I primi, cioè gli ultimi!

XXII domenica T.O. (C) – 28 agosto 2022

I primi, cioè gli ultimi!

Prima lettura: Umìliati e troverai grazia davanti al Signore (Sir 3,17). Seconda lettura: Vi siete accostati alla città del Dio vivente (Eb 12,18). Terza lettura: Chi si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato (Lc 14,1).

1. La domenica “dell’ultimo posto”. Il tema della liturgia odierna è quello dell’umiltà (cioè: della verità!), propostoci attraverso la lettura del libro sapienziale del Siracide, e la parabola evangelica degli invitati a pranzo. Ancora un avvertimento: forse noi non saremo i primi! C’è una folla invisibile, a noi sconosciuta, ma non a Dio, che ci precede. Il regno di Dio è infatti aperto a tutti; non abbiamo la minima idea circa il posto da noi occupato nella sua graduatoria. Chi presume di saperne di più, si prepari a lasciare il suo onorevole posto al banchetto. Basta aprire il giornale, accendere il televisore: una folla di umili, di ignoti anche alle nostre chiese, persone che mai dovremo osare giudicare perché sono cari a Dio, forse vivono e muoiono al di fuori della chiesa ma sono dentro il Regno di Dio. È l’immenso e anonimo popolo delle beatitudini!

2. Gesù non è un predicatore astratto; il suo linguaggio ti obbliga a riflettere. Viene invitato a pranzo, come già altre volte. Mentre gli invitati si affrettano a occupare i primi posti, Gesù osserva con ironia, e ci consegna una lezione di umiltà, che non è solo invito al buon senso e al galateo! Gratuità, donazione, semplicità! Sono l’uscita di sicurezza dalle strettoie di un’esistenza pesantemente condizionata dalla protervia del potere e dell’avere, dall’illusione dell’onnipotenza, dal disprezzo di chi non ha denaro. Questa nostra società dello spettacolo e dell’immagine ha spento i riflettori sulle cose piccole e semplici. Che però tali non sono! È questo microcosmo della quotidianità, tanto deriso, che oggi va riconquistato, per poter di nuovo vivere senza lacerazioni, senza quelle frustrazioni che spingono a uccidersi “per noia”. Gesù invita ad occupare gli ultimi posti nel banchetto della vita, quelli dove il clamore degli sbandieratori delle prime file non giunge a usurpare le gioie semplici e pulite della vita; ad accettare gli altri, quei commensali “poveri, storpi, zoppi e ciechi” (v. 13), che portano speranza e fantasia nella nostra nevrotica uniformità dei riti sociali.

3. La storia dell’uomo, in genere, si regge sulla legge della competizione. La gara fra gli uomini e i popoli è fonte di progresso: ce lo hanno insegnato fin dalle scuole elementari. Siamo arrivati anche a crederci. Perfino i filosofi hanno trovato, quasi sempre, un’identità tra il prevalere di fatto e il prevalere di diritto: “Chi prevale ha ragione!”, sostiene Hegel. La società si organizza e vive sulla competitività. Il giovane oggi si prepara ad inserirsi in questo tipo di società attraverso un’educazione familiare e scolastica spesso tutta orientata verso l’arrivismo sociale. È grave il pericolo di una scuola che diventa luogo di selezione sociale, bocciando i migliori e promuovendo i peggiori. Se una scuola “cattolica” facesse questo, commetterebbe un peccato gravissimo.

4. Al banchetto dell’umanità siede soltanto una piccola parte. Gli altri sono fuori e fanno ressa e noi cristiani siamo tra i banchettanti. Fu un momento forte del Concilio ultimo, quando un vescovo disse: “Aprite la carta del pianeta e guardate: il mondo cristiano coincide con il mondo ricco”. Come dire: le ricchezze, la cultura, i consumi delle nazioni cristiane del nord poggiano sullo sfruttamento, sulle spoliazioni, sui debiti dei popoli del sud! È una provocazione! A volte essa è tanto forte che mette in crisi la fede, e ci rende non-credibili quando annunciamo il Vangelo. Le teologie nate all’interno dell’occidente privilegiato sono colpite oggi da un sospetto: non sono esse espedienti ideologici per giustificare il privilegio? I popoli del benessere hanno elaborato le teologie del benessere! I semplici non dicono più niente! Noi abbiamo tolto loro la parola, perché la parola appartiene ai competenti, agli studiosi. Facendo di Dio un oggetto di studio, lo abbiamo riservato ai professionisti. Ma il Vangelo dice un’altra verità: “Dio ha voluto rivelare i suoi misteri ai piccoli e ai semplici … Beati i poveri di spirito!”.

Vangelo (Lc 14,1.7-14)

5. In Israele il pranzo del sabato non si riduceva a una semplice refezione, era un convito dove si ritrovavano parenti e amici che conversavano sui più svariati argomenti. I temi religiosi, teologici e morali venivano trattati soprattutto quando un rabbino era fra gli ospiti. I maestri e i dottori approfittavano di questi banchetti per esporre le loro dottrine. Anche Gesù ha dato molti dei suoi insegnamenti a tavola (Lc 5,29; 7,36; 9,17; 10,38; 11,37; 14; 19,1; 22,7-38). Il brano di oggi va collocato in questo contesto di simposio festivo. Siamo nella casa di un fariseo, e Gesù è fra gli invitati (v. 1).

