CASERTA. L’INAIL E LA SENTENZA DELLA CORTE d’ASSISE DI TORINO IN RIFERIMENTO ALLA MORTE DI SETTE LAVORATORI DELLA THYSSEN-KRUPP.

di Paolo Pozzuoli 

La sentenza emessa nei giorni scorsi dalla Corte d’Assise di Torino in riferimento alla morte di sette lavoratori della Thyssen-Krupp nel rogo sprigionatosi nell’omonimo stabilimento, pur nelle sue accezioni e aldilà degli aggettivi roboanti ed altisonanti quali epocale, storica, coraggiosa, pesante, dolorosa, esemplare, rigorosa, aspra,  destinata com’è a fare giurisprudenza dal momento che resterà difficile discostarsene e da apripista, in seguito, ad altre che saranno emanate relativamente agli infortuni sui luoghi di lavoro ed alle consequenziali malattie professionali, si presta ad una sola chiave di lettura: applicare scrupolosamente le norme che regolano la prevenzione, l’igiene e la salute dei lavoratori nei vari ambienti nei quali sono chiamati ad operare, diffondere la cultura della sicurezza formando, informando, promuovendo seminari di educazione sulla sicurezza e prevenzione rischi battendo il tasto su esempi, documentari, simulazioni, pratica. Ogni altro, diverso commento sembra trovare facile e felice collocazione in uno stupidario lessicale che ricorda le tante, interminabili dispute da bar dello sport, gli interventi estemporanei, gratuiti e diretti alla gente semplice, buona, comune da parte di politologi, sindacalisti, esperti vari, tuttologi, ecc. nell’immediatezza di un infortunio mortale su di un qualsiasi luogo di lavoro. Si sentono e quindi si ascoltano soltanto frasi di circostanza, tante belle parole, a volte scontate, altre banali, prive di concretezza, senza un fine. La conclusione è sempre la stessa: si deve fare di più! Ma cosa, come e in che modo nessuno lo dice. Sembrano tanti incantatori di serpenti! Vogliamo qui ricordare ancora una volta e sottolineare le parole pronunciate “non vedo l’ora di mandare in pensione l’INAIL ed i magistrati del lavoro; la possibilità teorica è quella di abbattere tutti i rischi per debellare gli infortuni sul lavoro riducendoli a zero” dal prof. Giovanni Grieco in occasione della presentazione del testo ‘Il costo del lavoro – Morti bianche e speranza tecnologica’. Rispetto all’illustre docente, gli altri fanno soltanto rabbia! Sì perché sono quegli stessi signori che negli anni passati hanno fatto il diavolo a quattro per l’occupazione ‘a prescindere’ e soltanto oggi, in piena crisi economica ed occupazionale, hanno finalmente recuperato i termini ‘prevenzione e sicurezza’ per lungo tempo banditi dai loro vocabolari e riflettuto sulle ripercussioni, sulle incidenze, prettamente negative sia in riferimento alle prestazioni economiche che assistenziali che ogni infortunio sul lavoro mortale e/o grave – una piaga sociale, una nuova forma di barbarismo – riversa sullo Stato, sulla società, sulla comunità, sulle famiglie. “E’ una sentenza emessa sull’onda dell’emozione” – ha dichiarato un noto avvocato del Foro di Milano che ci ha pregato di conservare l’anonimato – “perché il dolo eventuale su cui poggia tutto il costrutto della sentenza, così come il concorso esterno nei reati di mafia, non è previsto nel codice penale e nemmeno in quello di procedura penale; e, mentre il secondo è una invenzione giurisprudenziale (P.M.), il primo è della dottrina; il secondo ha avuto ed ha molto seguito specie nei processi in cui sono stati e sono implicati famosi personaggi politici, il primo invece è stato sempre disatteso in tutte le richieste avanzate dai vari P.M., soprattutto nei reati colposi commessi in stato di alterazione da sostanze stupefacenti e/o di ebbrezza, sempre respinti dai vari GIP e GUP in quanto il reato appena prevedibile non è voluto; anche nel caso di specie, seppure era prevedibile l’accadimento, certamente non volute le conseguenze”. Illuminato e lungimirante il parere espresso dal direttore della sede provinciale dell’INAIL, dr. Alfonso Cangiano, uno dei massimi esperti di diritto del lavoro, legislazione sociale e prevenzione e sicurezza sui luoghi di lavoro: “La sentenza della Corte di Assise di Torino, che ha accolto le tesi della pubblica accusa condannando per omicidio volontario l’amministratore delegato della ThyssenKrupp, costituisce un’assoluta novità nel panorama giurisprudenziale italiano, dimostra la sussistenza di un adeguato assetto sanzionatorio per il caso di violazioni gravissime delle regole sulla sicurezza, ma non vale a ridare la vita ai lavoratori deceduti nel tragico evento di Torino – così come non vale per ridare la vita alle tante persone, circa mille, che ogni anno muoiono mentre lavorano (pensiamo, in particolare, ai tre lavoratori deceduti a Capua l’11 settembre 2010). Ciò su cui bisogna puntare incessantemente è la diffusione della cultura della sicurezza. Giorno dopo giorno, dobbiamo martellare su questo valore, dalla cui diffusione dipende il livello di civiltà del popolo e della nazione”.

Mattia Branco

Ho diretto, ho collaborato con periodici locali e riviste professionali. Ho condotto per nove anni uno spazio televisivo nel programma "Anja Show".

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