SULLE TERRE ABBANDONATE

 

Nel corso di questi primi incontri nei comuni del Parco è stato posto in più di una occasione il tema del recupero delle terre abbandonate.
Come renderle disponibili ad attività produttive? Come farne una occasione di sviluppo e occupazione?

Diciamo subito che il principale problema non consiste nell’accesso al mezzo di produzione terra. In effetti i prezzi dei terreni agricoli nel Parco sono in picchiata e chi volesse acquistare un terreno per coltivarlo o farci una azienda troverebbe oggi delle condizioni decisamente più favorevoli che venti anni o trenta anni fa.
Inoltre oggi più che ieri vi sono agevolazioni da parte di enti pubblici per l’avvio di una attività imprenditoriale in agricoltura come pure da parte delle banche si guarda con favore e interesse al mondo agricolo.
Diverso è il discorso se parliamo invece del mercato dei fitti dei terreni, ancora bloccato. Qui sarebbe necessario disincentivare i proprietari a lasciare i terreni abbandonati. Per esempio obbligandoli a rispettare la legge e pulire periodicamente i fondi perché non divengano ricettacolo di insetti e agenti fitopatogeni o facile innesco di incendi. E’ probabile che vistisi costretti a manutenere i fondi i proprietari preferiscano fittarli anziché sostenere i costi di manutenzione.

Dunque il problema non ci sembra essere quello dell’accesso alla terra, ma cosa farne. Il problema è capire se questi terreni, un tempo coltivati, possono tornare a produrre reddito e, in caso di risposta affermativa, come sostenere le start up di nuove aziende agricole, non solo sul piano finanziario, ma anche organizzativo, tecnico agronomico e commerciale.

Il Parco nazionale del Vesuvio ha una superficie complessiva di 7259 ha.
Dal 1990 al 2010 nel Parco nazionale del Vesuvio si è passati da una SAT (superficie agricola totale) di 3000 ettari ad una SAT di 700 ettari.
La fonte è uno studio del 2014 del Ministero dell’Ambiente in collaborazione con Unioncamere*.
Più nel dettaglio: la coltivazione dell’albicocco è praticamente scomparsa in molti comuni e resiste solo in alcuni comuni del Monte Somma.
La superficie vitata dichiarata, atta a divenire Lacryma Christi del Vesuvio doc, è passata da 364 ettari nel 2002 a 180 ettari nel 2015.
Unica coltura che invece sembra andare in controtendenza è quella del pomodorino del piennolo del Vesuvio le cui superfici iscritte alla dop sono passate da 7,6 ettari nel 2010 a 30 ettari nel 2015.

*Questo dato naturalmente tiene conto esclusivamente delle aziende agricole regolarmente iscritte presso la Camera di commercio.
Partire dal comprendere le ragioni che hanno portato, in questi ultimi 30 anni, all’abbandono di così tanta parte dei suoli agricoli disponibili, ci sembra utile.

Sinteticamente possiamo ricondurre le cause di questo disastro ai seguenti fattori concomitanti.

1) sottodimensionamento delle aziende agricole (e quindi minore capitalizzazione e minore competitività delle aziende sul piano organizzativo, tecnologico, distributivo, commerciale)
2) basse rese di produzione (legate alla natura sciolta dei terreni, alla mancanza di acqua per uso irriguo, ecc.)
3) alti costi di produzione (legati alla morfologia irregolare dei terreni vesuviani, alla loro giacitura collinare o montana)
4) concorrenza di altre produzioni più competitive sul piano dei prezzi ancorché meno valide sul piano organolettico
5) assenza di adeguate politiche di valorizzazione dei prodotti tipici vesuviani

Contestualmente:

l’enorme pressione demografica da un lato e la azione della speculazione edilizia dall’altro, hanno, in una condizione di debolezza della agricoltura, avuto gioco facile a sottrarre suoli all’uso agricolo per destinarli all’abusivismo edilizio contribuendo ad una ulteriore polverizzazione dei fondi agricoli e ad una ulteriore dispersione della proprietà terriera che ha di fatto reso impossibile esercitare in molti casi l’attività agricola professionale ovvero intraprenderla.

Alla lunga tutto questo ha portato ad un mancato ricambio generazionale che è diventato esso stesso un ulteriore fattore di crisi.

