Non la ricerca del primo posto, ma del bene comune!

XXV Domenica del TO (B) – 19 settembre 2021

Non la ricerca del primo posto, ma del bene comune!

Prima lettura: Condanniamo il giusto a una morte infame (Sap 2,12). Seconda lettura: Chiedete e non ottenete perché chiedete male (Gc 3,16). Terza lettura: Chi vuole essere il primo, sia l’ultimo (Mc 9,30).

1)Prima lettura

“Mangiamo e beviamo, perché domani saremo morti!” (Is 22,13). È questa la proposta avanzata dai crapuloni e buontemponi del tempo di Isaia e ripresa dagli edonisti di ogni tempo. Verso la fine del I secolo a.C. ad Alessandria d’Egitto gli ebrei erano particolarmente numerosi e influenti. Alessandria era la metropoli dei re Tolomei, sede della celebre biblioteca, città opulenta, con una numerosa colonia ebraica di 180.000 persone. In Alessandria gli ebrei avevano le loro sinagoghe ma subivano anche il fascino della cultura ellenistica. È in questo ambiente che va collocata la composizione del libro della Sapienza. Chi erano gli “empi” di cui parla la prima lettura? Erano persone facoltose, intellettuali che disprezzavano la propria religione ebraica, che si erano uniti ai pagani, ed erano giunti a cancellare il segno della circoncisione. Nonostante la presenza di questi rinnegati, molti ebrei continuavano a essere fedeli alla Toràh, a preferire Mosè a Platone, la sapienza della Toràh ai ragionamenti del Logos. La persecuzione colpisce sempre chi sceglie di vivere secondo Dio e non secondo la cultura dominante. Il predicatore che non inquieta, forse ha fatto sua la mentalità della malvagi!

2) Dal Vangelo

Tutti i brani del Vangelo di Marco, che stiamo esaminando in queste domeniche, sembrano avere un dato in comune: la difficoltà di Gesù con i suoi discepoli. Non vogliono accettare un messia condannato e perdente; preferiscono un messia glorioso e vincitore. Alcune notazioni:

> “Il figlio dell’uomo sta per essere consegnato” (v.31). Ci chiediamo: da chi? La risposta comune è: da Giuda. Invece siamo di fronte a quello che i teologi chiamano “passivo divino”, cioè un verbo al passivo (essere consegnato) che nella Bibbia è usato per attribuire a Dio una determinata azione. È il Signore che offre suo figlio e non Giuda il traditore.

> “Essi non capivano queste parole” (v.32). Non si tratta di problemi fisici, ma di problemi interiori: “non c’è peggior sordo di chi non vuol capire”; l’ideologia nazionalista e il loro ideale di successo è tale che impedisce loro di comprendere le parole molto chiare di Gesù. Non è che non capivano, non accettavano quello che Gesù diceva.

> “Di che cosa stavate discorrendo per la strada?” (v.33). Ecco, questa indicazione ‘per la strada’ (ἐν τῇ ὁδῷ/en tè odo) è sintomatica. ‘Per la strada’ è il luogo della semina infruttuosa. ‘Per la strada’ il seme viene gettato per terra, ma vengono gli uccelli e subito lo raccolgono. “Lungo la via” i discepoli avevano parlato di questo: chi era tra loro il più grande? Quello delle gerarchie era un tema molto dibattuto tra i rabbini; si disquisiva anche sulle classi dei santi del paradiso; una concezione che perdura anche sino ad oggi, passando attraverso le gerarchie angeliche di Dante. La carriera: croce e delizia di tanti ecclesiastici!

> “Sedutosi”(v.35): Marco ricostruisce con cura la scena. Gesù “si siede” (καθίσας/katìsas) nella posizione di colui che insegna. “Chiamò i Dodici” (v.35). È strano, è una casa, una casa palestinese, non è molto grande, perché Gesù deve chiamare? L’evangelista avrebbe dovuto scrivere: ‘Gesù disse …’, invece Gesù li deve chiamare. Perché? I Dodici lo seguono, ma non lo accompagnano, non gli sono vicini interiormente. Gli sono vicini fisicamente, ma la loro mentalità è lontana.