6. A tavola non ci si siede come capita, ci sono gerarchie da rispettare. I posti vengono assegnati con molta attenzione: al centro le persone di riguardo, accanto a loro il padrone di casa e poi via via tutti gli altri, disposti ai tavoli in considerazione della loro posizione sociale, della loro carica religiosa che svolgono, della loro ricchezza … Gesù guarda un po’ divertito la distribuzione dei posti, osserva l’imbarazzo di chi si è portato troppo avanti e deve arretrare, vede il compiacimento malcelato di chi si schermisce, ma alla fine acconsente a occupare un posto più centrale e prestigioso. E introduce una prima parabola: “Quando sei invitato a nozze da qualcuno, non metterti al primo posto”. Il  proverbio che cita si trova nella Bibbia: “Non metterti al posto dei grandi, perché è meglio sentirsi dire: ‘Sali quassù!’ piuttosto che essere umiliato davanti a un superiore” (Prv 25,6-7). Rabbi Simeon, un contemporaneo degli apostoli, raccomandava al suo discepolo: “È meglio sentirti dire: “Sali più su!”, piuttosto che “Scendi più giù!”. Gesù non fa che richiamare una prassi raccomandata da tutti.

7. Quest’invito alla ‘furbizia’ stona parecchio sulla bocca di Gesù. È strano che egli si abbassi a suggerire un trucco tanto meschino per avere successo in pubblico e per compiacere la vanità. È vero, le parole sono le stesse, ma il contenuto è diverso. Gesù non ha alcuna intenzione di rendere scaltri i suoi discepoli. Quando essi lasciavano trasparire l’ambizione dei primi posti, li riprendeva sempre, con severità (Mc 9,33). Proibiva persino l’uso dei titoli onorifici (Mt 23,8), non tollerava le «divise» che sacralizzano le caste, faceva dell’ironia sugli scribi “che amano passeggiare in lunghe vesti e hanno piacere di essere salutati nelle piazze”. Vediamo di capire: a) se rileggiamo con attenzione il brano, verifichiamo che una parola ricorre più spesso delle altre (ben cinque volte!): è invitato-invitati. Il termine greco del testo originale andrebbe però tradotto con chiamato-chiamati (Ὅταν κληθῇς/Otan klethes). È ai chiamati che ambiscono ai primi posti, che Gesù intende rivolgersi; b) notiamo un secondo dettaglio: il modo con cui Gesù prende la parola è sorprendente. Non è così che si interviene in casa d’altri! Egli non parla come un ospite, ma come se fosse il padrone.

8. Bastano queste due semplici osservazioni per farci intuire che la cena di Gesù è una cornice artificiale. Luca se ne serve per porre sulla bocca del Signore una lezione ai chiamati, cioè ai cristiani delle sue comunità. È in queste comunità che, spesso, esplodono dissensi e dissapori per questioni di precedenze. I presbiteri, i responsabili dei vari ministeri, si lasciano prendere dalla smania di occupare i «primi posti». È l’eterno problema della chiesa: tutti dovrebbero servire, ma, in pratica, c’è sempre chi aspira a titoli onorifici, vuole primeggiare, si gonfia di orgoglio e giunge a trasformare perfino l’eucaristia in un’occasione di auto-celebrazione!

9. Dopo aver raccontato la parabola, Gesù si rivolge al fariseo che l’ha invitato: “Quando offri un pranzo o una cena, non invitare i tuoi amici, né i tuoi fratelli, né i tuoi parenti, né i ricchi vicini…” (v. 12). Non direi che il clima che si è creato a tavola sia dei migliori: Gesù se la sta prendendo un po’ con tutti. Che colpa ne ha quel povero fariseo se in Israele la tradizione impone di invitare solo quattro categorie di persone: gli amici, i fratelli, i parenti, i ricchi vicini? È forse conveniente mettere insieme un dottore della legge con un peccatore? Gesù raccomanda ai discepoli di non comportarsi come i farisei e di dare inizio a un nuovo banchetto, in cui le quattro categorie della “gente per bene” cedano il posto ad altre quattro: “Quando dai un banchetto, invita poveri, storpi, zoppi e ciechi” (v. 13).

10. Gli storpi, i ciechi, i poveri e gli zoppi non erano ammessi nel tempio del Signore (Lv 21,18; 2Sam 5,8). La loro condizione era un chiaro segno del loro stato di peccato e l’assemblea degli israeliti doveva essere composta da gente integra, perfetta, pura, senza difetti. Gesù annuncia di essere venuto a dare inizio a un banchetto nuovo, un banchetto in cui le persone rifiutate da tutti divengono i primi invitati. Non è facile! Lo testimonia Giacomo nella sua lettera: “Supponiamo che entri in una vostra adunanza qualcuno con un anello d’oro al dito, vestito splendidamente, ed entri anche un povero con un vestito logoro. Se voi guardate a colui che è vestito splendidamente e gli dite: ‘Tu siediti qui comodamente!’, e al povero dite: ‘Tu mettiti in piedi lì!’, oppure: ‘Siediti qui ai piedi del mio sgabello!’, non fate in voi stessi preferenze?” (Gc 2,2-4).

11. Quando gli uomini fanno un favore, subito pensano alla contropartita. Questa logica è ben illustrata dalla raccomandazione di Esiodo (secolo VIII a.C.): “Invita a tavola chi ti ama e lascia stare il nemico. Ama chi ti ama; va’ da chi viene da te. Dà a chi ti dà, non dare a chi non dà”. Gesù chiede al discepolo di amare gratuitamente, di fare del bene in pura perdita. Il povero va amato perché è amabile, non per compassione! Buona vita!

השּׁרשים הקּדשים Le Sante Radici

Per contatti: francescogaleone@libero.it

Mattia Branco

Ho diretto, ho collaborato con periodici locali e riviste professionali. Ho condotto per nove anni uno spazio televisivo nel programma "Anja Show".

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