A fronte di tutto ciò, c’è un futuro per l’agricoltura vesuviana?

Noi crediamo di si, se si realizzano le seguenti condizioni.

РIn primo luogo ̬ necessario sviluppare il turismo rurale, enogastronomico e naturalistico in area Parco.
– In secondo luogo bisogna sostenere i nostri prodotti di punta e le aziende esistenti
– Infine occorre abbandonare “l’illusione magica”, alimentata negli ultimi tempi, che la sola politica dei “marchi” possa determinare un cambiamento della situazione ponendo attenzione non solo alle politiche di promozione ma a tutti i fattori strutturali che limitano lo sviluppo delle aziende agricole.

La creazione di un sistema turistico del Vesuvio – Monte Somma

Molte piccole produzioni di frutta e ortaggi tipici (e i loro trasformati) costituiscono, insieme alla bellezza dei paesaggi agrari, all’interesse naturalistico dei luoghi, al fascino dei centri storici, alle tradizioni religiose, alla gastronomia, esse stesse dei potenziali attrattori turistici. Si tratta di produzioni di nicchia che per essere valorizzate e commercializzate al giusto prezzo non devono né possono fare molta strada ma è opportuno che siano consumate e acquistate in loco (cioè in area Parco) entrando nel circuito (che bisogna creare) del sistema di ricettività e ristorazione locale.

Anche parte delle produzioni per le quali esiste una maggiore disponibilità in termini quantitativi (vini doc e igt, pomodorino del piennolo del Vesuvio dop) che sono già commercializzate sul mercato nazionale e internazionale, qualora si generassero nuovi flussi turistici, potrebbe essere assorbita da un sistema turistico del Vesuvio e del Monte Somma.

Lo sviluppo di un sistema turistico rurale territoriale può inoltre favorire la commercializzazione dei nostri prodotti di punta anche sul mercato nazionale e la esportazione sul mercato internazionale.

La politiche a sostegno delle aziende e dei prodotti

Accanto a politiche serie per sviluppare un sistema turistico territoriale del Vesuvio e del Monte Somma (che non discuteremo in questa sede), vanno poi pensate e attuate politiche di settore a sostegno delle nostre principali produzioni e delle imprese esistenti (politiche di promozione del prodotto), per allargare i mercati, creando così di fatto i presupposti per la nascita di nuove imprese e le condizioni di mercato perché le nuove imprese trovino il loro spazio, evitando tuttavia sovrapposizioni e dispersione di competenze tra istituzioni (Regione, Comuni, Area metropolitana, ente Parco), affermando una volta per tutte il metodo della concertazione con le imprese per la elaborazione di programmi efficaci.

Sono inoltre necessarie:

– azioni di regia territoriale e di intermediazione istituzionale per facilitare l’accesso al credito agrario delle nuove imprese;
– incentivi per l’accorpamento dei terreni e della proprietà fondiaria
– azioni per rendere disponibili alle imprese immobili da adibire a centri di stoccaggio, condizionamento, confezionamento, trasformazione dei prodotti agricoli, considerata la difficoltà di reperire questa tipologia di immobili in area Parco e la impossibilità di costruirne di nuovi;
– azioni di sistemazione idraulico forestale (specialmente nella zona del Monte Somma) per recuperare la viabilità rurale (no pullman Gran Turismo)
– rivedere gli strumenti urbanistici vigenti (PTP e Piano del Parco) per consentire alle aziende agricole di una certa estensione la possibilità di costruire locali strettamente funzionali alle esigenze della produzione;

Un’ultima condizione, la cui realizzazione può essere determinante per innescare un percorso di sviluppo virtuoso, è quella della aggregazione delle piccole e medie imprese in società consortili per facilitare la realizzazione di economie di scala e l’accesso al credito, una maggiore infrastrutturazione e in generale una maggiore capacità di proporsi sul mercato. Tuttavia si sottolinea che anche in assenza di queste aggregazioni, ferma restando la necessità di favorire l’accorpamento dei terreni e la crescita dimensionale delle aziende, lo sviluppo di un sistema turistico locale è quello che meglio può accompagnare la crescita di un tessuto di piccole aziende a conduzione semi familiare.

Mattia Branco

Ho diretto, ho collaborato con periodici locali e riviste professionali. Ho condotto per nove anni uno spazio televisivo nel programma "Anja Show".

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