IL CRISTIANO, DIVISO TRA L’AMORE E LA LOTTA

19 maggio 2019  –  V Domenica di Pasqua (C)

IL CRISTIANO, DIVISO TRA L’AMORE E LA LOTTA

a cura del gruppo biblico ebraico-cristiano

השרשים  הקדושים

francescogaleone@libero.it

Prima lettura:  Riferirono alla chiesa tutto quello che Dio aveva compiuto per mezzo loro (At 14, 21).  Seconda lettura:  Dio tergerà ogni lacrima dai loro occhi  (Ap 21, 1). Terza lettura: Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri  (Gv 13, 31).

1) La domenica del comandamento nuovo. Quasi alla fine del tempo pasquale, è necessario chiedersi: cosa deve caratterizzare i discepoli di Gesù? La risposta è chiara:

Ê  anzitutto l’amore, che ha il suo preciso modello in Cristo: Come io vi ho amati. E’ un comandamento nuovo, cioè perfetto, ultimo, definitivo, secondo il linguaggio biblico. L’amore rappresenta la novità; l’odio fa invecchiare il mondo. L’amore è l’unica energia positiva. Dio è infinitamente creatore perché infinitamente amante. Anche noi: solo quando amiamo qualcuno o qualcosa siamo pieni di vita, di progetti, di iniziative. Quando due note musicali si amano formano un accordo, quando due colori si abbinano bene producono estetica, quando due si amano sprigionano vita. L’uomo è stato creato capace di amare, incapace di bastare a se stesso; non si realizza in una splendida e aristocratica solitudine. Abbiamo bisogno di tanti altri, di un Altro, e questo appartiene alla struttura logica e ontologica dell’uomo: non è un lusso amare, ma una necessità. Anche Dio ha bisogno di essere tre persone, di formare famiglia, per essere veramente Dio! Il diavolo vive nella solitudine, nell’egoismo, non ha bisogno di nessuno: è la vita più terribile! Ma è possibile amarsi gli uni con gli altri? Sembra proprio di sì, perché è questo l’unico comandamento richiesto da Gesù. Siamo pieni di tanti pregiudizi e paure che ci è quasi impossibile avvicinare qualcuno senza vedere in lui un probabile nemico. Siamo portati a inquadrare, etichettare, sapere in quanto e in che cosa sono uguali a noi o diversi. Siamo prigionieri di noi stessi, del nostro passato, delle nostre abitudini. Di istinto operiamo queste equazioni: diverso = inferiore = pericoloso = da eliminare. E quanti diversi abbiamo eliminato, solo perché diversi da noi! Il comando di Gesù è un invito alla libertà: chi è libero può amare; è un invito a non avere paura: chi ha paura è incapace di amore.

Ê  Altra nota tipica: il cristiano è l’uomo della speranza; in un mondo dove sembra prevalere l’ingiustizia, il cristiano è sostenuto dalla speranza che Dio farà nuove tutte le cose, che ogni lacrima sarà asciugata, che l’amore alla fine vincerà.  Il teologo francescano A. Hamman ha scritto che le tre letture di oggi sembrano lo spartito musicale della sinfonia del Nuovo Mondo, perché descrivono la Città nuova, dove Dio sarà nostro concittadino, abiterà accanto alle case di noi uomini, caccerà dalla città quei cittadini lugubri che si chiamano Morte, Lutto, Dolore; il Vecchio Mondo, sottomesso alla Bestia del male, scomparirà per fare posto alla luce, alla vita, alla gioia. La chiesa annuncia cieli nuovi e terra nuova, propone un comandamento nuovo, canta un canto nuovo. Nella Bibbia il termine nuovo appare 347 volte nell’AT e 44 nel NT; con nuovo si intende qualcosa di inatteso; quando promette una nuova legge (Ger 31,31) non intende un aggiornamento del decalogo ma una legge radicalmente diversa.

