Intervista a Renato Roma Romano poeta e scrittore

dalla Rivista PALOMAR i quaderni de La Nuova Tribuna Letteraria

Il nome di Renato Romano figura nel Compendio degli
Autori italiani del Secondo ’900. Tre i libri all’attivo, due raccolte di poesie e un romanzo: Lucia (1992), Prigioniero ad
Auschwitz. Poesie 1990-2004 (novembre 2014) e La naja che
non volevo, romanzo (Europa Edizioni, 2018). È una delle
giovani voci della nuova poesia contemporanea. Ha in preparazione un secondo romanzo dai toni noir e una raccolta
di interviste ad artisti e cantanti dell’epoca d’oro della canzone napoletana come Sergio Bruni, Roberto Murolo, Aurelio
Fierro e altri. Giornalista pubblicista, collabora a giornali,
riviste e a testate online. Con il romanzo La naja che non
volevo, che continua ad appassionare lettori di tutte le età, ha
girato l’Italia con firmacopie e presentazioni, un romanzo che
continua ad appassionare lettori di tutte le età.
Da aprile, il romanzo è in esposizione presso La Fiera del
Libro online, organizzata dalla Biblioteca delle Suore di
Montevergine, manifestazione che quest’anno ha come ospite speciale Glenn Cooper, autore di bestsellers internazionali.
La Fiera si può visitare sul sito www.bibliotecasuoremontevergine.it, pagina facebook Biblioteca Suore Montevergine.
Come inizio di questa nostra chiacchierata mi sembra
opportuno chiederti di parlare di questo tuo romanzo d’esordio, La naja che non volevo, che continui a portare in
giro in tutta Italia. Ce ne parli in breve?
È la storia di Agostino, un semplice ragazzo di provincia,
che non avrebbe mai voluto trascorrere un anno intero rinchiuso in una caserma per nessuna ragione al mondo, soprattutto perché sarebbe stato lontano dalle sue due ragioni
di vita: la sua passione per la musica e la sua ragazza Maria
Noè, della quale era innamorato perdutamente. Il protagonista racconta il servizio militare come esperienza di vita non
amata, ma che comunque gli è rimasta dentro, insieme a tutte le contraddizioni e le grandi amicizie che nascono quando
si è lontani dai propri affetti. Agostino è immerso in questa
esperienza non voluta, sogna il suo grande amore, la musica e
il “Neapolitan Power”, che segnò un’epoca della cultura musicale campana. Le vicende possono far sorridere, ma anche
emozionare perché raccontano il destino di tutti i giovani
di un’epoca che appare, ora, lontana, ma che di fatto resta
ancora nel cuore e nella mente di molti che l’hanno vissuta.
L’ambiente militare, i rapporti tra commilitoni e con gli
ufficiali, le caserme sono le cornici entro le quali è ambientata la storia, così come i letti rifatti a cubo sono elementi
di quel mondo. Sono tutti ricordi tuoi o hai fatto riferimento a racconti e a letture in genere?
INCONTRI
Romano
Renato
Intervista
al poeta
e scrittore
palomar 31
Pochi sono i miei ricordi, molte sono le storie che mi hanno raccontato. Nel libro ho voluto inserire tutti i sentimenti
dell’animo umano ascoltando le vicende che mi hanno riferito gli altri: il romanzo in fondo è uno spaccato della vita
di molti uomini di tutti i tempi che, durante la leva, erano
sottoposti ad un addestramento, a una vita più fisica e meno
mentale, più dura e dotata di regole.
Nel romanzo ci sono anche molte parti audaci, talvolta
in maniera anche violenta, che sono il contraltare di altre
dove c’è tenerezza, solidarietà, empatia, quasi a voler rappresentare i tre volti dell’amore: Eros (l’amore passionale),
Agapè (l’amore spirituale), Philia (l’amore sentimentale).
Quanto è stato difficile passare da un genere all’altro?
Non lo è stato per nulla, perché quasi tutti i personaggi che
ho descritto mi si sono, per così dire, “imposti” nel romanzo.
E quando un personaggio ti si impone nella storia, la descrizione viene molto più facile. Quindi si passa con semplicità
da un sentimento all’altro: tutto viene più spontaneo.
Sempre con riferimento al sesso c’è una parte nel libro
divertentissima, di circa tre pagine, nelle quali si fa riferimento alle denominazioni con le quali viene chiamato
l’organo genitale femminile. Questa parte fa ricordare un
po’ una performance di Roberto Benigni in uno spettacolo
con la Carrà. Quali ricerche hai fatto?
Diciamo che Benigni è stato l’input. Il seguito lo ha fatto
