+ VANGELO (Mt 20,20-28)

Lunedì 25 luglio 2016
XVII Settimana del Tempo Ordinario

SAN GIACOMO

+ VANGELO (Mt 20,20-28)
Il mio calice, lo berrete.

+ Dal Vangelo secondo Matteo
In quel tempo, si avvicinò a Gesù la madre dei figli di Zebedèo con i suoi figli e si prostrò per chiedergli qualcosa. Egli le disse: «Che cosa vuoi?». Gli rispose: «Dì che questi miei due figli siedano uno alla tua destra e uno alla tua sinistra nel tuo Regno». Rispose Gesù: «Voi non sapete quello che chiedete. Potete bere il calice che Io sto per bere?». Gli dicono: «Lo possiamo». Ed Egli disse loro: «Il mio calice, lo berrete; però sedere alla mia destra e alla mia sinistra non sta a me concederlo: è per coloro per i quali il Padre mio lo ha preparato». Gli altri dieci, avendo sentito, si sdegnarono con i due fratelli. Ma Gesù li chiamò a sé e disse: «Voi sapete che i governanti delle nazioni dominano su di esse e i capi le opprimono. Tra voi non sarà così; ma chi vuole diventare grande tra voi, sarà vostro servitore e chi vuole essere il primo tra voi, sarà vostro schiavo. Come il Figlio dell’Uomo, che non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti». Parola del Signore

Commento di Padre Giulio Maria Scozzaro
Tra gli Apostoli due portano il nome Giacomo e per distinguerli vengono chiamati il Maggiore e il Minore. Oggi festeggiamo il Maggiore, fratello di San Giovanni Evangelista e figli di Zebedeo, tra i primi discepoli a seguire Gesù e insieme a Pietro i “fortunati” ad assistere da vicino il Signore in alcuni momenti straordinari.
Invece Giacomo il Minore si festeggia il 3 maggio insieme a San Filippo, altro Apostolo. Ricordiamo l’interessante episodio dell’invito che fece Filippo a Natanaele (Bartolomeo), quando gli comunicò di avere trovato “Colui del quale hanno parlato Mosè e i Profeti”. Dovette convincere il saggio Natanaele a seguirlo per l’incontro con Gesù.
Giacomo il Maggiore era un pescatore in Betsaida, sul lago di Tiberiade. Lavorava con il fratello Giovanni e furono chiamati dal Signore, dopo essere stati discepoli di Giovanni Battista. Una chiamata improvvisa ma preparata con la pazienza che solo Dio possiede e che comunica a quanti riescono a dominare l’istinto.
La chiamata di Giacomo e di Giovanni deve essere catalogata nella circostanza del riconoscimento di Gesù fatto da Giovanni Battista. «Il giorno dopo Giovanni Battista stava ancora là con due dei suoi discepoli e, fissando lo sguardo su Gesù che passava, disse: “Ecco l’Agnello di Dio!”.
E i due discepoli, sentendolo parlare così, seguirono Gesù. Gesù allora si voltò e, vedendo che Lo seguivano, disse: “Che cercate?”. Gli risposero: “Rabbì (che significa maestro), dove abiti?”. Disse loro: “Venite e vedrete”. Andarono dunque e videro dove abitava e quel giorno si fermarono presso di Lui; erano circa le quattro del pomeriggio» (Gv 1,35-39).
È il Precursore a scoprire la vera identità di Gesù e Lo indica a Giacomo e Giovanni, invitandoli tacitamente a seguirlo.
La grandezza di Giovanni Battista emerge anche in questo distacco da ogni vanagloria. Al contrario di come agiscono quelli che non riescono a mortificarsi, Giovanni Battista mostra una purezza cristallina. Con facilità si mise da parte per dare gloria al Signore.
Tutti i Consacrati devono agire allo stesso modo, ma per raggiungere il dominio sull’amor proprio e sulla volontà, è indispensabile una vita improntata sul rinnegamento e la mortificazione. Tutti i cristiani che conoscono il Vangelo sono chiamati a compiere rinunce per vincere le tentazioni e dominare la volontà, ma ognuno liberamente decide cosa e quanto offrire a Gesù.
La mortificazione comprende la privazione, la rinuncia, la penitenza e il sacrificio. Su questi termini si fa spesso molta confusione.
La privazione è data quando si è privi di qualcosa che piace e non si cerca, ma che comunque non è determinante per vivere dignitosamente, e si rimane lo stesso nella gioia. La privazione acquista maggiore validità ai fini della vita spirituale, quando ci si priva volontariamente di qualcosa.
La rinuncia è, appunto, volontaria ma non ha nessun valore davanti a Gesù se non si attua per amor suo!
La penitenza indica un processo di conversione a Dio attraverso il riconoscimento del peccato e il proposito di una vita santa.
È il cammino della conversione, in cui i più fervorosi si impongono delle sofferenze fisiche intese come privazioni da ciò che piace, considerate come mezzo per una più profonda conversione, o come forma di supplica a Dio, o come mezzo per unirsi alle sofferenze di Cristo.
Ci sono stati Santi che hanno avuto la chiamata di Gesù ad unirsi alle sue sofferenze per riparare i peccati dell’umanità e ottenere incalcolabili Grazie. Uno di questi è stato San Pio da Pietrelcina, e sappiamo la straordinarietà della sua opera di attrazione e di stimolo alla vera conversione.
Il termine “sacrificio” ha perso, nel lessico comune, l’accezione religiosa per intendere in generale uno sforzo, la rinuncia a qualcosa in vista di un fine. È vero che anche il termine penitenza include il sacrificio, però per penitenza si indica il cammino di conversione mentre sacrificio indica uno stato spirituale già più maturo e in profonda comunione con Gesù.
Infatti, Gesù parlava di penitenza quando indicava il cammino da compiere per iniziare la vera conversione. “Guai a te, Corazin! Guai a te, Betsàida. Perché, se a Tiro e a Sidone fossero stati compiuti i miracoli che sono stati fatti in mezzo a voi, già da tempo avrebbero fatto penitenza, ravvolte nel cilicio e nella cenere” (Mt 11,21).
Anche negli Atti degli Apostoli si parla della penitenza come gesto di inizio del cammino spirituale. “Giovanni aveva preparato la sua venuta predicando un battesimo di penitenza a tutto il popolo d’Israele” (At 13,24).
Le Grazie si ottengono con facilità quando alla preghiera fiduciosa si aggiungono i sacrifici intesi come privazioni e rinunce.

Mattia Branco

Ho diretto, ho collaborato con periodici locali e riviste professionali. Ho condotto per nove anni uno spazio televisivo nel programma "Anja Show".

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