2)  Non possiamo sradicare il precetto dell’amore dal contesto concreto in cui è stato dato. Gesù non si trovava in una idilliaca riunione, in un ghetto pietistico di beghini, ma dentro la morsa della storia che lo stava schiacciando. Il suo è un amore architettonico, cioè destinato a modificare la realtà, non a passarvi sopra, come una sterile nebbia, che nasconde le cose. Non possiamo dimenticare questa cornice di passione. Naturalmente questo non significa che noi dobbiamo lottare contro i nostri avversari, ma che noi viviamo una conflittualità drammatica tra la necessità di amare e la necessità di lottare. Se davanti a coloro che fanno soffrire i nostri fratelli, noi tacciamo e consigliamo la sopportazione in questa valle di lacrime, allora siamo contro la forza architettonica dell’amore che deve mutare il mondo. Gesù ha sempre preso di fronte le forze del male e le ha denunciate con terribili parole. Gesù non è andato dagli oppressi, ci è stato dentro, ha preso la condizione di servo (μορφὴν δούλου λαβών-morfen dulou labòn), e dall’interno di questa condizione servile ha rivelato la gelosia di Dio per gli oppressi, la sua straordinaria e misteriosa faziosità. Dio è dalla parte degli ultimi! E invece noi operiamo complicate articolazioni concettuali, e per ciò siamo in cattiva coscienza. Essere cristiani significa confessare che l’amore è l’unico principio architettonico della storia. Non solo lo confessiamo, ma dentro la nostra situazione di peccato ci sforziamo di viverlo con piccoli e provvisori gesti di amore che costruiscono la silenziosa civiltà dell’amore.

3) In questo racconto, Gesù si vede sprofondato nella situazione più dolorosa per un essere umano, il tradimento e l’infedeltà di uno dei suoi più intimi amici, e afferma che ora è stato glorificato (ἐδοξάσθη-edoxaste) e Dio in lui è glorificato. Il sostantivo δόξα (doxa) nel greco classico viene tradotto con opinione o punto di vista; invece nel Nuovo Testamento il sostantivo si riferisce allo splendore del potere divino (Lc 2,9; Mt 16,27; At 7,55, etc.). Quindi, in questo punto si afferma qualcosa che scuote e spaventa. Si tratta del fatto che, quando Gesù soffrirà e farà fallimento, proprio allora raggiunge il suo culmine, lo splendore del potere divino, sia del Padre (Gv 13,31b; 17,1b.4), come del Figlio (Gv 7,39; 12,16.23; 13.31a). Gesù raggiunge il suo massimo splendore nel dolore e nel fallimento. Non è una pazzia dire una cosa simile? Questa non è la negazione totale di tutto l’umano? No. Quando Gesù si vede e si sente più umano, pronuncia il comandamento nuovo: Amatevi gli uni gli altri come io vi ho amato. Dio è Amore. Ma Dio, quando si è incarnato, è diventato amore umano. E l’esperienza ci dice che l’amore umano giunge al culmine quando è disposto a giungere – e giunge – al limite ultimo e finale della sofferenza, della morte e del fallimento. Nel comandamento nuovo Gesù non parla più dell’amore di Dio e del prossimo: Chi ama l’essere umano, chiunque sia, ama Dio. In questo sta la chiave di tutto il cristianesimo. Per noi, eredi del pensiero greco, gloria significa fama, ricchezza, prestigio. Tutti desideriamo queste cose. I giudei prendono la gloria gli uni dagli altri (Gv 5,44), amano la gloria degli uomini più della gloria di Dio (Gv 12,43). Nei versetti 31-33 del vangelo di oggi compare per ben cinque volte il verbo glorificare; una prolissità che quasi risulta eccessiva e fuori luogo perché Gesù, di lì a poche ore, sarebbe stato catturato e condannato. Forse qualche apostolo avrà pensato che Gesù stava per compiere un miracolo. Niente di tutto questo. Gesù è glorificato perché Giuda è uscito per trattare con le autorità religiose sul prezzo del tradimento (v.31). È qualcosa di inaudito!