> “Gesù prese un bambino …” (v.36): come fa sempre quando vuole impartire un insegnamento importante. In perfetto stile orientale, Gesù tiene la sua lezione in tre momenti: 1) il primo momento si basa sull’insegnamento: “Se uno vuol essere il primo …”; 2) il secondo consiste in un’azione: “Prese un bambino, lo pose in mezzo e abbracciandolo …”; 3) il terzo ci consegna una sentenza: “Chi accoglie uno di questi bambini …”. Il bersaglio da colpire è sempre uno: l’orgoglio, perché i Dodici, lungo la strada, avevano discusso tra loro su “chi fosse il più grande”. Gesù prende il bambino che gli sta accanto; ci si chiede cosa facesse questo bambino in questa casa con i discepoli. Il termine adoperato dall’evangelista (παιδίον/paidìon) indica un individuo che, per età e per ruolo nella società è il meno importante di tutti; potremmo tradurre con il termine ‘garzone’. Questo garzone, questo bambino, è l’immagine del vero seguace di Gesù.

> Al tempo di Gesù i bambini erano amati ma non avevano importanza, erano considerati impuri perché non osservavano la Toràh. Presso gli ebrei, i bambini erano certo una benedizione di Dio per la famiglia, soprattutto i maschi; nel rito del matrimonio, sovente veniva schiacciata una melagrana perché apparissero i grani, a simboleggiare i numerosi figli augurati alla coppia. Possiamo dire che i figli erano considerati più per il loro numero che per la loro dignità singola. Gesù, diversamente dalla mentalità corrente, si identifica con i piccoli, vuole che i suoi discepoli somiglino loro, e loda Dio che rivela le cose grandi ai piccoli. Questo messaggio è stato raccolto da Teresa di Gesù Bambino, da don Bosco e da tanti altri santi.

> Questo vangelo è sempre attuale. Dobbiamo prestare più attenzione ai nostri bambini, la cui infanzia è spesso negata per l’instabilità delle famiglie, per l’incapacità della scuola, per le violenze della società sui minori; pensiamo alla pedofilia, al lavoro minorile, all’abbandono scolastico. Un grande autore russo ha scritto che “la bellezza salverà il mondo”; parafrasando, possiamo dire che “i bambini salveranno il mondo”: i loro occhi, la loro fragilità, la loro pulizia interiore faranno breccia sui nostri cuori induriti, sulle nostre intelligenze presuntuose. Possiamo prendere la raccomandazione di papa Giovanni: “Tornando a casa, fate una carezza ai vostri bambini!”.

3) Per diventare come Dio, basta servire il prossimo!

Il vangelo di oggi documenta bene la drammatica situazione tra i pensieri di Dio e i pensieri degli uomini (Mc 8,33). Gesù ha appena confidato ai discepoli i suoi pensieri più intimi, la sua necessità di andare incontro alla morte, la sua totale fiducia nell’amore del Padre … ma essi non comprendono. Anzi, lasciano solo Gesù con i suoi pesanti pensieri, rallentano il passo, lontani da lui, cominciano a litigare circa i primi posti da occupare nel regno. Gesù li ha sentiti, tanto la discussione era accesa, e una volta arrivati alla meta, li interroga, ma loro, come scolaretti colti in difetto, tacciono. E allora Gesù consegna la regola d’oro del suo regno, la vera gerarchia della sua chiesa: “Chi vuole essere il primo, si faccia l’ultimo e il servitore di tutti!” (v.35).

Noi siamo come gli apostoli: la chiesa delle beatitudini è diventata, a volte, la società dei titoli onorifici, del fasto ostentato, delle etichette e delle precedenze. Noi non accettiamo né un Dio senza gloria né un capo senza prestigio. Gesù ha rivelato un Dio che non vuole essere servito ma che vuole servire, che non chiede genuflessioni ma che si cinge i fianchi a lavare i piedi o a servire a tavola. Uno scandalo! Ma la più grande originalità di Gesù è proprio qui, nella rivelazione di un Dio che lascia tutti i suoi diritti e chiede solo di poter servire.

Il cristiano è avvertito: per diventare come Dio, deve solo amare di più, servire di più, perdonare di più. L’onnipotenza di Dio è di amore e non di forza; Dio è Dio non perché è il primo servito ma perché è il primo servitore. Gli apostoli, come noi, messi davanti a questa rivoluzionaria rivelazione, si rifiutano: “Pietro si mise a rimproverare Gesù” (Mt 16,22), e non basta: “No, tu non mi laverai i piedi” (Gv 13,8). Noi aspiriamo sempre a diventare i padroni dell’atomo, i conquistatori dello spazio, gli sfruttatori della materia, gli esploratori del conscio e del subconscio. Gesù, che preferisce lavare i piedi del povero anziché possedere “tutti i regni con la loro gloria” (Mt 4,8), ci sbalordisce con la sua innata nobiltà, e ci rimprovera la nostra innata superbia.

