A Formia “Umanità e Cultura in Amerigo Iannaconeâ€
COMUNICATO STAMPA
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Continua la serie di incontri letterari dei “Sabati da Margheritaâ€, a Formia. Il 23 prossimo, alle ore 18, Rita Iulianis e Giuseppe Napolitano presentano “Umanità e Cultura in Amerigo Iannacone†in occasione della nuova edizione del volume “A zonzo nel tempo che fu†(Ed. Eva, Venafro 2010, pp. 96, € 14,00). La prefazione al libro è dovuto alla penna di Adriano Petta, scrittore molisano balzato all’attenzione nazionale per il suo ultimo libro “Ipazia, scienziata alessandrina†e la postfazione è di Tommaso Scappaticci, dell’Università di Cassino. Sarà presente l’autore.
Ecco cosa scriveva, tra l’altro, il critico Francesco De Napoli, in una recensione alla prima edizione del libro: «“Io, che a Ceppagna sono nato e vissuto per tutta la vita, o quasi, non posso che odiarla di tutto cuoreâ€. Cosà scrive, con ironia sottile, Amerigo Iannacone, prendendo in contropiede il lettore e capovolgendo ogni scontato ed edulcorato canone di gratuita bonarietà . È questo un racconto-confessione che spazia dai vibranti ricordi d’infanzia ai ritratti di bizzarri compaesani, il tutto dipinto con levigata disinvoltura e – a tratti – con brusca franchezza, in un misto di crudezza e di commozione.
L’autore fa leva con forza su quella essenziale componente di pietosa comprensione che nasce dall’amore sincero, un sentimento capace di sciogliere ogni radicata forma di risentimento. Lo scopo è quello di tratteggiare con misurata sobrietà le vicende di questo “mucchio di case che non fa sognare gli innamoratiâ€, sdrammatizzando coll’acume necessario circostanze ed episodi che pure vanno raccontati.
L’attaccamento di Iannacone alla sua terra va visto sotto una luce particolare, altrimenti diviene difficile capire i motivi di un periodare cosà tenero e pungente, appassionato e amaro. Il suo sguardo severo implica innanzitutto la conoscenza profonda di svariate aree geografiche, ossia il confronto con diverse realtà umane, ed inoltre un bagaglio culturale elevato e completo, un po’ sull’esempio del piú volte citato nel libro Giacomo Leopardi. Il Grande Recanatese poteva permettersi di guardare al “natio borgo selvaggio†con il compassionevole disincanto di chi, pur conoscendo e sapendo, sente di doversi identificare nel proprio mondo a dispetto dell’ostilità della “gente zotica e vilâ€. […]
La piccola Macondo molisana cantata da Iannacone con lampi di autentica poesia è un anello dell’infinita catena dell’esistere: la sua apparente solitudine e la sua fascinosa verginità rappresentano una miniera d’oro per chi voglia studiare e capire le ragioni di dinamiche antropologico-culturali che altrove l’ipocrisia della modernità ha falsato e snaturato.
Anche se “i tempi cambiano†– anzi, proprio perché “ci avviamo verso una cultura omogeneizzata†– dobbiamo essere grati a personaggi come Amerigo Iannacone il quale, testardamente ancorato a una terra senza fiori e senza frutti – “ma solo di radici†– ci impone di riscoprire un’identità smarrita.
Ascoltiamo ammirati questa voce miracolata che si leva fra “lunghi silenzi†con “atavica pazienzaâ€, perché a tanti di noi non è consentito neanche questo. C’è chi ha perso per sempre, distrutto o reciso ogni cognizione della propria lontana provenienza».
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