Patentino e partita Iva per le prostitute. Ecco il ddl

 

Fonte Virgilio

Una senatrice Pd propone di trattare le lucciole come imprenditrici di sé stesse

 
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Come si possono reperire risorse per tagliare il cuneo fiscale e tentare di far ripartire l’occupazione? Basta far pagare le tasse alle prostitute. E’ una provocazione, d’accordo. Nessuno può ragionevolmente sperare di recuperare qualche miliardo di gettito in questo modo. Ma periodicamente la proposta torna fuori, soprattutto quando la crisi morde e il piatto (dei conti pubblici) piange.
 
E’ il turno ora della senatrice del Pd Maria Spilabotte (ma a supporto del suo disegno di legge non mancano parlamentari di altri gruppi), che vorrebbe per le lucciole l’apertura della partita Iva, l’iscrizione alla Camera di Commercio nonchè il rilascio di un certificato di qualità e di un patentino. Insomma, una regolamentazione fiscale e amministrativa in piena regola per farle diventare delle vere e proprie imprenditrici di sé stesse. Al punto di ipotizzare anche la nascita di cooperative dove esercitare tutte insieme con i vantaggi della mutualità.
 
DEPENALIZZAZIONE E TASSAZIONE – Secondo la senarice, “sulla prostituzione è necessario superare un tabù e decidere di governare il fenomeno. Una regolamentazione è necessaria perché con la mancanza di regole o, peggio, con la proibizione, si produce solo una sostanziale indifferenziazione tra libere scelte di autodeterminazione e prostituzione coatta, sfruttata e gestita dalle organizzazioni criminali di tutto il mondo”. Un approccio decisamente pragmatico. L’ipotesi di tassare i redditi delle prostitute, oltre a creare gettito per le casse dello Stato, potrebbe tutelare le stesse prostitute, sottraendole all’economia sommersa che spesso significa sfruttamento e racket.
 
GIUSTO O SBAGLIATO? – Si riapre così un dibattito di vecchia data, quello sulla tassabilità dei redditi da prostituzione, che vede favorevoli e contrari. Diciamo subito che per la legge si tratta un po’ di salvare capra e cavoli:
• da una parte c’è l’esigenza economica e di equità fiscale per cui ogni reddito dev’essere tassato a prescindere dall’attività che lo produce;
• dall’altra c’è il problema giuridico secondo cui lo Stato non può fare cassa su redditi che derivano da attività illecite. Per l’esattezza, la prostituzione non è un’attività illecita dal punto di vista penale, cioè non è considerata un reato (lo è solo il suo “sfruttamento”). Però è compresa tra le attività “contrarie al buon costume” che, in base all’art. 2035 del Codice civile, non danno diritto alla “esigibilità” di un compenso. E se questo vale per la cittadina-lucciola, che per esempio non può fare causa al cliente che non la paga, dovrebbe valere anche per lo Stato, che non può guadagnare da un reddito che ritiene “immorale”. Insomma bisognerebbe superare l’ipocrisia palese.
In verità la situazione sembrava risolta definitivamente da una legge del 2006 (la “Visco-Bersani”) che ha stabilito che questi redditi, pur non rientrando nelle classificazioni “canoniche” (reddito di lavoro dipendente, di lavoro autonomo, d’impresa) finiscono comunque nella voce residuale “redditi diversi”. E quindi anche su questi vanno pagate le tasse.
 
E SE FINISSE NEL REDDITOMETRO? – La vicenda potrebbe avere anche un’altra implicazione: il reddito della lucciola corrisponde a una spesa per il cliente. Il che significa che, una volta portata alla luce del sole, potrebbe diventare un indicatore del tenore di vita. In altre parole, una delle tante voci del redditometro. Una prospettiva che potrebbe indurre molti dei sostenitori della tassazione (maschi) a cambiare idea.

Mattia Branco

Ho diretto, ho collaborato con periodici locali e riviste professionali. Ho condotto per nove anni uno spazio televisivo nel programma "Anja Show".

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