Dio è l’essere più debole dell’universo, ma ha una potenza di amore che fa esistere e crescere tutto. Noi cristiani abbiamo messo il nuovo vino evangelico negli otri vecchi delle nostre abitudini. Abbiamo organizzato un culto magnifico, costruito migliaia di chiese in onore di colui che aveva annunciato la distruzione del tempio e la fine dei sacrifici. Veneriamo come sommo sacerdote chi non aveva voluto essere sacerdote. Copriamo di ricchezze chi aveva voluto essere povero. Dio ci ha dato tutto, e noi ci siamo gloriati restituendogli tutto. Lo abbiamo contraddetto sistematicamente, pensando di piacergli di più. Un Dio così non ci piace molto, perciò abbiamo teorizzato la teologia della morte di Dio. Eppure è il Dio vivo e vero, quello del vangelo di Gesù!

4) Conservarsi capaci di meraviglia, come i bambini!

Gesù ha voluto dirci che i bambini sono innocenti? No, sappiamo bene che i bambini possono mostrarsi falsi, litigiosi, crudeli quanto gli adulti. Gesù non idealizza i bambini, però una cosa distingue i bambini dagli adulti: il bambino è per natura fiducioso, disposto a ricevere, capace di lasciarsi guidare. La Bibbia non descrive l’uomo faustiano che tenta nel mondo il suo volo di Icaro, non è il libro del giovane che a vele spiegate naviga come Ulisse, oltre le colonne d’Ercole. La Bibbia è il libro del bambino, dell’uomo e della donna, nella misura in cui dentro di loro il bambino è rimasto vivo. Gesù restò bambino tutta la vita, perché non faceva nulla da se stesso, ma tutto dal Padre e con il Padre. Il bambino diventa un modello perché non ha posizioni da conservare, ruoli da reclamare, privilegi da rivendicare. È un essere libero; non c’è ancora in lui quella furbizia, quell’arrivismo che spesso distingue l’adulto. Il bambino è uno che non ha fatto l’abitudine alla vita, ma è capace sempre di porre domande, di meravigliarsi, di sorprendersi. Lo spettacolo più deprimente è quello di un bambino viziato e vizioso, che sa tutto, che ha tutto, che fa tutto. È invece commovente trovare alcuni anziani che si sono conservati bambini, non rassegnati alla vita, ancora capaci di meravigliarsi e di ringraziare!

In quel tempo Gesù raccontò questa parabola:

Era una famigliola felice e viveva in una casetta di periferia. Ma una notte scoppiò un terribile incendio. Genitori e figli corsero fuori. In quel momento si accorsero che mancava il più piccolo di cinque anni. Che fare? Il papà e la mamma si guardarono disperati. Avventurarsi in quella fornace era ormai impossibile. Ma ecco che lassù, in alto, s’aprì la finestra della soffitta e il bambino si affacciò urlando disperatamente: «Papà!». Il padre gli gridò: «Salta giù!». Sotto di sé il bambino vedeva solo fuoco e fumo nero. «Papà, ma non ti vedo…». «Ti vedo io. Salta giù!». Il bambino saltò e si ritrovò sano e salvo nelle robuste braccia del papà, che lo aveva afferrato al volo. Tu non vedi Dio. Ma lui vede te. Buttati! (dai racconti di Bruno Ferrero).

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→ Quota:

> 20€ per il 1° corso + 20€ per il 2° corso, comprensivi di iscrizione al corso, cartella, dispense …

> finito il corso, si può ritirare l’attestato di partecipazione, ai fini di crediti formativi.

→ Riempire la seguente scheda di partecipazione:

Cognome _____________________________ Nome __________________________ Telef. ________________________________ o Cell. _________________________

→ Avvertenze:

1) Le lezioni di Grammatica biblica sono contenute in Sèfer Diqdùq tanakì (a cura di M.R. Fazio e F. Galeone), testo necessario per partecipare con profitto al corso;

2) obbligatorietà del Green Pass e della mascherina per accedere alle lezioni.

MISURE ANTI-COVID

1) All’ingresso, richiesta Green Pass (preferibilmente cartaceo);

2) evitare assembramenti in entrata e in uscita.

Mattia Branco

Ho diretto, ho collaborato con periodici locali e riviste professionali. Ho condotto per nove anni uno spazio televisivo nel programma "Anja Show".

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