LA LUNGA NOTTE DEL ’93 LA TRATTATIVA STATO MAFIA

Napolitano Gioorgio 2 

di Raffaele CARDILLO

Abbiamo assistito con un certo stupore al racconto che ha fornito il Presidente della Repubblica ai magistrati inquirenti circa la trattativa Stato-mafia, e il suo algido distacco nel riferire una sequela di particolari attinenti gli episodi delle stragi del 1993 che furono compiute a scopo destabilizzante, e porre l’accento sul clima intimidatorio della mafia, gli aut aut delle forze criminali che miravano a indebolire lo Stato, minacciando sfracelli se non avesse aderito alle loro richieste, il famigerato “papello” una sorta di tavola della legge, nella quale erano elencate le irricevibili richieste cui la Nazione doveva accordare, pena pesanti ritorsioni volte al sovvertimento delle istituzioni.

A queste indegne imposizioni, ci fa specie che non ci fu alcuna levata di scudi, un fare quadrato intorno allo Stato di diritto, niente di tutto questo, al contrario ci fu un mendicare di tentativi per trattare con l’antistato e, sottomersi al proposto capestro, di chi si sente in una posizione egemone e pronta a sguainare la spada in caso di possibili dinieghi.

Come prima battuta ci fu l’allentamento del 41bis, ossia il carcere duro per i criminali più incalliti, che fu prontamente annullato.

Una vittoria della delinquenza sullo stato di diritto, un sovvertimento di valori, un annientamento delle istituzioni, il prevalere delle forze del male sull’ordine costituito.

Una débacle dagli effetti devastanti, un ammainare di bandiera contro una violenza assassina.

Una classe politica imbelle che si lascia intimidire dalle minacce proferite da uno stuolo di senzadio e non abbia la forza di contrastare, di opporre la forza necessaria per sgominarlo.

Come giudicare simili atteggiamenti che non trovano riscontro in alcun’altra realtà, come giustificarli se non emettendo verdetti di condanna e di pubblico ludibrio.

Immaginiamo gli sghignazzi, le grasse risate dei membri, il gruppo criminale, alle spalle delle istituzioni, oltraggiate a dismisura, per una condotta non proprio ortodossa dei propri rappresentanti.

Elementi delle forze dell’ordine comandate dalla politica per intavolare “una trattativa” con esponenti dell’antistato e soggiacere ai ricatti.

Una vicenda dai contorni nebulosi, non perfettamente chiara, molti attori in scena che recitano a soggetto, c’è chi improvvisa e chi si attiene a un rigido copione, cercando di confondere le idee, nel nome di una strategia tendente a scompaginare i propositi, per dare copertura ai disegni di oscuri personaggi manovrati da improbabili Paesi stranieri.

Una congerie d’ipotesi che tendono ancor più a scompigliare, disorientare chi voglia tendere all’accertamento della verità.

Un’impresa ardua che lascia poche prospettive di successo, che si trincera dietro quel fantomatico segreto di stato, un baluardo insormontabile, che annulla e rende goffo qualsiasi approccio chiarificatore.

Un ribaltamento di ruoli che ha dello sconvolgente, un alzare bandiera bianca alle forze mafiose, uno sbandamento delle autorità dello Stato.

Tutti questi florilegi sono raccontati come eventi dai quali non si poteva prescindere, un fatalismo, una rassegnazione ineluttabile, un vero e proprio segno del destino.

Ci viene in mente la nobile figura del consigliere d’Ambrosio, che, con vergogna, si reputava “ di essere considerato l’utile scriba di cose adatte a fungere da scudo d’indicibili accordi” prematuramente scomparso presubilmente a causa degli affronti alla sua onorabilità ferita, sentimenti non certamente in linea e non condivisi dalle altre personalità che miravano a tutelare la loro incolumità, in totale spregio al ruolo che rivestivano.

Se mai ce ne fosse bisogno, si aggiunge un altro capitolo insoluto della storia italiana, certamente uno dei più squallidi!

Mattia Branco

Ho diretto, ho collaborato con periodici locali e riviste professionali. Ho condotto per nove anni uno spazio televisivo nel programma "Anja Show".

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