CASERTA.“GIORNATA DELL’EBRAISMO”

 DOMANI, SABATO 17, RICORRENDO LA “GIORNATA DELL’EBRAISMO”, PRESSO LA PARROCCHIA ‘GESÙ BUON PASTORE’, DOPO I SALUTI E L’INTRODUZIONE DEL M.R. DON ANTONELLO GIANNOTTI, SPECIALE CONFERENZA DEI MAGNIFICI PROFF. MARIA ROSARIA FAZIO E DON FRANCO GALEONE.

di Paolo PozzuoliDon Franco Galeone010

Nell’arco temporale di dieci giorni – a partire da domani, sabato 17, e fino a martedì 27 c.m. – siamo sollecitati a partecipare a due ricorrenze di particolare importanza e rilevanza: La Giornata dell’Ebraismo (promossa dal Vescovo di Livorno, S. E. Mons. Alberto Ablondi, in calendario il 17 gennaio di ciascun anno, finalizzata – superando antichi pregiudizi e riscoprendo comuni valori biblici – ad aprire le braccia ai fratelli ebrei e cominciare a tessere un dialogo ebraico-cristiano tendente a prendere iniziative che abbiano comunanza di interessi in riferimento, soprattutto, alla giustizia, alla pace, alla salvaguardia dell’ambiente, ecc.) e il ‘Giorno della Memoria’ (istituito con la legge n. 211 del 20 luglio 2000 da celebrare nella giornata del 27 gennaio di ogni anno per commemorare tutte, indistintamente, le vittime di particolari regimi, dell’Olocausto e ricordare coloro i quali hanno sacrificato la propria vita per proteggere e salvare quanti venivano perseguitati). Anche qui, a Caserta, presso la Parrocchia ‘Gesù Buon Pastore’, in occasione delle due speciali ricorrenze, alle ore 19:15, ci saranno, introdotti dal M. R. don Antonello Giannotti, altrettanti incontri sia sulla Giornata dell’Ebraismo (A 50 anni dalla Dichiarazione Conciliare “Nostra Aetate”: da “perfidi giudei” a “fratelli prediletti”) che nel Giorno della Memoria (“Chi non ricorda, è destinato a ripetere gli stessi errori e orrori! La vita tra ragione e follia! ”) e curati con interessanti approfondimenti e intense riflessioni dai proff. Maria Rosaria Fazio e don Franco Galeone. ‘È necessario riscoprire le nostre radici ebraiche’ – ha evidenziato don Franco – ‘atteso che diversi Padri della chiesa hanno scritto il Tractatus adversus judaeos e noi, per 2000 anni, abbiamo pregato “pro perfidis judaeis”, ora è tempo di scrivere il Tractatus de judaeis e di iniziare a pregare “pro judaeis et cum judaeis”. Risalendo alle origini, “non solo è necessario riscoprire le nostre radici ebraiche sia per approfondire il rapporto unico e privilegiato esistente tra Cristianesimo ed Ebraismo che per crescere nella “conoscenza” e nella “riconoscenza” reciproca ma è anche utile ricordare – ha sottolineato don Franco – “che Gesù non era un cristiano, ma un ebreo; non andava a messa la domenica ma si recava in sinagoga ogni sabato, non parlava greco e nemmeno latino ma soltanto ebraico ed aramaico; la mamma, Miriam, dalla carnagione ed i capelli scuri, era ebre; nessuno lo chiamava Pastore e nemmeno Monsignore ma Rabbì; non leggeva il Nuovo testamento ma la Bibbia ritenendo che questa fosse la Sacra Scrittura; non recitava il rosario ma i salmi, come nel momento della tentazione e della morte; non celebrava Natale, né Pasqua ma Shavuot e Pesach, non una Comunione ma un Seder; rabbì Jeshua – che non era un mediocre ma un osservante – portava gli zizioth o frange rituali al mantello, non venne a dispensare dalla Legge, dalla Torah, ma a realizzarla; stando a quanto affermato da Pinchas Lapide, studioso ebreo ed osservante ortodosso, ‘mai e in nessun luogo ruppe con la Legge di Mosè, con la Torah, né, in alcun modo, provocò la sua violazione; Gesù era fedele alla Legge quanto vorrei esserlo io; e io sono un ebreo ortodosso!’. Bene, per don Franco, che conclude, due sono le ragioni fondamentali e necessarie per la riscoperta dell’ebraismo: la prima, di tipo cristologico, la seconda, di tipo ecumenico. In riferimento alla prima, c’è da dire che era inadeguata e anche imperfetta nel senso che non rispettava tutti i dati della tradizione cristiana. Era, come dire, una cristologia “cripto-monofisita”. Il monofisismo, eresia condannata nel Concilio di Calcedonia (451), divinizzava la realtà umana di Gesù sostenendo che la Sua natura umana era stata tutta trasformata dal contatto con Dio proprio allo stesso modo in cui una goccia d’acqua dolce viene assorbita e annullata nell’oceano (… in questa eresia, eliminando la natura umana, anche l’ambiente storico e le radici culturali perdono valore; quello che vale è solo la realtà divina!). Ma, nel momento in cui si recupera l’umanità di Cristo, contemporaneamente si incontrano la sua ebraicità, il clima in cui è cresciuto, gli educatori che lo hanno formato, le feste e le preghiere, le tradizioni e i riti del paese di Nazaret. Per quanto riguarda la seconda, va detto che essa nasce dalla necessità di superare l’ecclesiocentrismo. Si tratta della formula-tesi “Fuori dalla chiesa non c’è salvezza”, nata all’interno del movimento agostiniano, in seguito accolta dal Concilio di Firenze (1439). È, in sintesi, il principio che ha spinto la chiesa a ritenersi come l’unico luogo, l’unico strumento, l’unico sacramento di salvezza. Una presunzione tale che contrapponeva la Chiesa non solo all’Ebraismo ma a tutte le altre religioni. Poi, a partire dal Concilio Vaticano II, le cose cominciarono a avviarsi lungo un nuovo itinerario. L’esigenza del dialogo divenne una esigenza anche teologica e con essa la scoperta che ci sono Parole di Dio disseminate e da ascoltare, ed altre non ancora accolte nella tradizione cristiana. È così che, iniziando dall’incontro con l’Ebraismo, il dialogo si estende a tutte le altre religioni. Essere missionari non vuol dire esportare le nostre parole, le nostre dottrine ma fermarsi per ascoltare Parole mai ascoltate che rendono luminoso la nostra stessa Parola. È solo e soltanto questo che ci aiuta a superare le divisioni che le religioni hanno provocato e continuano a provocare.

Mattia Branco

Ho diretto, ho collaborato con periodici locali e riviste professionali. Ho condotto per nove anni uno spazio televisivo nel programma "Anja Show".

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