“I GIOVANI E IL PLACITO”

«So che quelle terre per quei confini che qui sono descritti, per trent’anni le ha possedute la parte di San Benedetto». Indubitabilmente volgare meridionale, pur con persistenti residui formulari e grafici del latino, è quello delle testimonianze rese a Capua nel 960 e nei dintorni, nel 963, in cause di usucapione (Castellani 1973). Tre testimoni, comparsi a Capua davanti al giudice Arechisi, tenendo una carta in cui erano segnati i confini del luogo discusso e toccando­la con l altra mano, deposero a favore del monastero. Vera o fittizia che sia stata la lite (è sembrato, infatti, a taluni che fosse preoccupazione dall abate avere una carta notarile in cui si dichiarasse il possesso trentennale di quelle terre), il documento di Arechisi registra l atto di nascita della lingua italiana scritta, pur se in una varietà dialettale, in cui il trat­to più appariscente è la sparizione dell appendice labio-vela­re u in ko (latino quod), kelle, ki (italiano quelle, qui; ma resta in que). Nel placito (dal latino placitum, ciò che è piaciuto al giudice ) si osservi la presenza di latinismi (parte Sancti Benedicti) e di termini della tradizione cancelleresca (fini, dal latino. fines, parte ) fa ritenere che il testo sia stato elaborato in precedenza da altri, ma in maniera da renderlo comprensibile a persone senza cultura; gli atti notarili erano infatti redatti normalmente in latino.

di Angela Nespoli

La piena coscienza della distinzione fra volgare e latino e l’uso consapevole del primo, in un documento scritto, si ha, nel Placito Capuano del 960, primo di quattro Placiti (detti anche Placiti cassinesi) del 960-963: si tratta di quattro sentenze giudiziarie volute dal giudice di Capua, Arechisi, in volgare perché i contenuti del discorso fossero chiari anche ai presenti ignari del latino.

Nel documento, a favore dei monaci, è trascritta la testimonianza di un chierico e di alcuni abitanti del luogo. Trattandosi di un documento ufficiale, il testo è scritto quasi interamente in latino, con abbondanza di formule giuridiche rituali. Ma, nel momento in cui il giudice ascolta la testimonianza a favore dei monaci benedettini, ne trascrive integralmente il contenuto servendosi del volgare campano, cioè della lingua usata dai testimoni stessi. Nella trascrizione il giudice ne perfeziona la forma ortografica, fornendoci così un importantissimo esempio – il primo – di uso ufficiale del volgare illustre. Si tratta, quindi, di un uso intenzionale e consapevole del volgare in contrapposizione all’ufficialità del latino. Per tali ragioni, il Placito capuano è considerato il primo vero testo in volgare italiano. Vi proponiamo la sua parte più significativa:

Sao ko kelle terre, per kelle fini que ki contene, trenta anni le possette parte Sancti Benedicti.

Di seguito una testimonianza di un’ attività didattica realizzata dagli alunni della 3^AMM dell’ Istituto tecnico ‘FALCO’ di Capua, la conclusione di un percorso culturale e letterario portato avanti con entusiasmo e  partecipazione attiva dagli alunni… con orgoglio, dico, dai miei alunni.

Mattia Branco

Ho diretto, ho collaborato con periodici locali e riviste professionali. Ho condotto per nove anni uno spazio televisivo nel programma "Anja Show".

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