IV Domenica dopo Pasqua (C)

IV Domenica dopo Pasqua  (C)

Il regno di Dio è più grande di ogni chiesa 

“Commento di don Franco Galeone”

(francescogaleone@libero.it)

 

*  La domenica “del buon pastore”. Noi siamo conosciuti da Cristo, buon Pastore: è questo l’annuncio di questa liturgia domenicale. Non siamo un gregge anonimo, in balia di un padrone, ma pecorelle predilette, conosciute da Dio, una ad una, per nome. L’uomo di oggi si sente misconosciuto come persona; numero tra numeri, lo sconforta il clima di anonimato e di massificazione; ha la netta sensazione di essere in balia di forze oscure ma potenti, che lo manipolano fino a svuotarlo della libertà. A noi l’immagine del Buon Pastore forse può apparire poco espressiva, anzi, urtante. Noi, paragonati a pecore! Oggi, nel linguaggio corrente, viene chiamato pecora chi è sospettato di conformismo o di viltà, e si usa la parola gregge per indicare la massa che si adegua alle mode. I testi biblici,  invece, seguendo l’antica civiltà pastorale, usano le parole pastore, pecora, gregge, con un significato affettuoso, umanissimo: l’agnello è il simbolo del sacrificio; la pecora della mansuetudine; il pastore della protezione; il gregge della coesione. Si tratta di immagini sempre vive perché ricordano all’uomo di oggi, di sempre, la premura che Dio ha per lui.

 

*  Per comprendere meglio l’immagine del pastore, dobbiamo fare riferimento alla vita palestinese del tempo di Gesù: l’ovile era un grande recinto. Alla sera, i diversi pastori conducevano le pecore all’ovile, ove si mescolavano a quelle di altri pastori, i quali durante la notte vegliavano contro lupi e ladri. Al mattino, una scena allegra: ogni pastore entrava nel recinto, chiamava le sue pecore, che riconoscevano il timbro di voce, e lo seguivano. Notate: Gesù si paragona al pastore, eppure i pastori erano una categoria sociale disprezzata! L’immagine del pastore evoca anche  l’idea della vita come viaggio. Siamo in cammino. Le malattie, i disagi, i dolori … sono mali d’esilio, sono avvisi di lontananza, diceva Léon Bloy.

 

*  Credere di sapere tutto è presunzione. Noi siamo all’interno di un gregge, il cui pastore è Dio, che guida tutti i suoi figli. Non siamo noi le guide! Noi siamo parte di questo gregge. Dovremmo essere un punto di riferimento, una presenza mite! Ha detto il Signore: “Quando avete fatto tutto, dite: Siamo servi inutili”. Prese sul serio, queste parole aprono prospettive nuove. Intanto ci liberano dalla presunzione di crederci necessari. Mettono fine a tante nostre paure. Se gli africani, gli asiatici, i sudamericani … si muovono respingendo la paterna protezione dell’Europa cristiana, noi cominciamo a tremare … ma è Dio che libera. Dovremmo essere felici che tutti i popoli si riprendano la loro dignità di uomini e di credenti. In piedi! Occorre rimetterci in discussione con tutte le nostre biblioteche teologiche; se per caso i tutori dell’ordine ci perseguiteranno, anche noi, come Paolo e Barnaba scuoteremo la polvere dai nostri calzari, perché il “regno” di Dio è più grande di ogni “chiesa”. Un cordiale SHALOM ai miei cinque lettori.

 

 

Mattia Branco

Ho diretto, ho collaborato con periodici locali e riviste professionali. Ho condotto per nove anni uno spazio televisivo nel programma "Anja Show".

Potrebbero interessarti anche...

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *