DUE COMANDAMENTI, UN SOLO AMORE (Mc 12,28)

4 novembre 2018  – Domenica XXXI TO (B)

DUE COMANDAMENTI, UN SOLO AMORE (Mc 12,28)

a cura del Gruppo biblico ebraico-cristiano

השורשים  הקדושים

francescogaleone@libero.it

Qual è il primo di tutti i comandamenti?

  1. Tra i 248 comandi positivi (tante erano le ossa del corpo umano, secondo gli ebrei), e i 365 precetti negativi (tanti sono i giorni dell’anno), era naturale domandarsi: ma sono tutti uguali, tutti importanti questi 613 comandamenti? Per gli ebrei, il primo comandamento superava il secondo, anzi, il primo poteva essere osservato separatamente; essi avevano forte il senso della trascendenza divina, amavano Dio e potevano odiare il prossimo, uccidere l’uomo e osservare il sabato… Per Gesù il primo comandamento è stato omologato al secondo, ed è stato crocifisso per questa “antropocentrazione”: non ha rispettato la religione dominante, era ateo di tutti gli dei che venivano adorati in Palestina e fuori; gli uomini religiosi si sbagliavano tanto parlando di Dio, che ha mandato il suo Figlio, il Logos, per insegnare che il vero tempio di Dio è l’uomo vivente, il vero culto di Dio è il servizio dell’uomo, che giunge il momento di adorare Dio, non in chiesa e per poco tempo, ma nello Spirito e per tutta la vita.
  2. La religione, prima di Gesù, era “geocentrica”. Gesù è il Copernico della religione: è con Cristo che la religione diventa “antropocentrica”. Prima di Gesù, la religione ruotava tutta attorno al culto di Dio: come trovare grazia davanti a Dio? Come conciliarsi questa divinità terribile? Gesù porta un nuovo vangelo: “Vuoi trovare grazia davanti a Dio? Cerca di trovare grazia davanti all’uomo”. Tutto quello che facciamo al prossimo, è fatto esattamente a Dio: “Lo avete fatto a me … Sono quel Gesù che tu perseguiti”. Non ci sono due comandamenti, non siamo divisi tra Dio e l’uomo, non dobbiamo togliere nulla all’uomo per offrirlo a Dio e viceversa. Certo, la “priorità assiologia” spetta a Dio, il Trascendente, l’Assoluto, ma la “priorità probativa” spetta all’uomo, che ci potrà sempre dire se il nostro amore per Dio è reale o è una religiosa illusione.

Pienezza della Legge è l’amore

  1. L’amore per Dio può essere pieno di illusioni; anche i farisei credevano di servire Dio crocifiggendo Gesù. Nel nome di Dio quanti delitti abbiamo commesso contro l’uomo! Abbiamo bruciato eretici, ucciso infedeli, innalzato roghi, inventato l’inquisizione, costruito i lager, scritto libri Adversus Judaeos, censurato i diversi … Nel nome di Dio quanti religiosi sono pronti a scagliare la loro pietra contro l’uomo, convinti di compiere un atto sacro, gradito a Dio! Quanta gente conosce tutto di Dio, ma non lo riconosce nell’uomo! Forse ha ragione chi ha scritto che la religione è sufficiente solo per odiare l’uomo!
  2. Lungi dal naturalizzare o umanizzare la religione, questa pagina di vangelo divinizza la vita intera: Dio va onorato non da un culto intermittente o da una messa domenicale, ma da un servizio continuo dell’uomo, non da pietistiche devozioni o da languide invocazioni, ma con un generoso, responsabile interessamento per l’uomo. Quale rivoluzione in questa rivelazione! Se egli avesse predicato le idee della religione dominante, funzionale alle classi egemoni, sarebbe stato eletto sommo sacerdote o rabbino capo; in ogni caso avrebbe avuto una vita lunga, una carriera brillante! Ma questa rivoluzionaria rivelazione noi l’abbiamo compresa solo in parte. Noi profes­siamo ancora solo una metà del cristianesimo, forse la meno importante, certo la più comoda: quella che Gesù è Dio; ma l’altra metà, che Gesù è uomo, è ancora troppo mal compresa e poco osservata.