il poeta romanesco Giuseppe Gioachino Belli, che in una sua
poesia intitolata Er padre de li Santi descrive l’organo genitale
maschile usando diverse denominazioni. Lo stesso ho fatto
io, ma con l’organo genitale femminile…
La musica nel romanzo la fa da padrona. Serve a superare i momenti difficili, a creare coesione tra i componenti
del gruppo nel quale suona Agostino. Del resto Nietzsche
sostiene: “Senza la musica la vita sarebbe un errore”. Condividi questa affermazione anche alla luce del tuo libro?
Condivido in pieno. Io resisto anche un giorno senza mangiare, senza uscire di casa, ma non senza ascoltare musica: la
musica è parte integrante della nostra vita, è la cosa più bella
che ci possa essere al mondo. Quando ascolti della buona
musica è come stare tra le braccia di una bella donna!
Un’altra cosa che mi ha colpito di questo tuo romanzo
sono i riferimenti alle canzoni: Bocca di Rosa, appellativo
dato ad una ragazza, o la canzone di Marco Masini sulla
musica, o la lacrima sul viso di Bobby Solo, oppure i brani
di Teresa De Sio. Riferimenti occasionali o mirati?
Mirati, considerato che il protagonista è un giovane musicista della metà degli anni ’80. Bocca di rosa è una delle più
celebri canzoni di Fabrizio De Andrè, nella quale si racconta
l’arrivo di una prostituta nel paese di Sant’Ilario, una situazione simile a quella che descrivo nel libro. La canzone di
Masini, Vaffanculo, mi sembrava molto indicata per il personaggio di Agostino, che i genitori volevano medico ma lui
sceglie di fare il musicista. La lacrima sul viso di Bobby Solo
ironizza sul fatto che Agostino non fosse abituato al fumo
delle stufe a legna presenti nel suo reparto. Quanto ai brani
di Teresa De Sio, sono poesie che appartengono alla cultura
napoletana e di quegli anni e mi è sembrato opportuno citare
lei e i suoi brani, che hanno fatto e continuano a far sognare
tantissimi ragazzi di quella generazione: me per primo.
Passiamo alla poesia. Come avviene il tuo esordio?
Sono stato scoperto e spronato da un mio carissimo amico
che purtroppo non è più tra noi, Luigino Poloni: è stato il
primo a capire che avevo attitudini per la poesia, è stato mio
maestro e sostenitore. A lui devo tanto. Poloni, nativo di Ripatransone, ha vissuto a San Benedetto del Tronto ed è stato
un professore di filosofia, un poeta, un saggista. Si è laureato
in filosofia nel 1976, presso l’Università degli Studi di Bari e
ha pubblicato Gli altri sono io. Interpretazione (saggio, 1983),
Attese (poesie, 1986), Passioni (poesie, 1991).
Lucia e Prigioniero ad Auschwitz sono le tue due raccolte di poesie finora all’attivo. Ce ne parli?
Lucia è edita nel lontano 1992 per conto dell’editrice “La
Ginestra” di Firenze, segna il mio esordio come poeta e, con
esso, il mio inserimento nel Compendio degli Autori Italiani
del Secondo ’900. La silloge raccoglie, per la maggior parte,
poesie d’amore scritte ad un’unica donna, musa ispiratrice
della raccolta. Prigioniero ad Auschwitz. Poesie 1990-2004
viene alla luce nel 2014, edita nella collana Tracciare Spazi
di Europa Edizioni. Il periodo storico e drammatico dell’Olocausto mi ha sempre interessato e toccato profondamente,
talmente che ho scritto Auschwitz, 1941 da cui prende il titolo l’intera raccolta poetica, suddivisa in quattro sezioni tematiche: “Vita”, “Amore”, “Fantasia”, “L’Estate”. Le altre liriche
nel libro affrontano tematiche diverse e sono state scritte tra
il 1990 e il 2004.
In conclusione, mi sembra di capire che non ami mai
ripeterti, che ti piace sempre sperimentare generi nuovi
della letteratura, ogni tuo lavoro è differente dall’altro.
Non è così?
Sicuramente. La vera ambizione di uno scrittore, di un poeta o di un qualsiasi altro artista deve essere proprio quella
di cambiare, di venir fuori dall’area felice che ha conquistato con i suoi ultimi lavori. Questo non lo penso soltanto io
ma anche scrittori come Marco Missiroli, vincitore lo scorso
anno dello Strega Giovani con il romanzo Fedeltà.

Mattia Branco

Ho diretto, ho collaborato con periodici locali e riviste professionali. Ho condotto per nove anni uno spazio televisivo nel programma "Anja Show".

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