Sesta domenica del tempo ordinario (A)

Gesù con gli apostoliSesta domenica del tempo ordinario (A)

Quel “Ma” segna il passaggio dall’Antico al Nuovo Testamento

“Commento di don Franco Galeone”

(francescogaleone@libero.it)

 

“Ma io vi dico” significa: “Vi chiedo una cosa in più”

Il brano evangelico di oggi raccoglie un insieme di detti del Signore e mette in opposizione la esteriore giustizia dell’ipocrita e la interiore santità del credente. Possiamo chiamare “ipocrita” ogni morale codificata in cui il comportamento è stabilito da norme che presumono di risolvere la questione bene/male con il criterio dell’esteriorità. L’etica cristiana invece ha la radice nel cuore: solo quello che esce dal cuore può contaminare l’uomo. Gesù critica la morale ritualizzata degli ipocriti che danno il primato al sabato e non all’uomo. Per Gesù, la vera religione non si esplica nel Tempio sacro, ma nel rapporto con il fratello, anzi, con il fratello che ha rancore contro di noi. Il vero Tempio di Dio è l’uomo vivente e Dio ci aspetta perché noi celebriamo il culto: non là dove è l’altare ma là dove è l’uomo non riconciliato con noi. Gesù non distingue se noi abbiamo ragione o torto: è la situazione di ostilità che di per sé va eliminata, prima di celebrare il culto. Abbiamo un capovolgimento della morale; uno spostamento profondo dell’asse morale da Dio all’uomo. Naturalmente non perché l’uomo sia più importante di Dio; possiamo dire che la priorità “assiologica” appartiene a Dio, ma la priorità “probativa” appartiene all’uomo, nel senso che possiamo illuderci di amare Dio, ma non così con l’uomo.

 

Quel “Ma” segna il passaggio dall’Antico al Nuovo Testamento

Questo brano di Vangelo ci trasporta in una zona di massimo rischio, in un mare profondo o su una cima altissima. Le parole di Gesù sono state come una pietra lanciata contro un cristallo, mandandolo in frantumi, o come un macigno precipitato in uno stagno tranquillo, suscitando spruzzi fastidiosi. Quei sei “Ma” hanno centrato il nostro perbenismo. Quei sei “Ma” segnano il passaggio dall’Antico al Nuovo Testamento. E noi, per difenderci da quelle parole urtanti di Gesù, ne abbiamo addomesticato il senso; al “Ma” di Gesù abbiamo così sostituito il nostro meschino “ma”: “Non uccidere … ma in alcune circostanze è lecito” e … siamo diventati carnefici. “Amate i nemici … ma in alcune circostanze occorre farsi rispettare” e … siamo diventati crudeli. Ci siamo comportati come quei turisti che, in sommergibile, ammirano i mostri marini dagli oblò, quasi fossero opera d’arte; o come quegli escursionisti che ammirano i baratri, ma al sicuro, dietro balaustre e transenne.

 

E’ vero che “in medio stat virtus”?

Non è sempre vero che “in medio stat virtus”. Gesù non appare come un conciliatore; è sempre dalla parte di qualcuno. Anche i santi non hanno conosciuto gli equilibri; i fondatori sono stati più rivoluzionari dei loro seguaci; i profeti sono stati combattuti dai burocrati. Se la virtù fosse nel mezzo, non avremmo avuto né i martiri né i santi, il cui posto è sempre in prima linea e la loro pedagogia è sempre la sorpresa. Solo i santi hanno preso le parole di Gesù in pieno e sul serio. Per loro, quelle “assurdità” sono diventate saggezza quotidiana; quei tremendi imperativi si sono mutati in stile di vita. Dove la regola era l’osservanza esteriore ora è la trasparenza interiore. Non c’è più un angolo buio dove nascondersi o poltrire. La luce accecante del Vangelo ci snida dai nascondigli, spingendoci fuori, verso l’aperto, il pulito, il mare alto, O diventeremo davvero santi o cadremo nell’inganno di sentirci a posto con Dio. Non è più tempo di edulcorare la forza di quei “Ma” con gli enzimi dei nostri equilibri, ma di accettare, senza condizioni, la novità del Vangelo.

 

E’ una dura lezione per noi, ammalati di “primite”, preoccupati di fare sempre bella figura, di ridurre tutto a buon senso! Questo Vangelo è servito a tanti per parlare male dell’ebraismo, presentato come religione della esteriorità (221 precetti, 365 divieti!); abbiamo presentato Cristo come il nuovo legislatore e noi come il nuovo Israele; siamo orgogliosi di possedere le migliori formulazioni dogmatiche, le più imponenti strutture, i monumenti più belli …  Ma, al Signore sta a cuore la “ortoprassia” più che la “ortodossia”, il fare più che il sapere, il servizio dell’uomo più che il culto del Tempio. Insomma, “il grembiule del servitore” più che “la divisa del religioso”. E’ Dio che è migliore, non noi, e Dio vuole essere adorato non solo in Chiesa o sul Garizim o a Gerusalemme o in Vaticano perché non esistono luoghi sacri privilegiati. Dio cerca adoratori “nello spirito e nella verità”; non gli interessa il nostro curriculum professionale, ma la nostra testimonianza esistenziale: chi fa la sua volontà è a Lui gradito, a qualunque popolo e religione appartenga.  

 

 

 

 

Mattia Branco

Ho diretto, ho collaborato con periodici locali e riviste professionali. Ho condotto per nove anni uno spazio televisivo nel programma "Anja Show".

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