A VOI SARA’ TOLTO IL REGNO DI DIO! (Mt 21, 33)

8 ottobre 2017  * XXVII Domenica T.O. (A)

A VOI SARA’ TOLTO IL REGNO DI DIO! (Mt 21, 33)

    riflessioni pluri-tematiche sul Vangelo della domenica                                                                                           a cura di Franco Galeone (Gruppo Biblico ebraico-cristiano) השרשים  הקדושים                                                                                                   per contatti: francescogaleone@libero.it

La domenica “della vigna del Signore”

Intorno a questo brano del Vangelo di Matteo alita un soffio di tragedia e di speranza. Noi siamo abituati a considerare la storia come una catena di eventi che dipendono da altri eventi. Da Aristotele a Machiavelli, da Hobbes a Croce, siamo abituati a ragionare in termini di causa ed effetto: ogni effetto dipende da una causa, come un figlio da una madre. Quidquid fit, ab alio fit! Nel racconto del Vangelo invece la fatalità della storia è capovolta, il circolo del fato viene spezzato, l’eterna clessidra va in frantumi sotto i colpi della novità. Quale? La storia tutta è guidata da Qualcuno che ne regge le fila; il male non porta frutti; il malvagio ha i giorni contati; la vittima scartata dai costruttori diventa la base del futuro! Nel bene e nel male, si intende! Quindi, la vicenda degli antichi ebrei può ripetersi con i nuovi cristiani; tutte le chiese, tutte le religioni, devono ricordare questa drammatica possibilità. Essere cristiani richiede una risposta personale; non ci si salva perché battezzati o circoncisi, perché educati in una scuola cattolica o in una sinagoga  rabbinica o in una moschea musulmana. Non la razza o il sangue ma lo spirito e la scelta. Davanti a Dio esiste questa sola distinzione: chi ama e chi odia, chi costruisce la torre di Babele e chi la civiltà dell’amore, chi ascolta Dio e chi lo rifiuta.

Non la razza e il sangue ma lo spirito e la scelta!

Fa impressione come numerose e fiorenti comunità cristiane dei primi secoli sono semplicemente scomparse: un tempo fiorenti metropoli ora spente necropoli! Cosa sarà del nostro cristianesimo occidentale tra alcuni secoli? Forse il primato passerà alle chiese di Africa e di Asia? Sarà sempre il Vaticano il centro della cattolicità? Si parlerà della Chiesa di Roma, di Milano, di Torino … come parliamo della scomparse chiese di Pergamo, di Filadelfia, di Ippona? L’attuale cultura della morte e del silenzio di Dio cancellerà ogni tradizione cristiana, o sarà occasione per una scelta personale dei valori cristiani? La punizione che tocca i vignaioli omicidi consiste nell’essere sostituiti da altri; non si dice da chi: da altri. Questa sostituzione scatta in tutti i tempi. Le chiese che si rifanno a Cristo dovranno sempre tenere presente questa possibilità, perché Dio non può essere sconfitto dalla malizia dell’uomo. D’ora in poi, la vigna di Dio non è più un recinto sacro collocato sul monte Garizim o sul colle Vaticano, ma ogni uomo, ogni Chiesa, che accoglie il tesoro del Vangelo e lo fa fruttificare.

Gesù deluso di Israele e di noi!

Siamo davanti ad una parabola drammatica, raccontata nel momento più drammatico. Gesù è entrato a Gerusalemme, è cominciata la settimana di passione, tre giorni ancora e Gesù verrà arrestato e ucciso. È a questo punto che egli racconta la parabola dei vignaioli omicidi. Gesù è deluso dei capi d’Israele. È un crescendo di ammonimenti, che culmineranno nel Giudizio universale. Sia il profeta Isaia che Gesù ricorrono al simbolo della vigna: se prendessimo alla lettera le parabole agricole di Gesù, dovremmo concludere che Dio, come agricoltore, non ha avuto molta fortuna! Come seminatore, ha sparso il seme a braccio tra pietre e spine, in un terreno incolto e pietroso; per giunta, ecco il nemico, il diavolo, di notte sparge zizzania, e quel poco che resta se lo beccano gli uccelli.  Nella lettura di Isaia, è la vigna che si guasta, e produce non uva dolce ma selvatica; nella lettura del Vangelo, sono i vignaioli che dicono: Venite, uccidiamo il figlio del padrone, e l’eredità sarà nostra! Il lucido pazzo di Roecken, in una suggestiva pagina di La gaia scienza, annuncia la morte di Dio: Lo abbiamo ucciso, voi ed io! Siamo noi tutti i suoi assassini! È vero? Può essere vero! Interroghiamoci: Dio è contento della nostra vita, delle nostre famiglie, delle nostre parrocchie? Noi cristiani siamo un annuncio di vita e di bene, o una caricatura di Dio e del Vangelo?

