LUZZANO. STUZZICANTE IL LABORATORIO DI TALENTI

A Luzzano mai per caso! Anche se si dovesse perdere la bussola. All’improvviso, sì: zigzagando lungo i tornanti di una strada adatta a ciclisti professionisti e/o per gare rally che, pur vedendo allontanarsi sempre più Sant’Agata dè Goti, ne rendono meno greve il distacco lasciando visibili i cuspidi dei campanili rivestiti con formelle policrome in maiolica e le cupole, maiolicate, delle bellissime chiese che l’adornano: una tipica caratteristica costruttiva che identifica e caratterizza la particolare opera architettonica e tutto il contesto urbano in cui quest’ultima è inserita in uno ai paesaggi ravvivati da scintillanti riflessi di luce. All’improvviso, sì, perché, poco a poco, il piccolo Borgo, finora ristretto e compresso fra la storia e le bellezze architettoniche di Sant’Agata dè Goti da un lato ed il polo industriale di Airola dall’altro, grazie ai laboriosi residenti che, fra le tante, hanno scoperto segni evidenti di antiche origini puteolane, sta uscendo dal bozzolo e cerca di prendersi, occupare e stagliarsi il ruolo cui ha diritto nella storia, nell’arte, nella cultura. All’improvviso, sì, perché a Luzzano, equidistante dal capoluogo, Benevento, e da Caserta, un tempo lontano crocevia di popoli e di culture che certamente hanno lasciato tracce – tutte da recuperare, come le radici, parte vitale per crescere, attraverso le quali si conoscono il passato e le origini di ciascuno – che vanno individuate anche nell’idioma parlato. In proposito, va evidenziato che, soltanto da poco tempo e per puro caso, ne è stata scoperta la tipicità: simile se non addirittura uguale a quello parlato dalla gente puteolana. Il che ha promosso una significativa pausa di riflessione tesa ad individuare – dopo un tuffo nel passato, esplorato nell’estrema  profondità – i probabili primi migranti dall’area flegrea, finiti per assestarsi a Luzzano, punta quasi ai confini di una provincia, ma parte integrante di un territorio di Papi e Santi, forse anche di streghe, comunque ubertoso, ricco di uliveti e vigneti che consentono una produzione di elevata qualità di oli e vini. A Luzzano, oltre a respirare un’atmosfera di altri tempi, si avverte un non so che di strano, di insolito; forse è quel silenzio che seduce e si ascolta lungo i vicoli, testimoni segreti di un passato lontano: un tassello raro in uno scenario esclusivo, da incanto, disegnato dalla circostante natura incontaminata, una tipicità esclusivamente rurale. In questo spaccato d’antico, la comunità ha scoperto all’improvviso di avere nel DNA quel ‘quid pluris’ che, esploso, ha sprigionato e manifestato uno straordinario talento. E qui si allaccia e si innesta la storia del Presepe, ineguagliabile per tipicità, creatività, e poi, poi, i pezzi, di particolare pregio, che reggono il confronto con i tanti pubblicizzati e reclamizzati – tutti realizzati dagli artisti locali – che ha trovato una collocazione stabile, permanente, nell’omonimo Museo che, inaugurato nel mese di gennaio del 2012, è stato finora visitato da oltre 23.000 persone, provenienti da settentrione a meridione, da oriente ad occidente, dall’estero anche, addirittura dalla lontana Australia. Ognuno ha inteso lasciare un pensiero sul registro delle presenze. Nell’impossibilità di riportarli tutti, ci limitiamo ai due segnati da Mons. Mino Infante da Vibo Valentia (Complimenti sempre e che il Signore vi ricompensi. Voi siete meravigliosi e straordinari. Bravi) e da Don Massimo Fumagalli della Curia di Milano (Uno stupendo museo. Auspico che sia lo strumento per diffondere quest’arte alle giovani generazioni) che  sintetizzano e interpretano il pensiero di tutti i visitatori. Ogni anno la realizzazione del Presepe segue un rituale ben preciso, legato al tema religioso che si desidera trattare. Quest’anno, preparato in sette quadri (1°, natività di Gesù; 2°, in cena Domini; 3°, il miracolo di Ivorra-Spagna; 4°, S. Antonio e l’eretico; 5°, miracolo di Torino; 6°, miracolo di Bolsena; 7°, processione del Corpus Domini), è stato ricordato il miracolo di Bolsena, avvenuto 750 anni fa, quando cioè il Signore si manifestò al sacerdote incredulo, come dire, un Tommaso redivivo (… quel sacerdote, boemo di Praga, si chiamava Pietro ed era afflitto da un forte turbamento sul mistero eucaristico, ovvero la presenza reale di Cristo nel pane e nel vino consacrato; un bel giorno, per porre fine ai suoi dubbi, non trovò di meglio che fare un pellegrinaggio di penitenza e meditazione verso Roma per pregare sulla tomba di S. Pietro; indi, rientrando in sede, sostò a Bolsena; qui, durante la celebrazione eucaristica, dopo la consacrazione, dall’Ostia che teneva in mano,  cominciò a sgorgare sangue e alcune gocce bagnarono il corporale, altre caddero sul pavimento; pontefice era Urbano IV, si trovava ad Orvieto e, accertato personalmente il miracolo, promulgò la Bolla  “Transiturus de hoc mundo” con la quale  istituì per tutta la Chiesa la Solennità del Corpus Domini).  Quest’anno però, molto tempo prima di dare inizio alla preparazione del  presepe, rappresentazione della tradizione che si rinnova, la gente di Luzzano, messa da parte la peculiare compostezza, ha avuto la geniale intuizione di recuperare una storia antica, vera, risalente all’anno 1401: la storia di una pastorella, chiamata Agnese Pepe, sordomuta dalla nascita, che, all’età di 10 anni, per grazia ricevuta dalla Madonna sul Monte Taburno, iniziò improvvisamente a parlare e a sentire perfettamente. La bellissima storia,  perfettamente sceneggiata, è stata mirabilmente interpretata dall’intera cittadinanza, su di set cinematografico a cielo aperto qual è l’intero, straordinario territorio, così suggestivo, così attraente che non c’è stato affatto bisogno di ricorrere ad effetti speciali. E così è stato prodotto il film, stupendo, esaltante ed emozionante nello stesso tempo, titolato:“La Pastorella Agnese”.

Mattia Branco

Ho diretto, ho collaborato con periodici locali e riviste professionali. Ho condotto per nove anni uno spazio televisivo nel programma "Anja Show".

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