LE FOIBE NELLA GIORNATA DEL RICORDO ED IL ‘RICORDO’ DI UNA SUPERSTITE!

 

di Paolo Pozzuoli

È il giorno del ricordo. Il giorno in cui, diradata la densa coltre di nebbia che aveva avvolto eventi, fatti ed episodi inquietanti, raccapriccianti e coinvolto tristemente tanta gente, tanta povera gente ignara, vittima di altra ideologia, diversa da quella appena sconfitta, è caduto il velo sull’ignobile top-secret che finora ha avvolto la triste vicenda. È il giorno in cui si può liberamente parlare del bieco disegno politico-militare di una ‘classe’ dirigente che, incastonata nel vasto territorio della cortina cosiddetta di ferro, non rinunciando a mire espansionistiche, manifestamente nel nome del popolo lavoratore, di fatto però e più profondamente, reconditamente, sostanzialmente, per riscattarsi dalle nefandezze subite, aveva gettato lo sguardo e fatto progetti sulle nazioni occidentali, neolatine, dove, rimossa ogni forma di dittatura, erano in corso libere elezioni, apripista di sentieri diversi lungo i quali intraprendere un viaggio nuovo lungo il sentiero che portava verso la democrazia e la libertà. È il giorno in cui, messe finalmente da parte timori e paure, ciascuno ha potuto raccontare liberamente quanto vissuto e onorare la memoria di tanti morti dei quali si erano perdute le tracce poi recuperati. Una vergognosa ondata di violenza scaturì subito dopo la firma dell’armistizio abbattendosi su poveri cittadini, non comunisti, ritenuti ‘nemici del popolo’. Quanti hanno vissuto questi tragici momenti, quanti i sopravvissuti, quanti sapevano di questi eventi raccapriccianti? Certamente i politici, altrettanto i pochi superstiti e familiari ed i militari reduci dal fronte balcanico. I primi, non ritenendosi colpevoli, tacendo per opportunità politica, verosimilmente per evitare altro spargimento di sangue, hanno dato l’impressione di lavarsene le mani, di prendere le distanze pur subendo passivamente, senza mai replicare, le minacce del maresciallo Tito che, dal nord-est, dall’altro lato dell’Adriatico faceva la voce grossa – e la storia si è ripetuta in tempi più recenti – con un altro leader che dall’estremo sud, dalle prime sponde di un altro mare, il Mediterraneo, tuonava e minacciava un giorno sì e l’altro pure. I pochi superstiti vivevano con addosso le tante paure, difficili da eliminare, da dimenticare, i familiari delle vittime, avendo finalmente una tomba su cui piangere, portare un fiore, accendere un cero, potevano onorare i propri morti massacrati. I militari hanno tentato invano di  raccontare. Nel chiuso delle proprie case, stando finalmente al sicuro, circondati dai cari nel pieno del calore domestico, raccontavano con affanno, quasi per scacciare un incubo. Fuori casa, per le strade e nelle piazze, nulla. Si veniva, infatti, additati come nostalgici, fascisti e, ancora una volta, si rischiava la pelle. Insomma, ce n’è voluto per uscire allo scoperto e narrare. Abbiamo pagato per un qualcosa di cui non avevamo colpe. Abbiamo pagato un pegno troppo pesante, rimasti soli a sperare, a pregare, senza aiuti e senza protezione alcuna. “Senza troppa ideologia, senza troppa politica, per troppi anni si è manipolato e parlato di questi problemi rinviandoli” ha proclamato l’on. Furio Radice. La pulizia etnica – una caccia all’uomo, all’amico, al vicino di casa, ispirata da Tito e praticata da buona parte del popolo slavo – era figlia di un bombardamento costante alle coscienze della povera gente morta di fame ed assetata di ideali che si era lasciata prendere la mano. Parimenti, l’efferatezza diretta discendete dell’assoluta mancanza di cultura e di affetti. E furono foibe. All’improvviso, si scatenò una caccia all’uomo, al ‘diverso’, fascista, cattolico, socialista, liberaldemocratico, ecclesiastico, anziano, donna, bambino che, guardato in modo strabico, veniva considerato alla stessa stregua di una zavorra: buttato, scaraventato dall’alto, fatto precipitare in cavità impraticabili, in fondo a crepacci stretti ed impenetrabili, perché ogni traccia andasse perduta. Davvero straziante “sono nata in un paese della Dalmazia che ho lasciato, trascinata dai miei genitori, all’età di due anni, per sfuggire alle foibe, parola che mi faceva rabbrividire; venivano rastrellate, con improvvise retate, gruppi di persone che spingevano fino ai bordi di profondi pozzi per poi buttarli giù e ricoprirli di terriccio” il ricordo di una dolce e cara signora scappata da Pola a Caserta.

 

 

Mattia Branco

Ho diretto, ho collaborato con periodici locali e riviste professionali. Ho condotto per nove anni uno spazio televisivo nel programma "Anja Show".

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