Il rischio di vivere in una “religione” senza “fede”

  1. Gesù non ha mai opposto l’azione alla contemplazione, la preghiera al servizio, il fumo delle ciminiere al fumo dell’incenso, i paramenti del sacerdote alla tuta dell’operaio. Gesù ha salvato il mondo sia predicando il vangelo sia raddrizzando chiodi nella bottega. Un cristiano “attivo” si può allontanare dagli uomini ma solo per poco tempo; un cristiano “contemplativo” vedrà in poco tempo il suo convento pieno di folle che lo cercano. Non è vero il dilemma di Sartre: “O Dio o l’uomo!”. Si tratta di verità scomode, ieri come oggi. Ecco perché Gandhi non si è convertito: “Che bello il cristianesimo, peccato che ci siano i cristiani”. Sempre attuale il monito di Kierkegaard, circa il pericolo di una “cristianità” ma senza “cristianesimo”, di una “religione” ma senza ”fede”, e il suo invito a emigrare da un culto “celeste”, ove si adora un idolo, ad un culto “terreno”, quello della incarnazione: Dio si è fatto uomo. Possiamo salvarci anche senza battesimo, senza culto, senza sacramenti, senza chiesa … ma non senza un vero amore per i fratelli. Il motivo è semplice: di circa sei miliardi solo uno è di cristiani; gli altri cinque, sono “massa damnationis”? Come potrebbe Dio giudicare gli uomini solo sul battesimo? Ci convincano non queste mie parole scritte, ma quelle due sconcertanti pagine di vangelo: la lavanda dei piedi (Gv 13,1) e l’elenco delle opere di misericordia (Mt 25,31).

Due comandamenti, un solo amore

  1. Il vangelo di oggi è pieno di domande, risposte, conclusioni; tutto questo ci dice che ci troviamo davanti a un dialogo dal sapore scolastico, in cui un discepolo (uno scriba, cioè un maestro ma ancora inesperto) interroga Gesù, e porta anche il suo personale contributo. La lezione inizia con una domanda, tipicamente rabbinica: tra i 613 comandi, qual è il più importante? Circa il primato di questo o quel comando, le varie scuole rabbiniche discutevano. Nella sua risposta, Gesù ricorda due citazioni, e le lega con il verbo “amare”:

▪ la prima è contenuta nel Deuteronomio  (Dt 6,4-5) e si tratta del celebre “Shemà … Ascolta”, la preghiera che ogni ebreo recita al mattino e alla sera, e che è anche scritta su un rotolino che gli ebrei mettono davanti alla porta (mezuzàh) o in teche di cuoio sulla fronte e sul braccio quando pregano (tefillìn, Nm 15,37-41);

▪ la seconda è contenuta nel Levitico (Lv 19,18), e si tratta del comando di amare il prossimo nella forma più totale e personale: “come se stessi”. Gesù parla di un “secondo” comandamento, ma alla fine dice che si tratta di un unico comandamento, al singolare; lo scriba comprende la lezione, e da bravo discepolo aggiunge del suo: “Amare Dio e amare il prossimo vale più di tutti i sacrifici”. Gesù lo loda: “Non sei lontano dal regno di Dio”. Quello scriba è ormai un discepolo di Gesù. Già nell’Antico Testamento il comandamento dell’amore di Dio è completato nel secondo comandamento;

  1. Nell’Antico Testamento nessuno ha mai pensato di poter amare Dio senza interessarsi dell’uomo; un vero amore di Dio deve prolungarsi nell’amore del prossimo. Nel Nuovo Testamento siamo di fronte ad una esplicitazione del comando dell’amore: come la medaglia è una sola ma con due facce, così l’amore è uno solo ma con due facce (amore per Dio e per il prossimo). I due amori, quello per Dio e quello per l’uomo devono fondersi nelle scelte quotidiane: “Se uno dice che ama Dio e poi odia il fratello, è un mentitore” scrive Giovanni nella sua lettera, dove “mentitore” è l’equivalente di ateo, incredulo. Si tratta di un comando difficile, è vero. Se confrontiamo la profondità e l’altezza di questo comando, constatiamo che spesso la nostra concezione del “prossimo” è ancora quella dell’Antico Testamento: il nostro amore riguarda i vicini, i prossimi, e guardiamo con fastidio i lontani, i diversi. Non è facile fare il salto dall’amore per il vicino, già così difficile, all’amore per il lontano. Eppure questo salto è necessario!

