XXII Domenica tempo ordinario (C)

XXII Domenica tempo ordinario  (C)

“I primi, cioè gli ultimi!”

<<Commento di don Franco Galeone>>

(francescogaleone@libero.it)

 

*  Gesù che parla alla genteLa domenica “dell’ultimo posto”. Ancora un avvertimento: forse noi non saremo i primi! C’è una folla invisibile, a noi sconosciuta, ma non a Dio, che ci precede. Il regno di Dio è infatti aperto a tutti; non abbiamo la minima idea circa il posto da noi occupato nella sua graduatoria. Chi presume di saperne di più, si prepari a lasciare il suo onorevole posto al banchetto. Basta aprire il giornale, accendere il televisore: una folla di umili, di ignoti anche alle nostre chiese, persone che mai dovremo osare giudicare perché sono cari a Dio vivono e muoiono al di fuori della chiesa ma dentro il Regno di Dio. E’ l’immenso e anonimo popolo delle beatitudini. Gesù non è un predicatore astratto: il suo linguaggio ti obbliga a riflettere. Viene invitato a pranzo, come già altre volte. Mentre gli invitati si affrettano ad occupare i primi posti, Gesù osserva con ironia e ci consegna una lezione di umiltà che non è solo invito al buon senso e al galateo! Gratuità, donazione, semplicità! Sono l’uscita di sicurezza dalle strettoie di un’esistenza pesantemente condizionata dalla protervia del potere e dell’avere, dall’illusione dell’onnipotenza, dal disprezzo di chi non ha denaro. Questa nostra società dello spettacolo e dell’immagine ha spento i riflettori sulle cose piccole e semplici. Che però tali non sono! E’ questo microcosmo della quotidianità, tanto deriso, che oggi va riconquistato per poter di nuovo vivere senza lacerazioni, senza quelle frustrazioni che spingono a uccidersi “per noia”. Gesù invita ad occupare gli ultimi posti nel banchetto della vita, quelli dove il clamore degli sbandieratori delle prime file non giunge ad usurpare le gioie semplici e pulite della vita, ad accettare gli altri – quei commensali “poveri, zoppi, ciechi” – che portano speranza e fantasia nella nostra nevrotica uniformità dei riti sociali.   

 

*  La storia dell’uomo in genere si regge sulla legge della competizione. La gara fra gli uomini ed i popoli è fonte di progresso: ce lo hanno insegnato fin dalle scuole elementari. Siamo arrivati anche a crederci. Perfino i filosofi hanno trovato quasi sempre una identità tra il prevalere di fatto e il prevalere di diritto: “Chi prevale ha ragione!” sostiene Hegel. La società si organizza e vive sulla competitività, sulla lotta ad oltranza per i primi posti, sul valore ultimo e assoluto del profitto: concorrenza industriale fino all’eliminazione della ditta concorrente, arrivismo sociale fatto di raccomandazioni e bustarelle, corsa alla macchina nuova o all’abito griffato come modo di emergere. Il giovane, oggi, si prepara ad inserirsi in questo tipo di società attraverso un’educazione familiare e scolastica spesso tutta orientata verso l’arrivismo sociale. E’ grave il pericolo di una scuola che diventa luogo di selezione sociale massificando i più relegandoli alla categoria di ‘inferiori’, e facendo emergere i ‘meglio-dotati’. Se una scuola “cattolica” facesse questo, commetterebbe un peccato gravissimo: meriterebbe di essere chiusa subito anche se gode la stima delle famiglie piccolo-borghesi che se ne servono per continuare ad occupare i primi posti nella società!  

 

* Il Vangelo ci offre un’altra indicazione: la ricerca di rapporti umani liberi dalla legge del contraccambio. La nostra è la società delle raccomandazioni, del “do ut des”, dove il gratuito non esiste. Fino a che punto dobbiamo partecipare a questo gioco non è facile rispondere. Perché dire no, significa dimenticarci che siamo nel gioco e non possiamo uscirne senza rovinarci. D’altra parte, contestare questa logica è l’unica via per riaffermare la vera dignità dell’uomo.  E allora, da che parte staremo? Cosa sceglieremo? Se nella nostra educazione cristiana, invece di riempire la memoria con le risposte della vecchia saggezza, avessimo addestrato le coscienze alla libertà, alla creatività, a rifiutare le risposte ovvie, avremmo già preparato generazioni capaci di anticipare nell’oggi il futuro.   

Mattia Branco

Ho diretto, ho collaborato con periodici locali e riviste professionali. Ho condotto per nove anni uno spazio televisivo nel programma "Anja Show".

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