Il seme di Dio cresce. L’uomo deve avere pazienza!

Gesù che parla alla genteDomenica 14 giugno 2015

XI domenica del tempo orinario (B)

Il seme di Dio cresce. L’uomo deve avere pazienza!

“Commento di don Franco Galeone”

(francescogaleone@libero.it)

 

 
Quella forza di crescita dentro di noi!

Parlare delle due parabole proposte dal vangelo di oggi è facile e difficile insieme: facile, perché ci vengono raccontati due esempi molto comuni del mondo contadino; difficile per quell’alone indefinito di significati che caricano le parabole. Noi, uomini tecnologici, abbiamo ormai perduto il contatto con la semina; non vediamo più il gesto sacro e maestoso del seminatore, ma quello automatico e ripetitivo del braccio metallico della macchina. In ogni caso, la parola “seminare” è rimasta nel nostro vocabolario, basta pensare ai tanti “seminari” di cui sono piene le nostre università e le nostre città, anche se più che seminare si parla soltanto! Seminare è anzitutto donare ciò che ci appartiene, ciò cui siamo fortemente legati, da cui ci riesce doloroso il distacco; per questo un famoso salmo recita: “nell’andare, semina nel pianto”. Ma seminare è anche una fatica, è una scommessa, perché significa aprirsi agli altri, rimettere in discussione i nostri equilibri, le nostre sicurezze. Da questo piccolo seme di frumento, e da quello ancor più piccolo di senapa, vengono fuori tre grandi insegnamenti:

▪ il primo è l’automaticità, la spontaneità, che traduce il greco “automátê”: nel processo di crescita del seme fino alla spiga c’è un automatismo che sfugge all’azione del contadino; di notte egli può anche dormire, ma sotto la terra la vita è in attività; questo significa che noi dobbiamo imparare a stare più calmi, a non agitarci troppo; per esempio, spegnere il telefono, chiudere la bocca, fare notare la nostra assenza; qualche volta sedere in silenzio; smetterla con quell’aria di protagonisti salvatori del mondo; se non riusciamo a dormire, affacciamoci alla finestra e ascoltiamo il silenzio del cosmo, appoggiamo come gli indiani l’orecchio sulla terra e avvertiremo il movimento silenzioso della vita, senza che noi possiamo nulla;

▪ c’è un altro insegnamento: la crescita, dovuta al dinamismo interiore del seme; Gesù  lo fa capire con un climax efficace di verbi: “germoglia, cresce, produce”; il regno di Dio ha una sua efficacia intrinseca, nonostante la opacità del terreno o l’incapacità del contadino; noi facciamo qualcosa, ma il miracolo, il più, avviene senza il nostro intervento; noi spesso non abbiamo fiducia in questo piccolo seme, e diventiamo pessimisti, polemici, lamentosi; perciò lo scrittore Cioran ha scritto: “Il cristianesimo ha smesso di essere una fonte di stupore e di scandalo, di scatenare virtù e di fecondare intelligenze”;

▪ il terzo insegnamento è quello del contrasto: da un alto c’è un seme, dall’altro c’è una spiga turgida di chicchi; da un alto c’è un granellino e dall’altro c’è un albero pieno di rami capace di accogliere gi uccelli.

Ricordiamole queste due parabole, piene di alberi, rami, frutti, germogli, uccelli, spighe, chicchi, contadino, senapa, ombra  … Soprattutto quei preti inamidati, chiamati a spiegare la Parola di Dio. Alcuni decenni fa i preti avevano la terra attaccata agli scarponi; coltivavano il giardino e la vigna per il vino della messa, tenevano a posto la cantina, passeggiavano tra i campi e osservavano la natura; le loro prediche avevano poco della sacra eloquenza, ma sapevano farsi ascoltare e soprattutto capire. Oggi i preti non vanno in campagna ma sulle autostrade, le loro prediche sono perfette ma per niente interessanti, citano i più moderni “maîtres à penser”, discutono dell’ultimo romanzo che non è ancora uscito; per sentirli parlare di terra, di contadini, bisogna aspettare il vangelo di questa domenica, ma si vede subito che si muovono con difficoltà. Noi preti dobbiamo ricordare che il cristianesimo non è una dottrina che va dimostrata, ma un mistero che va raccontato. Mi chiedo: perché il cristianesimo non viene “raccontato” attraverso il linguaggio delle cose semplici, ma dev’essere spiegato attraverso le elucubrazioni della ragione raziocinante? Anche Gesù si chiedeva: “A che possiamo paragonare il regno di Dio? Con quale parabola possiamo descriverlo?”. E si guardava intorno: la campagna, i semplici, la vita … Gesù davvero è venuto dall’alto, ma i suoi sandali erano pieni di terra e di vita!

 

Mattia Branco

Ho diretto, ho collaborato con periodici locali e riviste professionali. Ho condotto per nove anni uno spazio televisivo nel programma "Anja Show".

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