A Londra è stato aperto il primo caseificio del paese che produce mozzarella di bufala: l’idea è dei Corsaro, una famiglia catanese proprietaria di otto ristoranti di cucina nostrana, che usa esclusivamente prodotti provenienti dalla loro terra, e a produrre il nostro oro bianco è Antonio Viggiano, 34 anni, di Cancello Arnone. Figlio e nipote di casaro, la produce con il latte di bufala che arriva da Caserta.
A dispetto dei “bombriniani†2.0, l’impresa completamente gestita da meridionali riscuote un successo commerciale strepitoso, al punto che Peppe Corsaro, figlio del capostipite, afferma: “Qui produciamo 14 quintali di prodotto finito ogni settimana. E non sappiamo cosa sia l’invenduto“. Alla base del successo del caseificio aperto a Battersea c’è sicuramente la qualità del prodotto e le capacità artigianali caratteristiche dei nostri casari: “Qui mettiamo solo latte, sale e caglio. Basta“, dice orgoglioso Antonio Viggiano. Tutto il resto è frutto di un’arte che nella nostra terra si tramanda da generazioni.
In questa vicenda vi sono almeno due aspetti che, dal nostro punto di vista, meritano di essere evidenziati: il primo riguarda le capacità non solo artigianali ma anche imprenditoriali di napoletani e siciliani, che quando si trovano all’estero e possono intraprendere in condizioni di parità rispetto alla concorrenza, riscuotono grande successo. A riprova del fatto che al Sud le difficoltà nascono da leggi ad hoc che creano condizioni di vantaggio e concepiscono investimenti quasi esclusivamente per lo sviluppo della “padania†e a danno della nostra terra, e non invece dalle idiozie neolombrosiane sulle limitate capacità di intraprendere ancora oggi propinateci dai media e talora anche dai testi scolastici.
Il secondo aspetto riguarda invece l’indotto economico ed il successo commerciale del nostro oro bianco, che inizia a far gola all’ormai sempre più asfittico sistema (nord) italia, come dimostrato dai continui attacchi commerciali, in primis il tentativo della regione veneto di spacciare la mozzarella per loro tipico formaggio, oppure gli accordi commerciali della Galbani, per vendere negli USA un formaggio spacciato come mozzarella e chiamato senza vergogna alcuna “Sorrento“.
Relativamente a tali questioni l’inettitudine, il silenzio se non più banalmente il totale asservimento agli interessi del nord da parte di associazioni di categoria e sindacati meridionali dell’agroalimentare, è semplicemente imbarazzante.
Lorenzo Piccolo