ANDANDO A PAESTUM

di Vittorio Russo

 

 

Andando a Paestum, mi è ritornato alla mente che durante la prima stesura di un mio libro su Alessandro Magno, mi imbattei in un personaggio dello stesso nome. Per un certo tempo m’incuriosì. Forse anche più del celeberrimo omonimo, noto come il Grande ma che tale fu solo in parte.
L’Alessandro al quale mi riferisco qui, potrebbe essere noto come Alessandro “il Piccolo”, anche se, paradossalmente, rispetto all’altro, era certamente più grande fisicamente e forse anche per la non comune personalità. Rispetto al Grande fu solo più sfortunato. Si sa che Tychè, la Fortuna, ha camaleontici occhi, Kleos, la Gloria, lascia cadere la sua corona senza sapere sempre su quale capo si poserà e Nike, la Vittoria, è quasi sempre cieca, quando non direttamente acefala.

Alessandro “il Piccolo” era lo zio quasi coetaneo di Alessandro futuro Grande. Era fratello di sua madre Olimpiade. Veniva dell’Epiro, una regione che corrisponde all’attuale Albania meridionale, abitata allora da un popolo bellicoso. Erano i Molossi, che si dicevano discendenti di Achille, l’eroe omerico. Questo Alessandro, detto perciò “Il Molosso”, in un’epoca di condottieri e strateghi non poteva che essere condottiero e stratega egli pure. Si sa che, giovane e audace come il nipote, futuro Grande, aveva per la testa sogni di gloria sconfinati e non meno sconfinate brame egemoniche. Veniva però dal minuscolo Epiro, terra barbara e insignificante.

Pur con tante ambizioni non disponeva, ahimè, di potenziale umano e materiale adatto alle sue ambizioni. Soprattutto, gli mancava la caratura di un Filippo II, marito della sorella, che, affamato di conquiste, aveva messo gli occhi pure sul piccolo Epiro. Per evitare litigi in famiglia, fu concordato allora un matrimonio politico. Alessandro Il Molosso avrebbe sposato una figlia di Filippo. Si chiamava Cleopatra. Era bellissima, naturalmente, come è giusto che sia una principessa nell’immaginario collettivo e quando ne manca il ritratto. Era peraltro sorella di Alessandro, futuro Grande, per parte sia di padre che di madre. Perciò nipote di Alessandro il Molosso al quale andava in sposa.

E avvenne che, proprio nel giorno del matrimonio, Filippo padre della sposa, fosse assassinato. Qualcuno dice per mano di un giovane amante. C’è chi ritiene invece che, più opportunamente, l’omicidio avvenisse per mano di sicari prezzolati da Olimpiade, madre della sposa, e di Alessandro suo fratello, futuro Grande.
L’assetto politico del mondo cambio proprio in quell’anno del matrimonio. Era il 336 prima dell’anno zero.

I due Alessandro concordarono di conquistare la Terra intera e di spartirsela. Salvo poi a scannarsi per il predomino assoluto. Ma questo non fu concordato. Alessandro, futuro Grande, partì per l’Oriente e lo conquistò tutto. Alessandro il Molosso, invece, prendendo a pretesto una richiesta di aiuto da parte di Taranto minacciata dai Lucani, partì per l’Occidente. Sbarcato in Puglia, nel giro di pochi anni riuscì a piegare Lucani e Bruzi (i calabresi di allora). Con audaci azioni militari e abili strategie, conquistò varie città assoggettate dai Lucani, fra le altre Brindisi, Cosenza, Siponto e, ultima, Paestum, l’antica Poseidonia.

Qui però, poco dopo, si dissolsero i suoi sogni di grandezza. Morì in battaglia, ucciso a tradimento e orrendamente squartato, a Pandosia, non lontano da Matera. Era l’anno 330. Alessandro Il Molosso aveva 32 anni. Lo racconta con parole di sangue Tito Livio. Poi aggiunge – ma gli credo poco – che i brandelli del corpo furono sepolti a Metaponto e successivamente riportati in Epiro. Altri sostengono che i pochi resti venissero inumati in Pandosia stessa, luogo della morte. Non mancano tuttavia indicazioni di alte località della sua sepoltura.

A me piace credere da sempre invece che Alessandro Il Molosso fosse stato sepolto a Paestum. Radicato in questa convinzione ho voluto riscoprire i luoghi di questa città immortale e rivedere le antiche tombe lucane e greche. I suoi templi dorici, le rovine, fino a quelle ultime dei Romani, non smettono di affascinare per il silenzio che le circonda. Anche in una giornata di scarsa frequentazione umana, di sole mite e sonora solo del canto da rosario delle raganelle. Come era ieri. La voce della natura nelle orecchie era piacevole come un coro a bocca chiusa in sottofondo e accompagnava i nostri passi sulla storia di 25 secoli. La raccontavano le stoppie ancora fresche di sfalcio, l’odore dolce del fieno già indorato, quello dei pini e dei cipressi irsuti. E c’era poi la voce delle pietre in sordina, quelle delle colonne doriche, delle trabeazioni e dei glifi che scultori muti hanno trasmesso all’eternità.

Abbiamo indugiato intrattenendoci con queste riflessioni con i cronisti di una televisione francese. E, infine, è seguito il percorso fra le tombe del museo. Le greche, tra le quali celeberrima quella del Tuffatore, e le lucane posteriori. Fra i sepolcri di queste ultime, affrescati con ocra rossa e gialla e tratti ingenui eppure così intensi, ce n’è una indimenticabile. Non è stata restaurata di proposito. Conserva le ossa sparse di un guerriero coperte dal frammento di bronzo di una corazza e una punta di sarissa. Alessandro il Molosso? Chissà! A me piace crederlo per quel desiderio forsennato e irriducibile di dar corpo ai personaggi di cui la storia è intramata.

Mattia Branco

Ho diretto, ho collaborato con periodici locali e riviste professionali. Ho condotto per nove anni uno spazio televisivo nel programma "Anja Show".

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