Drammi del mare…

di Vittorio Russo

Come si fa a raccontare il mare, la sua grandezza e le sue tragedie? Come si fa a spiegare la sua spietatezza e la sua dignità? Uccide e accoglie fra le sue spire e nella coltre senza orme dei suoi abissi. Non a caso ha il sapore del sudore e delle lacrime. Anche quando lo hai lasciato da tempo il suo respiro roco lo senti di notte

dentro i cuscini. Lo ha ricordato così anche Alda Merini.

Oggi raccontiamo due dei suoi cocenti disastri. Siamo testimoni di due tragedie parallele che si sono svolte sotto e sopra le onde. La prima riguarda il sommergibile indonesiano Nanggala e il suo equipaggio di 53 uomini.

Navigava nelle acque del Mar di Giava. Se ne sono perse le tracce da un paio di giorni e non si ha certezza della sua ultima posizione geografica. Non si nutrono grandi speranze di salvezza del suo equipaggio. Lo scafo non è in grado di resistere alla pressione di profondità superiori ai 150 metri.

Voci ottimistiche pretendono che sia appoggiato su un fondale intorno ai cento metri. Chi può dirlo? Si azzardano con la massima tempestività interventi di estrema audacia con batiscafi in gradi di tentare avventurosi salvataggi. Ma chi di queste vicende ha esperienza sa che non c’è da farsi illusione.

Il ricordo del sommergibile russo Kursk ritorna alla mente con le testimonianze scritte di membri del suo equipaggio ritrovate dopo il recupero. Sono parole disperate scritte col sangue, nel buio di una tomba di acciaio soffocata dal calore e dalla

mancanza di ossigeno. Non le riporto di proposito…

Dall’altra parte del pianeta, a poche miglia dalle nostre sponde, si è conclusa in queste ore la sventurata vicenda di un ennesimo naufragio di africani.

Creative concept image of seascape in pages of book

Alla ricerca di una vita migliore al di là degli orizzonti desolati delle terre natali, hanno trovato la morte nell’abbraccio di un mare di cui forse non avevano nessuna idea prima.

Un soccorritore di bordo della Ocean Viking di Sos Mediterranée ha raccontato della vista di diecine di cadaveri in acque con onde di tempesta capaci di creare problemi anche a navi dai robusti scafi di acciaio. Non è difficile immaginare come possa resistere un gommone di pochi metri con 100 forse 130 o addirittura 150 disgraziati stipati come sardine.

L’Ocean Viking ha navigato in un mare di morti, tra i flutti impazziti. Quanti i morti sotto i flutti?

Ricordo ciò che lessi a proposito delle acque intorno all’isola di Gorée dalla quale partivano navi negriere cariche di derelitti destinati al macello della schiavitù nel Nuovo Mondo. Molti morivano nei primi giorni di navigazione, debilitati dalle lunghe marce prima di raggiungere il mare, ma soprattutto di crepacuore e di sconforto.

Raccontano i pescatori di Gorée che a distanza di secoli le acque della loro isola sono ancora massicciamente infestate da squali in cerca di cadaveri.

Chi legge sappia che, anche se per giusta pietà a questo non accenna la stampa, altrettanto numerose sono nel canale di Sicilia le torme di pescicani che si aggirano in cerca di facili pasti umani…

Come mi piacerebbe ricordare a certi nostri politici, campioni di sensibilità e difensori della patria, che a minacciarne i sacri confini sono questi disgraziati, ultimi fra gli umani, che scompaiono dal racconto della vita senza averne scritto un rigo, senza nome, senza dignità. Ci lasciano eredi di un marchio d’infamia e con lo stigma del rimorso e di un’incancellabile ipocrisia.

Ricordiamocelo.

Mattia Branco

Ho diretto, ho collaborato con periodici locali e riviste professionali. Ho condotto per nove anni uno spazio televisivo nel programma "Anja Show".

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