4) Poi il brano continua con un sorprendente Figlioli (v.33). I discepoli sono fratelli di Gesù, come mai ora li chiama figlioli? Bisogna capire che Gesù ha poche ore di vita e perciò detta il suo testamento: come i figli considerano sacre le ultime parole del padre morente, così Gesù vuole che le sue ultime parole restino scolpite nel cuore dei discepoli: Vi do un comandamento nuovo (v.34) e lo ripeterà altre due volte (Gv 15,12 e Gv 15,17) a sottolinearne l’importanza. La novità maggiore di questo comandamento sta nel fatto che nessuno prima di Gesù aveva tentato di costruire una società basata sull’amore; le società vecchie del mondo sono fondate sulla competizione, sul denaro, sul potere. E poi Gesù conclude: Da questo sapranno tutti che siete miei discepoli (v.35). Noi sappiamo che non sono i frutti che fanno vivere l’albero, tuttavia sono segni che l’albero è vivo. Non sono le buone opere che rendono cristiane le nostre comunità, ma sono queste opere che danno la prova che le nostre comunità sono animate dal Risorto. I cristiani non sono uomini diversi dagli altri, non portano distintivi: ciò che li caratterizza è la logica dell’amore gratuito.

5) Il progetto di Dio è come un fiore che si schiude, lascia cadere le foglie che lo avevano custodito, diviene un frutto totale e definitivo. E’ importante collocare dentro questa architettura il precetto di Gesù sull’amore, per evitare che esso sia consumato e risolto all’interno dell’etica soggettiva. Il nostro destino è realizzare la Città santa, spazzare via le cose passate, perché cieli nuovi e nuove terre siano lo spazio della comunità di Dio. E’ un obiettivo che supera il perimetro devozionale dei semplici rapporti intersoggettivi, per investire gli interi spazi della creazione. La presenza di Gesù nella storia sarà sempre quella di una pietra scartata dai costruttori, ma diventata testata d’angolo. Qualcuno sostiene che la chiesa ha i giorni contati perché vecchia, non sa rinnovarsi, ripete formule incomprensibili. Cresce la voglia di spiritualità, l’adesione a nuove religioni (reiki, channelling, cristalloterapia, dianetica); si diffonde la religione-fai-da-te ed espressione di queste nuove tendenze è la New Age. Il cristiano sa di essere un segno di contraddizione, non perché è una persona litigiosa, ma per la qualità della sua vita. Graham Greene affermava che se non avete mai detto qualcosa che dispiaccia a qualcuno, è segno che non avete sempre detto la verità.

6) Noi saremo sempre meno importanti nel gioco quantitativo della storia; il non essere importanti è il nostro stato normale; il nostro compito è diventare una manciata di lievito dentro la massa di farina, un piccola luce accesa nel tenebroso villaggio globale. I cristiani oggi devono diventare una minoranza lieta e contagiosa. Purtroppo, non sempre siamo stati i primi a raggiungere le barricate sulle quali si combatteva per la dignità dell’uomo, e perciò siamo stati lentamente esclusi dalle università, dal mondo della scienza, dai movimenti operai. Se non leggeremo bene i segni della storia, resteremo tagliati fuori anche dal mondo delle donne e dei giovani. Siamo stati spesso avanguardie mancate, e abbiamo permesso che le acque vivificanti del Vangelo si trasformassero in palude verminosa. I cristiani troppo spesso si sono ridotti a fare da cariatidi alla città presente. Solo se avremo questa fede attiva, potremo collocarci dentro le inquietudini del nostro tempo, non per invocare la polizia e il suo disordine costituito, ma per fare emergere la voce di quanti non hanno voce, la corrente calda e la linea rossa di una politica e di una cultura che mettono al centro di ogni progetto l’uomo. BUONA VITA!

Mattia Branco

Ho diretto, ho collaborato con periodici locali e riviste professionali. Ho condotto per nove anni uno spazio televisivo nel programma "Anja Show".

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