XXVIII Domenica tempo ordinario (C)

Gesù che parla alla gente

“Una fede capace di dire: Grazie!”

<<Commento di don Franco Galeone>>

(francescogaleone@libero.it)

 

*  Nel Vangelo Gesù guarisce dieci lebbrosi e si sofferma con ammirazione su uno di loro, “straniero”, che ritorna a dire grazie. La lebbra: malattia per eccellenza, la più temuta, la più ripugnante, perché provoca la demolizione del corpo, l’esclusione dalla società; nell’immaginario collettivo, essa è la maledizione divina; perciò, stare con i lebbrosi, curare i lebbrosi è autentico eroismo. Francesco, ricordiamolo, cambiò vita dopo avere incontrato e abbracciato un lebbroso; e i primi francescani dovevano superare la stessa prova del fondatore; un giorno Francesco trattò male un lebbroso, e come penitenza volle mangiare nel suo stesso piatto. Francesco, prima di chiamare il sole “fratello”, chiamava fratello il “lebbroso”. I lebbrosi, probabilmente, sono giudei; uno è sicuramente samaritano; se fossero stati sani, certamente non si sarebbero messi insieme! Vale la pena ricordare che spesso ci vuole il dolore per smontare l’orgoglio e farci sentire tutti fratelli.

Un solo lebbroso, il decimo, viene guarito e torna indietro a dire grazie. A questo lebbroso riconoscente Gesù dice: “La tua fede ti ha salvato”. Qui ci vuole condurre il racconto: non serve a niente avere la salute se la salute la viviamo male; la vera salute non è quella del corpo; la vera salute, nella fede, si chiama salvezza. Chissà cosa gli sarà accaduto dopo la guarigione! Dove sarà andato, come sarà vissuto, si sarà ricordato il giorno dopo, un anno dopo che era sano per un miracolo di Dio? Oppure la gioia di essere guarito gli avrà fatto scordare di essere un testimone vivente della potenza e bontà di Dio, e si sarà detto: “Godi adesso, finalmente!”. Chissà dove sarà stato quando Gesù è salito in croce, se ne avrà sentito più parlare, se lo avrà seguito da lontano … Nulla ci è detto: si sa soltanto che era uno straniero, un samaritano, e che in quel momento della sua vita la sua fede lo ha salvato.

 

* Ma fede in che cosa più degli altri nove? Anche gli altri nove obbedirono e si avviarono dal sacerdote come Gesù aveva ordinato a tutti. Dunque, tutti credettero di poter essere sanati. E lo furono. Ma non tornarono a “rendere gloria a Dio”. E’ dunque così difficile dire grazie a Dio? Sembra proprio di sì, se nove su dieci accolsero il miracolo con indifferenza. Ecco l’errore: accettare la vita senza meraviglia, non stupirsi più, non saper riconoscere la mano di Dio nelle grandi e nelle piccole cose. Cercare la spiegazione della vita nella scienza, non saper più vedere i miracoli. Siamo portati a sottolineare un “qualcosa” che ci manca, mentre non siamo capaci di gioire per il “tanto” che già possediamo. Chesterton notava: “Non mancano le meraviglie nel mondo: manca la meraviglia”, cioè la capacità di dire grazie. E sempre Chesterton, con ironia, osservava: “Molti ringraziano la Befana perché mette doni nella calza, ma non ringraziano mai Dio che ha dato loro i piedi da mettere nelle calze”. La meraviglia, a volte figlia dell’ignoranza, altre volte è l’inizio della sapienza; la meraviglia ha svolto un ruolo importante nella filosofia; filosofo autentico è colui che ha la capacità di meravigliarsi, di stupirsi, di interrogarsi; chi non si meraviglia, imparerà poco o nulla nella vita; chi non prova “stupore”, alla fine si ritroverà “stupido”! I bambini imparano molte cose nella loro prima infanzia perché sono pieni di meraviglia, di domande, di curiosità; purtroppo, la nostra capacità di meraviglia diminuisce con l’au­mentare degli anni; è un male, perché meraviglia e sapienza sono diretta­mente proporzionali.

 

* Grazie: una parola rara, in via di estinzione. I figli non la dicono ai genitori, gli alunni ai professori; è difficile che la diciamo a Dio. Tutto e subito ci sembra dovuto. Non si tratta di solo galateo, però tra gratitudine e religione esiste un continuum necessario; non si confondono, una non è l’altra, però le qualità umane e naturali sono la migliore e necessaria base per le virtù divine e soprannaturali. Difficile virtù oggi è la gratitudine: i nostri rapporti sono fondati sull’utile, sul contratto, sul “do ut des”; questa mentalità utilitaristica ed egocentrica snatura anche la religione, ci fa smarrire il senso del gratuito, dell’eucaristia appunto, che è “rendimento di grazie”. Con Dio e con i santi abbiamo una mentalità sacro-mercantile, contrattuale. Al pari dei numeri di emergenza, abbiamo un lungo elenco di santi dell’SOS. Oggetti smarriti? Sant’Antonio. Casi impossibili? Santa Rita? Pericoli di viaggio? San Cristoforo. Malattie di gola? San Biagio. Difficoltà scolastiche? San Giuseppe da Copertino. Amori difficili? San Valentino… Eppure, ringraziare significa ricevere ancora doni: il samaritano pregando ricevette la salute, ma ringraziando ebbe in dono la fede.

 

 

 

 

Mattia Branco

Ho diretto, ho collaborato con periodici locali e riviste professionali. Ho condotto per nove anni uno spazio televisivo nel programma "Anja Show".

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