Pregare “pro judaeis et cum judaeis”

Questo brano del Vangelo di Matteo costituisce il topos classico per la teoria della Chiesa come nuovo Israele e come nuovo popolo, che sostituisce il vecchio Israele e il vecchio popolo. Questa fanta-teoria teologica non ha nessun fondamento né scritturistico né teologico; la sua origine si perde nell’alto medioevo cristiano. È utile ricordare che Gesù non era un cristiano. Egli era a tutti gli effetti un ebreo. Non andava a messa la domenica, ma in sinagoga il sabato. Non parlava greco e latino, ma ebraico ed aramaico. Aveva una madre ebrea, Miriam, scura nella carnagione e nei capelli. Nessuno lo chiamava Pastore e Monsignore ma Rabbì.  Non leggeva il Nuovo Testamento ma la Bibbia, e pensava che questa fosse la Sacra Scrittura. Non recitava il rosario ma i salmi, come nel momento della tentazione e della morte. Non celebrava Natale e Pasqua, ma Shavuòt e Pèsach. Non una Comunione ma un Seder. E rabbi Jeshua non era un mediocre ma un osservante: portava gli zizioth o frange rituali al mantello. Qualunque cosa possano aver detto Lutero o Paolo stesso, rabbì Jeshua non è venuto a dispensare dalla Legge, dalla Torah, ma a realizzarla.

Non si tratta di negare l’originalità, la specificità del Cristia­nesimo nei confronti dell’Ebraismo. Ma per affermare la grandezza del Cristianesimo non occorre squalificare, ridicolizzare, demonizzare l’E­braismo. Cristo non è un aerolito, un masso erratico caduto in Palestina. Dobbiamo affermare la sua grandezza ed originalità non al di fuori o contro l’Ebraismo, ma con e dentro l’Ebraismo. Questo non è il negativo su cui far risaltare il positivo di Cristo e del Cristianesimo. Un ritorno alle categorie ebraiche faciliterebbe la de-ellenizzazione del pensiero cristiano. In La subversion du Christianisme, il biblista J. Ellul sostiene che il Cristianesimo, passando dalle categorie ebraiche a quelle greco-romane, ha subito una deviazione. Da questa violenta e non riuscita fusione di ellenismo ed ebraismo, sono nate le tante dispute teologiche e le drammatiche eresie. Pensiero razionale greco e pensiero allegorico orientale sono molto divergenti. La cristologia, più della ecclesiologia, ha sofferto per questo “letto di Procuste”: dare un senso ontologico ad un linguaggio non ontologico, significa fare eis-egesi e non ex-egesi.  E’ giunto il tempo di scrivere, se non il Tractatus pro judaeis, almeno il Tractatus de iudaeis. Abbiamo pregato per 2000 anni  pro perfidis judaeis; è giunto il tempo di iniziare a pregare pro judaeis et cum judaeis.

Questa parabola è probabilmente la denuncia più dura e diretta contro i dirigenti religiosi del giudaismo. È stata redatta certamente dopo l’anno ‘70, come riflessione sul disastro che ha sofferto il popolo ebraico con la caduta di Gerusalemme nella guerra contro i romani, che rasero al suolo la città santa e distrussero il tempio. La cosa più ragionevole è pensare che i cristiani hanno visto in quella rovina del popolo ebraico il compimento di un castigo divino. È fondamentale sottolineare che questa parabola mai potrà giustificare il rifiuto totale del popolo di Israele. Questo, oltre ad essere una falsità, significa fornire argomentazioni all’anti-semitismo, di cui in buona parte noi cristiani siamo stati responsabili. Qualcosa per cui la Chiesa ha chiesto perdono. Ed accettare con umiltà il fatto che abbiamo stigmatizzato un popolo che merita tutto il nostro rispetto, per quanto indegni siano stati i sacerdoti e gli anziani che ebbe nel primo secolo. Il Vangelo non è stato scritto per fomentare il disprezzo o il risentimento contro i giudei. O contro nessuno. Il Vangelo è la memoria di Gesù e della sua presenza nella comunità cristiana. Questa memoria e questa presenza ci dicono che anche noi cristiani, il popolo ed i suoi dirigenti, possiamo pensare di essere i nuovi proprietari della vigna del Signore, poiché (presumibilmente) è stata consegnata a noi. No. Nessuno è padrone della vigna. Il padrone è solo Dio. E da noi esige che coltiviamo con cura questa vigna. Ma, di fatto, non l’abbiamo spesso abbandonata e mal coltivata? Buona vita!

Mattia Branco

Ho diretto, ho collaborato con periodici locali e riviste professionali. Ho condotto per nove anni uno spazio televisivo nel programma "Anja Show".

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