MISTERO LUMINOSO E NON PROBLEMA MENTALE!

16 giugno 2019  –  Santissima Trinità (C)

MISTERO LUMINOSO E NON PROBLEMA MENTALE!

 a cura del gruppo biblico ebraico-cristiano

השרשים  הקדושים

francescogaleone@libero.it

Prima lettura:  Prima che la terra fosse, già la Sapienza era generata (Pr 8,22). Seconda lettura:  Andiamo a Dio per mezzo di Cristo nella carità diffusa in noi dallo Spirito (Rm 5,1). Terza lettura:  Tutto quello che il Padre possiede è mio; lo Spirito prenderà del mio e ve lo annunzierà (Gv 16,12).

  1. La domenica di Dio-famiglia-Dio-amore. In infiniti modi, la mente umana ha cercato, se non di spiegare, almeno di intuire qualcosa di questo mistero trinitario. Sempre l’uomo si è trovato davanti l’abisso, il mistero, ed è stato necessario il silenzio, la preghiera, l’adorazione. La Trinità è un mistero luce, non un problema mentale (E Mounier). Il problema è qualcosa che non conosciamo, ma che con l’affinamento della ragione, con lo sviluppo della scienza potremo alla fine conoscere. Il mistero invece non è qualcosa di assurdo, ma è una verità superiore, accecante come il sole, che pur nella sua lucentezza non possiamo vedere se non grazie ad uno schermo oscuro. Il mistero è qualcosa che mai comprenderemo, perché lui comprende noi, e ci obbliga a fare il salto della fede. Il mistero della Trinità ci fa toccare con mano la nostra povertà epistemologica, la fragilità di ogni filosofia e teologia! Dio non si trova alla conclusione di un sillogismo o di una delle cinque vie tomiste. Il dio dei filosofi non è il Dio di Gesù Cristo. A nessuno interessa un dio motore immobile, atto puro, pensiero del pensiero, causa finale, architetto dell’universo … Abbiamo bisogno di un Dio che possiamo chiamare Padre! Le prove a priori o a posteriori non hanno mai convinto nessun incredulo.
  2. Credere nella Trinità è ragionevole, ma non razionale. Questo mistero può essere nascosto ai sapienti e rivelato ai semplici. La più bella definizione di Dio l’ho ascoltata da un bambino: Cosa è la Trinità? E’ una famiglia! Non lasciamoci invischiare nelle trappole della logica umana. Trinità non significa 1 = 3, ma che Dio è uno sotto un aspetto e trino sotto un altro. Non 1+1+1 = 3 ma 1x1x1 = 1. Noi non siamo politeisti! Noi veniamo dagli ebrei, e per loro, come per noi, il monoteismo è un dogma di fede centrale. La Trinità non è un tema per sofisticate esercitazioni teologiche; non è una riedizione purificata del politeismo; non è una festa astratta per intelletti metafisici, con lancio finale di scomuniche. Abbiamo trasformato nei secoli precedenti questa festa della Famiglia unita in uno scandalo della divisione. Dio Padre, Dio Figlio, Dio Spirito ne sono costernati! Per anni, la Trinità ha suscitato in me un senso di timore; mi spaventava quel vecchio centenario, quel triangolo, quell’occhio scrutatore! Diventato adulto, ho abbandonato quei simboli lontani dalla realtà del Dio-famiglia. Tutto cambia quando si parla di Trinità come Famiglia. Il mistero della Trinità ci rivela che Dio non è silenzio ma Parola, non è monologo ma dialogo, non è solitudine ma famiglia. Padre, Figlio, Spirito non sono solo tre Io ma anche tre Tu.
  3. Oggi noi ci preoccupiamo di mostrare come Dio sia presente in mezzo a noi, nella storia. Per privilegiare questa dimensione orizzontale, rischiamo però di perdere il senso del mistero di Dio. Dio, malgrado questa presenza ricca di grazia all’interno della storia umana, resta sempre trascendente, totaliter alius. Tra Dio e uomo esiste una nube oscura (Es 33,9). Dopo tante parole e simboli, dopo tanti concetti e teologie, dobbiamo confessare la nostra dotta ignoranza: Dio resta nella nube oscura. Ignoramus et ignorabimus! Siamo tanto pieni di teologie, di teodicee, di partiti cristiani, che alla fine tutto questo ha prodotto una specie di rigetto. E ora si teorizza persino che Dio è morto, che Dio non significa niente, che appartiene alla mitologia. E forse è anche vero, perché tutte le cose dette su Dio sono sempre dette dall’uomo, e sono verità fragili come l’uomo. Di Dio si può parlare, ma è preferibile parlare a Dio, meglio ancora, ascoltare Dio.
  4. La mente umana può pensare solo mediante un processo di oggettivazione o di cosificazione. Ne con­segue che il Trascendente, quando entra nell’ambito della nostra imma­nenza, diventa og­getto, cosa, quindi noi non conosciamo più Dio, ma la sua oggettivazione costruita dalla nostra mente. Anche se a tale oggettivazione diamo titoli solenni, divini appunto, come Infinito, Onnipotente, Assoluto, Eterno, Immortale… In realtà, questi titoli esprimono non Dio in sé, ma nostre rappresentazioni o nostre oggettivazioni del Trascendente. È quello che P. Ricoeur ha definito il processo di con­versione diabolica in virtù del quale il Trascendente, nell’oggettivarsi nella nostra mente, degenera in cosa. A partire dalla nostra immanenza, possiamo pensare solo realtà immanenti, anche se rappre­sentiamo l’immanente mediante l’utilizzo di miti, teofanie, cratofanie e di titoli solenni o spaventosi. Queste rappresentazioni di Dio in realtà sono solo fenomeni culturali, che – come tutti gli organismi biologici – conoscono la nascita, lo sviluppo, la morte. Capita che noi non consideriamo questa verità, cioè che Dio è il Trascendente, ovvero non sta alla nostra portata. È quello che i teologi hanno ripetuto quando hanno detto che Dio è sempre più grande (Deus semper maior) di quanto noi esseri umani possiamo pensare di lui. Il problema nel quale si è imbattuta la teologia cristiana è stato quello della sua incoerenza. Perché da una parte abbiamo affermato che Dio è colui che ci trascende, ma al tempo stesso ci siamo messi a spiegarlo come se lo conoscessimo. In questo giorno non si tratta di comprendere quello che mai potremo comprendere. Si tratta di vedere nella donazione, nell’uguaglianza, nella comunicazione delle persone divine il modello esemplare di ciò che deve essere la nostra convivenza. Vivere per gli altri, una vita che è donazione, comunicazione, con diritti e doveri uguali e simmetrici. La fede in Dio diventata etica di chi esiste per gli altri. BUONA VITA!

Mattia Branco

Ho diretto, ho collaborato con periodici locali e riviste professionali. Ho condotto per nove anni uno spazio televisivo nel programma "Anja Show".

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