Il credente è in viaggio sulla terra,  non è già domiciliato nel regno di Dio.

Le letture di questa domenica suggeriscono tre piste di riflessione:

▪ Nella professione di fede del Deuteronomio, che gli ebrei ripetono come la formula più sacra dell’ebraismo, c’è l’affermazione che Dio è l’unico Signore. Non c’è altro Signore che Dio! Questa verità è la prima linea di conflitto. Tutti sappiamo come storicamente, nel nome di Dio, abbiamo avuto tanti padroni, laici e religiosi: re per volontà di Dio, superiori rappresentanti di Dio; molti “superiori” hanno tentato di appropriarsi delle coscienze. C’è un luogo segreto della mia vita, del mio rapporto con Dio, in cui nessuno può e deve entrare. Ogni autorità deve aiutare ad ascoltare e a fare la volontà di Dio. Nessuno deve mettersi al posto della parola di Dio. Troppi interpreti abbiamo avuto! Certo, essi possono esserci utili, perché viviamo all’interno di rapporti storici, e abbiamo bisogno di indicazioni; ma chiunque presume di sostituirsi a noi, costui è un violento, non è discepolo di Gesù.

▪ Gesù è stato disobbediente alle leggi degli uomini, alle autorità del suo popolo, perché è stato obbediente al Padre. Questa obbedienza al Padre non è stata per lui pretesto per disobbedire agli uomini, anzi, fin dall’infanzia, lui e la sua famiglia hanno osservato tutte le prescrizioni della Legge, ma quelle prescrizioni umane erano da lui subordinate all’obbedienza al Padre. Questa verità la devono ricordare soprattutto quanti hanno responsabilità educative e religiose: la peggiore cosa che possiamo fare, in famiglia e in chiesa, è imporre la nostra autorità: “Ogni violenza in educazione e in religione è immorale e illegale” (A. Rosmini). La peggiore eresia è servirsi di Dio per imporre la nostra autorità. Chi invece ha fede, ha pudore di Dio, non lo nomina neppure; in questo gli ebrei ci danno un esempio unico; noi Dio lo abbiamo scritto su tutti i muri, in latino, in italiano, e soprattutto in … volgare! Perciò siamo dei miscredenti!

▪ La terza riflessione è più pericolosa e riguarda il sacerdozio: nella comunità cristiana tutti sono sacerdoti, tanto che i primi cristiani si guardavano bene dal chiamare i ministri della comunità con il nome di sacerdoti. Poi lentamente, man mano che la chiesa si inseriva nei quadri dell’impero romano, il termine pagano “sacerdote” venne adottato per esprimere il ruolo di ministro della comunità. Il Concilio Vaticano II fu un momento drammatico a riguardo, ma esso superò bene la prova, eliminando perfino il termine di sacerdote che non si trova nel lessico del Concilio, appunto perché solo Gesù è sacerdote, e il popolo di Dio è tutto popolo sacerdotale; i ministeri sono non fuori o sopra, ma interni e funzionali al popolo di Dio. Però sacerdoti hanno sempre tentato di costituirsi in una casta specializzata, svuotando la profonda liberazione del vangelo. Con Gesù, le leggi, il tempio, il sacerdozio … tutto è finito. Anche la messa, che era diventata un sacrificio con il sacerdote e il pubblico che vi assisteva, si deve trasformare in una mensa dove siamo fratelli che ricordano e rivivono tutti insieme il sacerdozio di Gesù. Siamo ancora all’inizio di questa “lieta novella”. Il vangelo è un progetto da realizzare nel tempo. Viviamo in un cammino di liberazione. Essere credenti vuol dire essere in viaggio, e non già essere domiciliati nel regno di Dio.   BUONA VITA!

 

Mattia Branco

Ho diretto, ho collaborato con periodici locali e riviste professionali. Ho condotto per nove anni uno spazio televisivo nel programma "Anja Show".

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