A proposito del mistico indiano OSHO

Di Vittorio Russo

Conosco Osho Rajneesh poco e male. Di lui ho letto solo qualche pensiero ricavato da qualcuno dei testi della sua sterminata produzione di poligrafo. Ne so di più per quello che di lui ho letto a suo tempo sulla stampa. Alla cultura indiana e alla conoscenza del suo misticismo sono arrivato solo “stamattina” a togliere un velo della sua straordinarietà plurimillenaria.

Non m’affascinano personaggi come Osho che fanno del misticismo una dimensione dell’esistenza e una modus escatologico dell’essere. Finiscono ineludibilmente per diventare protagonisti di un se stesso effimero e solipsistico. Di personaggi come lui, un po’ pifferai di Hamelin, un po’ affabulatori eccezionali, l’India tracima. Ho visitato gli ashram di alcuni di essi e mi sono convinto di quanto fragile e “servizievole” sia la nostra disponibilità occidentale. In che misura sono capaci di plagiare anche la personalità più matura certi manipolatori delle corde sensibili, solo sollecitandole e urticando le fibre delle pulsioni umane più riposte.

In questo gli indiani hanno maturato attraverso l’esperienza dei secoli una finissima percezione. In Osho non so distinguere il ciarlatano dall’autentico pensatore alla ricerca della “moksa”, la liberazione dalle infinite rinascite. Perché, in fondo, credo che in questo si riassuma poi il suo pensiero. Guardo sempre con sospetto chi racconta dal palco e indica vie semplici per giungere alla cosiddetta verità. Che poi significa niente ed è termine che va profondamente reinterpretato. Non mi piace chi affastella in un sincretismo diabolico mille dottrine spirituali mettendo insieme il pensiero greco, assolutamente laico, con cristianesimo, taoismo, tantrismo, vedismo, bramanesimo, buddhismo, induismo, islam ecc. Porre sullo stesso piano socratico rigore logico e teologia è follia. Una saggezza come questa si può predicare solo nei paesi della credulità, gli Stati Uniti fra i primi. Quando qualcuno mi parla ex abrupto di anima e non ci siamo prima messi d’accordo sul suo significato autentico, comincio a preoccuparmi.

Osho parlava di anima con disinvoltura salviniana.

Tutti i “mistici” (soprattutto quelli sedicenti tali) corrono in America. Dopo qualche mese di gioiosa predicazione mettono su scuole di meditazione e di ascesi. Segue poi il rarefarsi della loro predicazione e anche della loro immagine, l’allontanamento dalla strada percorsa prima a piedi e poi in Rolls-Royce. Niente di incantevole in tutto questo. Non so se Osho fosse proprio così. Ma so quante vittime morali abbiano provocato certe sue nenie, belle solo per la bellezza dell’ovvietà che raccontavano. Lo facevano benissimo, con parole accuratamente studiate per dolcezza e pause. Sono stato nell’Asham di Osho a Pune, in India, qualche anno fa, come in quello di Puttaparthi di Sai Baba (in realtà figura molto diversa quest’ultima e criticamente anche più agevolmente opponibile). Mi ha stupito la credulità e la sciatteria del pensiero, anche di persone di cultura, che frequentavano questi luoghi di spiritualità.

Non mi hanno stupito molto invece i vari incidenti e gli scandali che hanno coinvolto Osho. Forse non era sempre responsabile di tutti quelli che gli venivano imputati. Ma è certo che troppo spesso si difese, come fanno tutti i colpevoli e gli arruffapopolo (vedi quello che succede ai nostri politici più in vista), accusando mezza umanità di complottare ai suoi danni.

Per il poco che so di Osho posso affermare che era un affabulatore invidiabile. Ma anche un ideatore serpineo, capace di inventare con lucidità e lungimiranza temi di fascino impressionanti. Proiettava il desiderio di conoscenza dell’arcano nella prospettiva della guarigione da un male. E l’arcano lo spiegava nell’ottica della “ucronia” o, come dicono gli inglesi, dell’if not. Tipo: guerre mondiali annunciate come apocalissi millenaristiche. L’uomo a queste cose crede per tentazione di fascino o per terrore di mistero. In ogni caso, parliamo di spazi inesplorati e facili da mettere sotto gli occhi del pensiero di chi è disponibile al plagio, cioè quasi tutti quando si parla dei misteri di un io sempre inesplorato. Osho ha suscitato curiosità di indagine in molte figure autorevoli del recente passato. Soprattutto fra i laudatori della libertà di espressione a ogni costo. Laudatori che ammiro, beninteso. Pannella fra tutti.

Credo che Osho fosse uomo di sconcertanti conoscenze. Sapeva rievocare la visione eraclitea degli opposti senza mai menzionare il filosofo e da quella partiva per nutrire ingenue congetture correnti di pensiero. Con prodigiosa abilità stravolgeva il pensiero di Nietzsche; si accalorava alla poesia mistica di Rumi (quello dei dervishi rotanti) ecc. Era singolarmente anche capace di conciliare mondanità ed “esichia”, come i greci chiamavano il silenzio della concentrazione. Fino all’eccesso. Quanto spesso però si tradiva. Lui che voleva passare per umile. Lui, di una modestia sospetta, quando socraticamente affermava di non avere nulla da insegnare. Invece non viveva che di “insegnamento” (dell’ovvio, il più delle volte), fatto di frasi essenziali e immediatamente comprensibili. Lo faceva con disinvoltura vivendo nella mondanità più sfrenata, pure da libertino. Era uno stile inconciliabile il suo, con la pacatezza dei toni, con il riflesso della meditazione nelle parole. Le terapie che proponeva mi ricordano un po’ quello che alcuni autori dicevano della psicologia: una scienza che serve a curare le malattie che inventa.

In fondo Osho faceva questo no? In India, da quando è scomparso, gode di una notevole popolarità. Di lui parlano un po’ tutti. Perché Osho appartiene alla visione di un popolo, quello indiano, mai amalgamato e sempre in cerca di un’identità e di trovare figure aggregative (una di esse è stata Gandhi!). In quanto alla sua eredità non so se è raccolta tutta nei suoi libri. Del resto, se avesse vissuto più a lungo ne avrebbe scritto chissà quanti altri per quella capacità che aveva di reinterpretarsi in logiche costantemente nuove e intriganti. Ha scritto più libri lui che Salgari. Ha scritto di tutto e su tutto, in quanto a pensiero religioso, misticismo, dottrine sincretistiche, esoteriche, favolistiche ecc. Molte suo opere, in realtà, sono trascrizioni di sue conferenze da parte di discepoli entusiasti, un po’ come faceva Rudolf Steiner con i suoi testi di antroposofia.

Mi sono dilungato oltremisura, perciò mi fermo qui.

Mattia Branco

Ho diretto, ho collaborato con periodici locali e riviste professionali. Ho condotto per nove anni uno spazio televisivo nel programma "Anja Show".

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