriamente il problema.
Infatti, se ci è concessa la grazia di conoscere Dio, dobbiamo ascoltare la voce dell’unico Pastore, Cristo. Il segno che noi siamo veramente le pecore di Cristo, è il fatto che “noi lo conosciamo come egli ci conosce, e che noi ascoltiamo la sua voce”, aspetto sottolineato di rado. Nella parabola, Cristo attira la nostra attenzione sul mercenario: colui che non libera perché non può donare la vita; arriva la prova, il lupo che si impadronisce delle pecore, e il mercenario se ne va perché vuole salvare la propria vita e non quella delle pecore. Al contrario, il vero Pastore, che non è un uomo prezzolato e al quale le pecore, affidategli dal Padre, appartengono come al Padre stesso, dà la sua vita per le sue pecore. E il segno che egli è il vero Pastore è che le pecore lo conoscono così come egli le conosce, e ascoltano la sua voce.
Se volete dei pastori, è necessario dunque che proviate che siete veramente delle pecore, ascoltando la voce di Cristo, il vero Pastore, altrimenti non avrete che dei mercenari. Ascoltare la sua voce è entrare in quel cammino della vita nel quale egli ci precede e del quale egli è la guida, la porta, la verità. Si tratta di accettare di camminare dietro al Cristo per andare là dove egli va e ricevere da lui la nostra vita.
È tra coloro che ascoltano la sua voce che si trovano gli uomini e le donne pronti a rispondere alla chiamata di Cristo per essere i servitori del gregge che gli appartiene. È in questo popolo docile alla voce del solo Pastore, Cristo, che si trovano gli uomini e le donne pronti ad affrontare la dura lotta della fede perché tutti gli uomini siano salvati.
Valutiamolo di nuovo. Dire che la vera natura della nostra lotta spirituale è la prova del rifiuto di Dio, dell’assenza di Dio, dell’ignoranza di Dio (“essi non conoscono Dio”, dice san Giovanni), è scoprire la grandezza, la profondità, l’urgenza della missione affidata ai cristiani: liberare gli uomini dalla loro cecità spirituale e da ciò a cui essa conduce. Infatti, non conoscere Dio significa essere prigionieri della morte, non essere se stessi, essere esiliati; significa non trovare gioia nel mondo e negli uomini, non sapere cosa sia la fratellanza tra gli uomini né il vero destino dell’uomo.
Osiamo supplicare Dio affinché ci apra gli occhi e il cuore davanti a questa grande opera d’amore alla quale ormai partecipiamo. E ripetiamo le frasi piene di speranza dell’apostolo Giovanni. Non con l’angoscia di un gruppetto di persone che rischiano di ripiegarsi sulla propria paura, ma con l’audace fiducia dei discepoli che anche nella loro solitudine penetrano nel cuore dell’amore, come i primi cristiani che ascoltavano san Giovanni: “Carissimi, guardate quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente! La ragione per cui il mondo non ci conosce è perché non conosce lui”. Giovanni descrive anche la speranza che ci pervade: “Ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è”.
Sì, noi osiamo dire che Cristo è la via, la verità, la vita, che nulla giunge al Padre senza essere passato attraverso di lui. Nel dire questo noi non escludiamo nessun uomo e non rivendichiamo nessun privilegio. Se non quello di essere crocifissi con colui che ci risuscita, se non quello di lavorare per l’amore e per il perdono al fianco di colui che ci ama e che ci ha perdonati. Se non quello di essere la Chiesa che Dio ha scelto per manifestare agli uomini, qui e ora, la speranza eterna.
Card. JEAN-MARIE LUSTIGER

Mattia Branco

Ho diretto, ho collaborato con periodici locali e riviste professionali. Ho condotto per nove anni uno spazio televisivo nel programma "Anja Show".

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