“Vesuvio, venti anni dopo. Cosa è cambiato?”.

La mia lettera

V-69

V-69

In un articolo pubblicato su Repubblica Napoli il 2 giugno, Ugo Leone, già primo presidente del Parco nazionale del Vesuvio e, da più di un anno, commissario straordinario dello stesso ente dopo esserne stato nuovamente Presidente nei 5 anni precedenti il commissariamento, si interroga:

“Vesuvio, vent’anni dopo. Cosa è cambiato?”.

Sorvolando sulle responsabilità politiche, gestionali e istituzionali di chi ha amministrato il Parco per un periodo non breve, cogliamo l’occasione di questo “compleanno” per fare anche noi alcune riflessioni, nel nostro piccolo, su questi primi venti anni di vita del Parco nazionale. Non un bilancio, perché il tempo e lo spazio necessari mal si conciliano con la brevità richiesta ad un articolo di giornale. Ci limitiamo più semplicemente a rilevare come, proprio per le ragioni che ricordava Leone nel suo intervento (il Vesuvio è il Parco più urbanizzato d’Italia e probabilmente del mondo) l’approccio alla sua gestione non può essere puramente di carattere ostativo, pena l’assoluta inefficacia delle stesse politiche di tutela e conservazione della natura, come in effetti è accaduto e accade.

In una area protetta dove vivono e lavorano circa 600mila persone non ci si può limitare a dire ai residenti “cosa non si può fare”, ma bisogna offrire loro delle valide motivazioni e anzi degli incentivi affinché “quello che non si può fare” si traduca in una migliore qualità della vita e, quindi, necessariamente, anche in una opportunità di crescita economica e di lavoro.

L’approccio puramente conservativo di cui Leone può ben essere considerato un alfiere è perdente in partenza, sul Vesuvio più che altrove.

Qui c’è da incentivare e sostenere l’agricoltura tradizionale (la maggior parte del territorio del Parco è costituito da aree agricole e dal 1990 al 2010 si sono persi ben 2300 ettari di superficie agricola totale), cosa che il Parco non fa.

Qui c’è da sostenere e incentivare il turismo sostenibile, in tutte le sue possibili declinazioni, cosa che il Parco non fa (al netto di qualche convegno di routine e di qualche pubblicazione di dubbio spessore scientifico sulle “potenzialità turistiche dell’area Parco”).

Qui c’è da recuperare e rifunzionalizzare un enorme patrimonio storico – architettonico consistente in decine di masserie rurali oggi dirute, cosa di cui il Parco non si preoccupa.

Qui c’è da connettere il patrimonio naturalistico e agricolo “a monte” con i centri storici e il patrimonio storico – artistico -  architettonico – archeologico – delle città della costa “a valle”, cosa che il Parco non prova nemmeno a fare.

Qui c’è da rendere accessibile e  fruibile il territorio del Parco alle famiglie, ai giovani e meno giovani, ai portatori di handicap, ai residenti tutti, cosa che il Parco non fa, stante lo stato di degrado e abbandono di tutta la sentieristica e la mancanza pressoché totale di aree verdi attrezzate per il tempo libero in cui sperimentare un “primo contatto” della popolazione con la natura del Parco.

Un’ultima considerazione. Su un punto concordiamo con il prof. Leone e cioè sul fatto che per “diventare Parco” il Parco ha bisogno della corretta e concreta collaborazione istituzionale di tutti e 13 i Comuni che ne fanno parte. Di più. Il Parco ha bisogno che chi amministra i Comuni comprenda pienamente che il Parco rappresenta per le rispettive comunità una istituzione che può fare la differenza, una opportunità di sviluppo e di miglioramento della qualità della vita dei residenti, una istanza unitaria che può consentire agli enti locali di realizzare nella condivisione obiettivi altrimenti non raggiungibili.

La replica di Leone

“Come mio costume non interferisco mai nelle critiche al mio operato che sono naturalmente legittime. Il presidente Marino ritiene praticamente che il Parco non abbia fatto nulla nei venti anni di vita e si può agevolmente intuire che me ne attribuisce la responsabilità. Nulla da ribattere da parte mia se non per ricordare che tra la prima e la seconda delle mie presidenze vi sono stati altri due presidenti (il prof. Maurizio Frassinet e l’avv. Amilcare Troiano) che non vorrei fossero coinvolti nel far niente lamentato da Marino. Per chiarezza aggiungo che solo chi non mi conosce o mal conosce le cose del Parco mi può definire “alfiere di un approccio puramente  conservativo” e che so bene, per averne vissuto l’esperienza, che amministrare dall’esterno è molto più semplice che farlo dall’interno. Forse anche per questo motivo Giovanni Marino è, o è stato, candidato alla prossima presidenza del Parco (u.l.)

Al prof. Leone, rispondo solo che non replicare mai alle critiche che gli sono rivolte, come Lui è solito fare, non è cosa, a mio modesto parere, di cui vantarsi; non è segno di superiorità morale, ma, al contrario, è solo un modo molto comodo di non rendere conto del proprio operato di amministratore; modo comodo e diversamente arrogante.

Quanto poi al nesso tra le mie osservazioni e la candidatura alla presidenza del Parco, diciamo che, in tutta sincerità, faccio fatica a coglierlo, a meno che Leone non voglia sostenere che il fastidio (si, lo ammetto, fastidio) che mi ha procurato la lettura del suo intervento, che, al di là del giudizio di merito sui contenuti, sembrava scritto da un osservatore, Lui si, molto, ma molto esterno, e non da un uomo che ha ricoperto la massima carica politica del Parco per così lungo tempo, che mi ha indotto a sottoporre a La Repubblica le mie sintetiche riflessioni, non fosse altro in realtà che un pretesto per fare campagna elettorale. Ma Leone dovrebbe sapere che cittadini per il Parco esiste ed è attiva ormai da quasi 5 anni e continuerà ad esistere e a operare indipendentemente da chi sarà chiamato a succedergli alla presidenza del Parco.

E’ vero, prof. Leone, definirla un alfiere dell’approccio conservativo è stata una forzatura che mi faceva gioco per esporre la mia tesi, ma il problema intorno al suo operato è che si fa veramente fatica a definirlo, in qualunque modo.

Saluti

Giovanni Marino

 

Mattia Branco

Ho diretto, ho collaborato con periodici locali e riviste professionali. Ho condotto per nove anni uno spazio televisivo nel programma "Anja Show".

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