ROMA – La svolta arriva quando sono passate le 20.30. Con una nota Silvio Berlusconi pone fine all’attesa e sembra dare disco verde all’accordo per un governo 5Stelle-Lega. “Nessun veto, ma no alla fiducia”. E precisa: “L’esecutivo Di Maio-Salvini non segna la fine dell’alleanza di centro-destra: rimangono le tante collaborazioni nei governi regionali e locali, rimane una storia comune”. Dopo 66 giorni, insomma, cade il veto del Cavaliere. “Per quanto ci riguarda – spiega – non è mai neppure cominciata una trattativa, né di tipo politico, né tantomeno su persone o su incarichi da attribuire. Se però un’altra forza politica della coalizione di centro-destra ritiene di assumersi la responsabilità di creare un governo con i cinque stelle, prendiamo atto con rispetto della scelta. Non sta certo a noi porre veti o pregiudiziali”. Berlusconi spiega che i provvedimenti del futuro governo saranno valutati volta per volta, “sostenendo quelli in linea con il programma di centrodestra”. Poi la frecciata: “Nessuno potrà usarci come alibi se un governo Lega-M5S non potesse nascere, di fronte all’impossibilità oggettiva di trovare accordi fra forze politiche molto diverse”.

È l’epilogo di una giornata di fibrillazioni che ha avuto il suo momento clou quando Matteo Salvini e Luigi Di Maio si sono incontrati alla Camera per tentare il tutto per tutto: chiedere a Sergio Mattarella altre 24 ore di tempo per formare un governo politico prima dell’incarico da parte del capo dello Stato a un premier “neutrale”. Latore della richiesta, il leghista Giancarlo Giorgetti. La telefonata al Quirinale convince Mattarella a concedere le 24 ore, e forse anche qualcuna in più. Ma scaduto il termine il presidente vuole un nome, quello del premier, e due numeri, quelli delle maggioranze di Camera e Senato, altrimenti andrà avanti con l’incarico a una personalità super partes per cercare di dar vita a un esecutivo di servizio.

Sull’asse Lega-M5s si sono intrecciate le trattative sulla figura, il “nome terzo” da mettere alla testa di un eventuale esecutivo giallo-verde. Con l’attesa per la scelta di Berlusconi. Un passo indietro, o di lato.

L’intesa tra Di Maio e Salvini, comunque, ancora non c’è. Le trattative per tutto il giorno vanno avanti con tre ostacoli. Il primo: il nome del premier, con il difficile compromesso tra 5Stelle e Lega. Non c’è accordo su nome politico, si pensa anche a figure tecniche. Poi la richiesta, sostenuta da una parte di Forza Italia, di ottenere una forma di riconoscimento da parte del M5s. Infine, la presenza alla testa dei ministeri più “sensibili” (Sviluppo economico, Interno, Giustizia) di figure non sgradite ai forzisti, anche per salvaguardare gli interessi di famiglia del leader. Si pensi ad esempio alla delega alle Comunicazioni e a quel capitolo, il berlusconiano conflitto d’interessi nell’informazione, riaperto proprio da Di Maio, a fine aprile, con linguaggio che il Cavaliere definì da “esproprio proletario”.

Ma i segnali di una volontà di dialogo, tra 5Stelle e Lega, erano partiti fin dal primo mattino quando Matteo Salvini spiega a Radio Capital: “Io, fino all’ultimo minuto, ci provo”. E Luigi Di Maio pronuncia una frase che sembra indicare uno spiraglio: “Berlusconi non è il responsabile dell’impasse, in questo ha meno responsabilità di altri e non ci sono veti”. Poi è il capogruppo al Senato Danilo Toninelli a offrire il termometro del momento nel M5s: “Bisogna aspettare il centrodestra, ma siamo speranzosi”.

La vera partita si è giocata all’interno di Forza Italia. I parlamentari azzurri, che si sono riuniti rispettivamente a Palazzo Madama e a Montecitorio, stabiliscono di rimettersi alle decisioni di Berlusconi. Dai due vecchi capigruppo arrivano segnali importanti. Il senatore forzista Paolo Romani: “Forse vale la pena che si sperimenti un governo giallo-verde”.  E Renato Brunetta: “Se vogliono fare il governo, lo facciano. Del resto anche nel 2011 e nel 2013 la Lega non votò per i governi Monti e Letta (sostenuti da Forza Italia, ndr), ma l’alleanza rimase”.