Domenica 3 maggio 2015 V domenica di Pasqua (B)

Domenica 3 maggio 2015Gesù che parla alla gente

V domenica di Pasqua (B)

Il regno di Dio tra crescita e tensioni

“Commento di don Franco Galeone”

(francescogaleone@libero.it)

 

Rimanete in me ed io in voi!

Il vero uomo non si manifesta solo nella sua produzione (homo faber), meno ancora nei suoi prodotti. I bisogni dell’uomo sono epifania dell’uomo come bisogno, dell’uomo come invocazione, dell’uomo come domanda circa il senso radicale della sua esistenza. Non di solo pane vive l’uomo! Oggi siamo arrivati ad un punto delicato della crisi. O l’uomo diventa la misura delle cose, o le cose diventano la misura dell’uomo. Avere o essere? Ecco il quesito di fondo! Oggi tutti comprendiamo, almeno in teoria, che occorrono il progresso ma anche la promozione, il correre ma anche il crescere, l’ominizzazione ma anche l’umanizzazione. Il progresso, il correre, l’ominizzazione si muovono nella sfera dell’avere. La promozione, il crescere, l’umanizzazione, in quella dell’essere. Il progresso senza la promozione diventa un regresso a quella che G. B. Vico chiamava “barbarie riflessa”. Non si sceglie veramente per l’uomo, se non si sceglie tutto l’uomo. Se la nostra civiltà diventa senza cultura, avremo una nuova versione della coscienza infelice, che Hegel non poteva neppure immaginare. Perciò è necessario un umanesimo teocentrico. “Restate in me! Senza di me, non potete fare nulla!”.

 

Io sono la vera vite

E’ un problema quello di distinguere la vera vite; abitiamo un mondo popolato di viti, che producono messaggi tossici; ogni vite promette frutti di salvezza, un vino inebriante; alla fine qualcuno arriva anche a pensare che alla fine tutte le viti si equivalgono, che tutte le religioni sono uguali, che Cristo o Maometto fa lo stesso. La nostra vita è una infinita ricerca di questa “vera vite”, che salva, di questo albero che salva; una ricerca umile ed onesta, che esige libertà interiore. Ogni uomo è così alla ricerca di un “Santo Graal” che si rivela a chi cerca con amore la libertà. Il vangelo ci esorta a stare uniti a Gesù, come il tralcio alla vite. Il tema della vite è molto sviluppato sia nell’Antico Testamento che nel Nuovo Testamento; qui però è presente una novità: la vite non è il popolo ma è il Signore. Se facciamo il male, ci stacchiamo da Cristo, vera vite. Aut vitis aut ignis: così Agostino con il suo latino lapidario. L’immagine della vite suggerisce che la fede è intimità, e ce lo ricorda il verbo rimanere, dimorare; alla pallida religiosità di molti cristiani, tutta folclore ed esteriorità, Cristo chiede un’adesione cordiale e radicale, come il legame nuziale. Ma la fede è anche sofferenza, e ce lo ricorda il verbo potare, tagliare, ma sempre perché porti più frutto. Dio ci toglie una gioia perché ce ne vuole offrire una più grande. “Le mani di Dio sono mani ora di grazia ora di dolore, ma sempre di amore”, ha scritto D. Bonhoeffer, pastore protestante, morto impiccato nel carcere nazista di Flossenbürg.

 
Paolo, il tollerato!

I primi apostoli erano tutta brava gente, ma integralista, pronta a fare quadrato, anziché a sperimentare il pluralismo. Paolo si era convertito, ma aveva idee troppo nuove, e in tutta la storia della chiesa queste due componenti (il dinamismo paolino e la prudenza petrina) saranno presenti con alterne vicende. Gerarchia e profezia, tradizione e innovazione, antico e nuovo: due dimensioni necessarie, altrimenti o si va incontro all’invecchiamento o a pericolose fughe in avanti. E’ una schematizzazione semplicistica, che pure fotografa 20 secoli di storia del cristianesimo. Pensate, per esempio, durante il nostro risorgimento: i fautori del potere temporale riuscirono a imbavagliare quei pochi profeti che volevano una chiesa povera e libera. Da un lato, Don Margotti, Pio IX e tanti altri sostenevano “né eletti né elettori”; dall’altro, i tanti Caputo, Pazzaglia, Scalabrini, Tosti, Bonomelli … furono respinti “extra castra”. Qualcosa di simile avviene nelle parrocchie. Le parrocchie rappresentano in un certo modo la chiesa visibile stabilita su tutta la terra. Ma la parrocchia spesso è vasta; da qui la necessità e la fortuna di comunità minori, associazioni, gruppi diversi che, in comunione con il parroco, diventano forze nuove, come lievito nella massa. Questi gruppi sono una speranza nella chiesa se si alimentano alla Parola di Dio, se non si lasciano politicizzare, se evitano la tentazione della contestazione e della ipercritica, se restano fedeli alla chiesa locale e alla chiesa universale, se non si considerano migliori degli altri. Le tensioni diventano illegittime solo quando provocano settarismo e divisioni. Aveva ragione Papa Giovanni quando diceva: “Nelle cose necessarie: l’unità; nelle cose facoltative: la libertà; sempre la carità”.

 

Mattia Branco

Ho diretto, ho collaborato con periodici locali e riviste professionali. Ho condotto per nove anni uno spazio televisivo nel programma "Anja Show".

Potrebbero interessarti anche...